Riprende la rubrica dedicata all'approfondimento e al confronto sullo stato della sinistra e, specificatamente, sulla questione socialista. Ci avvalliamo, oltre che del consueto, apprezzato apporto di Virginio Venturelli, riferimento della Comunità Socialista territoriale e, anche in questa occasione, della trasposizione dalla consorella testata riformista La Giustizia dell'editoriale del Direttore Mauro Del Bue. ----- I progetti riformisti in fase di stallo Nonostante da più parti aumentino le posizioni sollecitanti la costruzione di una nuova organizzazione, politica, democratica, liberale e socialista, i vertici delle principali tradizioni politiche riformiste, non hanno ancora programmato alcun confronto in tal senso, verso cioè una prospettiva unitaria dell'area. Senza particolare seguito sono rimaste anche l'iniziativa ed il documento politico dell'ennesimo Circolo Matteotti, illustrati a Milano lo scorso maggio, con svariati echi sui principali mezzi di informazione locali e nazionali. A questo ultimo proposito, i riscontri che i promotori del Circolo si attendevano, in particolare, dai cittadini sfiduciati, da coloro che non votano pur sapendo che sarebbe importante farlo, da quanti guardano con angoscia alle nubi della storia che si addensano all'orizzonte, da quanti vorrebbero impegnarsi per l'Europa unita ma non sanno come fare, da coloro che sono stanchi di una politica di giornata, pare siano stati sostanzialmente scettici sulle finalità della neonata associazione. Le autoreferenzialità ed i tatticismi che hanno prodotto il deludente risultato elettorale dell'area riformista italiana, alle ultime elezioni europee, evidentemente non hanno ancora ravveduto a sufficienza: Azione, Italia Viva, Più Europa, i socialisti ed i riformisti del Pd, stante il loro sostanziale immobilismo a rimediare gli errori del passato, in preparazione delle elezioni politiche del 2027. Tergiversare di fronte alle criticità dell'attuale sistema politico, elettorale ed istituzionale del nostro Paese, ove si evidenziano confronti elettorali tra coalizioni disomogenee e contraddittorie, lo svilimento dei Partiti e del Parlamento a favore della personalizzazione politica, la ridotta credibilità delle Istituzioni e del decentramento amministrativo, è oggettivamente da sconsiderati.
Le frazionate forze riformiste più di altre, non possono al riguardo, tardare oltre a condividere specifici progetti di riforma, ma altresì insieme adoperarsi alla formazione di una nuova aggregazione di stampo laburista, autonoma nel centro sinistra, in grado di
influenzare gli indirizzi delle alleanze di governo, ma altresì funzionale al recupero del vasto elettorato, oggi astensionista, insoddisfatto della offerta politica presente.
La citata scelta di campo, per le forze storicamente alternative agli obiettivi del centro destra, è una scelta naturale, ma opportuna sarebbe anche per i sostenitori di un Terzo polo equidistante dagli schieramenti attuali, perché stante le regole elettorali vigenti, non potranno che assumere ruoli centristi marginali, ovvero lucrare qualche gratificazione personale.
E' tempo insomma per tutti i soggetti interessati, di far seguito agli auspici anche qualche impegno coraggioso, come quello intanto di rinviare la discussione sui leader all'indomani della intesa sulle priorità e sulle proposte politiche e programmatiche strategiche e di prima attuazione.
A fronte dei repentini cambiamenti in corso, delle tensioni che si registrano in ogni parte del mondo, l'Italia come l'Europa saranno sempre più chiamate a delle scelte fondamentali.
Per affrontare tale avvenire, il centro sinistra più che vantare la sua “larghezza”, deve riqualificare prioritariamente i contenuti della propria coalizione, che non possono restare disorganici perché anche nello schieramento del centro, non c'è coesione.
VIRGINIO VENTURELLI
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RASSEGNA DELLA STAMPA CORRELATA



Perché il pacchetto democrazia di Mauro Del Bue
Sollecito tutte le formazioni, anche se di dimensioni ridotte, che si ispirano ai valori e alle tradizioni liberaldemocratiche a costruire un vero e proprio pacchetto di proposte parlamentari per correggere profondamente “la democrazia ribaltata” che esiste in Italia, introdotta dai movimenti, anche referendari, degli anni novanta. La prima e urgente riforma é quella della legge elettorale per tornare alla scelta dei parlamentari da parte dei cittadini. Dall'uninominale introdotta dal cosiddetto Mattarellum a tutte le leggi che ne sono seguite (i cosiddetti Porcellum e il Rosatellum) i parlamentari sono scelti dalle segreterie politiche. La motivazione che le preferenze indurrebbero alla corruzione o quanto meno al clientelismo non sta in piedi. Alle comunali, alle regionali e alle europee non ci sarebbe infatti questo rischio dato che le preferenze sono in vigore. E il rischio si concentrerebbe solo sulle politiche. La verità é che i partiti, oggi in crisi di iscritti e di partecipazione, si vogliono tenere un ultimo tassello di potere: quello appunto di scegliere direttamente i parlamentari bloccando le liste. E' un privilegio inaccettabile, anzi vergognoso perché si collega con la crisi di partecipazione alle
elezioni di qualsiasi livello, che non ha precedenti nella storia italiana e non trova paragoni con l'andamento elettorale di nessun paese europeo. Anche il maggioritario, che in Francia ha dimostrato di non essere utile nemmeno per assicurare governabilità (si sta pensando a un ritorno al proporzionale) e che in Italia ha prodotto non solo ingovernabilità, governi tecnici e di unità nazionale, ma anche combinazioni di governo in sfregio agli accordi elettorali, sta provando la sua completa inadeguatezza. Anche perché si tratta quasi sempre di un maggioritario corretto da una quota di proporzionale, da diversivi vari, da sbarramenti, da impedimenti costituzionali (l'articolo 57 della Costituzione impone il conteggio dei senatori “su base regionale”). Il ritorno al proporzionale appare necessario (può restare fermo lo sbarramento al 3% e si può introdurre un premio di maggioranza fissando bene soglie e tetto minimo di attribuzione). Della legge elettorale si dovrà occupare il Parlamento dopo l'eventuale legge costituzionale sull'introduzione del premierato, il cui testo non é esente da evidenti contraddizioni. Un rapporto che va capovolto é anche quello tra esecutivi e organi di rappresentanza eletti nelle regioni e nei comuni e si dovrà pur affrontare il tema delle province che non sono state abolite se non per quanto riguarda gli organi elettivi. Anche su tutto questo occorre un completo ribaltamento in nome della democrazia e del rispetto delle scelte dei cittadini. Salvaguardiamo pure le elezioni dirette dei governatori e dei sindaci nei comuni superiori ai 15mila abitanti. Ma facciamo tornare ai consigli, gli unici eletti direttamente, a parte governatori e sindaci, alcune prerogative in capo a questi ultimi. Le giunte, ad esempio, tornino ad essere approvate dai Consigli senza più incompatibilità tra assessore e consigliere. Ma é possibile attribuire a chi é solo nominato un potere maggiore a chi viene eletto? E a chi viene eletto sottrarre la delega ricevuta dal corpo elettorale se viene nominato? La contrapposizione tra delegato del sindaco e assessore appare nella sostanza solo formale. Sono i partiti che formano la coalizione vincente ad indicare a governatori e sindaci i nomi degli assessori. D'altronde governatori e sindaci sono eletti da una coalizione di partiti che indicano i loro nomi sulle schede elettorali. Va risolto anche il tema delle Province. Credo che la delimitazione dell'Italia in province non possa essere eliminata. L'informazione locale é provinciale e non regionale, e così le questure, le prefetture, la stessa organizzazione dei partiti politici, perfino le motorizzazioni e spesso il sistema ecclesiale e quello sportivo. A questo punto le province esistono anche istituzionalmente ma come organismi di secondo grado e non con istituti eletti dal popolo. Un altro sfregio alla democrazia. Si reintroducano i Consigli provinciali, espressione politica del corpo elettorale visto che al referendum delle province non é passata l'abolizione. Un'ultima abrogazione della rappresentanza elettorale é l'abolizione delle circoscrizioni nei comuni con meno di 200mila abitanti, come il mancato processo di aggregazione dei piccoli comuni per rafforzarne e unificarne la rete dei servizi. Si tratta di problemi che mettendoli insieme formano il ciclo vizioso della democrazia rovesciata. Il pacchetto democrazia da ribaltare. A questa azione pensino coloro che al rafforzamento dei diritti dei cittadini hanno dedicato la vita.
Mauro Del Bue Direttore. Nasce a Reggio Emilia nel 1951, laureato in Lettere e Filosofia all'Università di Bologna nel 1980, dal 1975 al 1993 é consigliere comunale di Reggio, nel 1977 é segretario provinciale del Psi, nel febbraio del 1987 è vice sindaco con le deleghe alla cultura e allo sport, e nel giugno dello stesso anno viene eletto deputato. Confermato con le elezioni del 1992, dal 1994 si dedica ad un'intensa attività editoriale (alla fine saranno una ventina i libri scritti). Nel 2005 viene nominato sottosegretario alle Infrastrutture per il Nuovo Psi nel governo Berlusconi. Nel 2006 viene rieletto deputato nel Nuovo PSI. Nel 2007 aderisce alla Costituente socialista nel centro-sinistra. Nel 2009 é assessore allo sport e poi all'ambiente nel comune di Reggio. Dal 2013 al 2022 dirige l'Avanti online.
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Il compagno Del Bue introduce in questo suo recente editoriale una variante che in qualche modo sposta il gradiente dell'analisi sullo stato della sinistra italiana e dell'apporto del profilo socialista (fin qui eccessivamente assorbito dall'impossibilità di applicarsi ad una strategia di convergenza e di armonizzazione del progetto teorico per tutto il campo lib lab) sul terreno poco praticato dei meccanismi istituzionali che in qualche modo se non proprio peggiorato, sicuramente non hanno consentito al sistema politico ingessato di uscire dall'impasse.
Si è parlato molto negli ultimi giorni (succede stranamente alla vigilia degli appuntamenti con le urne) dell'inversione della sempre infeconda tendenza alla frammentazione, non già attraverso percorsi e dinamiche costruttivi (come sono state le "riforme" elettorali, percepite ed incardinate come un comodo espediente di semplificazione dell'asset partitico e di polarizzazione, ma desolatamente approdati ad una terra di nessuno che ha ulteriormente sfilacciato la tenuta del sistema politico istituzionale), bensì attraverso un impegnativo percorso capace di invertire i paradigmi distintivi incardinati dal cambio di fase della seconda repubblica (la politica liquidazione e i movimenti leggeri). Come giustamente prevede l'editorialista Panebianco su Corsera, se, prevedibilmente, gli accadimenti internazionali imponessero (anche) all'Italia l'approdo a straordinari cambi di quadro interno correlati all'eccezionalità mondiale, la semplificazione del parterre dei players sarebbe quasi d'obbligo. Ma non perseguibile coattivamente attraverso artificiose normative elettorali. Che, negli ultimi trent'anni, hanno dimostrato la quasi totale controfattualità nel rapporto mezzi (le modalità del consenso elettorale in senso "maggioritario") e fini (in realtà, fagocitati dalla prevalenza delle pulsioni polarizzanti di nomenklature sempre più verticalizzanti e incapaci di invertire una frammentazione che è nelle cose di una tendenza "liquida" priva di capacità di strategia e di progetto). Verrebbe da soggiungere …grande è lo sfacelo sotto i cieli. Le minacce alle nostre democrazie sono anche conseguenza della neghittosità nel farsi consapevoli del salto di sfibramento (una sorta di culpa in vigilando) dei presidi teorico pratico militanti del modello e di persistenza in posture testimonianti tarate su radicalismi disgiunti da qualsiasi percezione del pericolo di default nella tenuta di conquiste costate lotte inenarrabili e ancorati a posture da dolo eventuale. Andando un po' a saltello, annoteremo che, a complicare la resilienza da uno stato dell'arte che non può non preoccupare, Ainis su La Repubblica lucidamente registra una sirena sta stregato l'universo mondo: il decisionismo. L'autorità sovrana di un individuo che decida per tutti, togliendosi il fastidio di pensare, scrollandoci di dosso i dubbi, placando le paure. E liberando dalle lungaggini, dai riti democratici, che paralizzano qualsiasi scelta di governo o la revocano un momento dopo averla assunta. La sirena canta da anni. Per primo fu Craxi negli anni 80 a fare del decisionismo uno stile di governo per stabilizzare la governabilità. Con maniere spiace, niente mediazioni e il sogno di una "grande riforma". Che nel caso in esame era quanto meno supportato da un egregio lavoro analitico progettuale. Scalando le marce, ci verrebbe da citare sul punto, meglio su trattino del punto, LilliGruber che azzardava (un po' temerariamente): la Meloni (votata da 1 elettore su 6, che è poco ma di più del Pd) pretende di essere espressione del popolo. A ben vedere di questa sicumera si è avvalso anche il centrosinistra che ha contrastato poco, ci ha inzuppato il pane a vantaggio della propria occupazione del potere, ha implementato le derive della verticalizzazione delle dinamiche di conquista e di stabilizzazione delle prerogative di controllo e di esercizio dei poteri istituzionali. In una prospettiva di sempre maggiore verticalizzazione, quando non di svuotamento della correlazione col "mandato". Facile far saltare il tavolo della saldezza dei perni liberaldemocratici quando sei confinato all'opposizione, anzi ad una opposizione priva come si manifesta di chances di resilienza. Per quanto riguarda strettamente il perimetro socialista non si può non riavvolgere la pellicola dei “trascorsi” là dove tutto si era fermato. Lo sforzo di armonizzazione teorica e di convergenza progettuale deve ripartire da quell'analisi legata alle teorie del Merito e bisogno, perni di nuove consapevolezze e progressioni di cultura sociologica specchio dei cambiamenti epocali successivi al ciclo della thatcher-reganonomics dell'innesco neoliberista, prodromo del successivo caratterizzato dal turbocapitalismo della globalizzazione finanziarizzata. Con cui si tentò di invertire una tendenza di welfare diffuso (per lo più incardinato nella dilatazione della spesa pubblica spesso parassitaria e spesso compiacente impulsi di "scambismo". Contestualmente all'accesso, nella cultura sociologica della sinistra liblab, della teoria delle vecchie e nuove povertà. La cui anticipazione fece capolino nell'analisi congressuale socialista di Torino del 1978 (che diede organica sistemazione strategica alle teorie della democrazia economica, sociale e
politica), per essere successivamente strutturata nelle elaborazioni del Progetto Socialista degli anni 80. Che fine ha fatto questo prezioso patrimonio di tensione ideale e di impegno strategico? (e.v.)