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Lavorare meno lavorare tutti

Perché riprendere la dichiarazione di Tridico un anno dopo? Perché è attualissima

  14/05/2020

Di Antonio Grassi

Lavorare+meno+lavorare+tutti

«Lavorare meno lavorare tutti». Grazie al presidente dell'Inps, Pasquale Tridico il calendario è tornato indietro di quarant'anni, ai primissimi anni Ottanta, a Democrazia proletaria, partito al quale si deve la primogenitura della proposta. Partito che, nella provincia di Cremona, ha avuto a Crema il maggior radicamento e che, con Punto a Capo, ha contribuito in maniera significativa a introdurre nella Repubblica del Tortello un modo diverso di fare informazione. Uno stile ripreso e ampliato da Ipotesi 80, mensile di area socialista. Voci, fuori dal coro, come ha scritto Andrea Galvani in un libro che racconta la storia delle due testate.

Democrazia proletaria sosteneva la necessità di ridurre a 35 ore il lavoro settimanale e di mantenere inalterato il salario. L'idea compariva nel programma elettorale e i militanti del partito si presentavano nelle manifestazioni pubbliche con striscioni inneggianti alla proposta.

Tridico ha ripreso il concetto un anno fa, e lo ha rilanciato in una sede prestigiosa e davanti ad un pubblico qualificato, destinato a diventare classe dirigente del nostro paese, comunque a non essere l'ultima ruota del carro.

Il 10 aprile dello scorso anno, durante la lezione inaugurale del Master in Economia pubblica dell'Università La Sapienza di Roma, alle prese con il tema Le diseguaglianze nel capitalismo finanziario, il presidente dell'Inps ha dichiarato: «La riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario può essere una leva per ridistribuire ricchezza e aumentare l'occupazione».

Per spiegare meglio il suo pensiero Tridico ha precisato: «Siamo fermi in Italia all'ultima riduzione di orario del ‘69-70, non ci sono riduzioni da 50 anni, invece andrebbe fatta per aumentare l'occupazione e incentivare la riorganizzazione produttiva delle imprese. Gli incrementi di produttività vanno distribuiti o con salario o con un aumento del tempo libero».

Tridico, dunque, ha messo in discussione il rapporto tra orario di lavoro e produzione della ricchezza, Un'affermazione, che pronunciata da lui, davanti a una platea che non è quella dell'assemblea di condominio, in un tempo di covid-19 è qualcosa di più di un «padroni di merda» gridato con rabbia al bar o in piazza da qualche cassaintegrato veterocomunista.

Il presidente dell'Inps ha bocciato, di fatto, l'attuale modello di sviluppo della società e ha rottamato il pensiero neoliberista. Una novità sulla quale sarebbe utile riflettere.

Per capire la portata rivoluzionaria della dichiarazione del presidente dell'Inps è sufficiente accedere all'archivio della storia e togliere una fotografia del 1981 relativa al rapimento di Ciro Cirillo da parte delle Brigate rosse. L'immagine ritrae il rappresentate della Democrazia cristiana con in mano una copia del Mattino, quotidiano di Napoli. Alle sue spalle uno striscione con la stella a cinque punte e, a caratteri cubitali le scritte, Brigate rosse e Lavorare tutti, lavorare meno, lo slogan di Democrazia proletaria scritto al contrario.

Perché riprendere la dichiarazione di Tridico un anno dopo? Perché è attualissima.

Con il covid-19, che ha messo in ginocchio non solo i cittadini, ma anche l'economia, con qualcuno che ha già tolto dalla naftalina Keynes, con lo Stato che interverrà con i massicci e indispensabili aiuti finanziari all'industria, ecco che l'ipotesi di una società futura più socialista potrebbe non essere una boutade.

Con il covid-19 il mondo è cambiato e anche il capitalismo non sarà più come prima. Si spera, più equo. Anche se è un azzardo pensare ad un capitalismo equo.

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