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L'EcoRassegna della stampa correlata (sentenza Lucano)

Di Domenico Cacopardo

  04/10/2021

Di Redazione

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La legge si interpreta

«… c'è del marcio in Danimarca …», sosteneva Amleto (Shakespeare). Dunque «c'era del marcio a Riace», possiamo legittimamente osservare noi, leggendo il dispositivo della sentenza che il tribunale di Locri ha pronunciato sulla vicenda di Domenico Lucano condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione per illeciti nella gestione dei migranti. I reati contestatigli erano associazione per delinquere, abuso d'ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d'asta, falso ideologico e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Anche la compagna dell'ex-sindaco, l'etiope Lemlem Tweshfahum, processata con lui, è stata condannata (4 anni e 10 mesi).  

Al lordo dell'appello ed, eventualmente, della Cassazione, la statuizione del tribunale di Locri va al di là delle medesime richieste del pubblico ministero e assume i contorni di un provvedimento molto severo. Ciò non toglie che esso è il frutto del libero convincimento dei giudici, formatosi nel dibattimento e alla luce degli elementi di prova presentati in quella sede. 

Naturalmente, il mondo politico, alla vigilia di importanti elezioni amministrative, s'è diviso, abbandonando come sempre il saggio suggerimento di non utilizzare le sentenze per interessi di bottega. C'è anche un pezzo di giustizialisti tout-court che critica la sentenza a motivazioni non ancora rese note, compiendo, perciò, un atto di fede sul sindaco Lucano. Enrico Letta, privo -come al solito- del senso della misura che si pretende da un leader politico, esprime solidarietà a Domenico Lucano. Se le parole hanno un senso, questo significa che Letta è solidale con Lucano rispetto al quadro accusatorio accettato e statuito da un tribunale comprendente l'elenco dei reati che abbiamo sopra riportato. 

Complimenti, dottor Letta (Enrico)! Il diritto rovesciato secondo convenienze e simpatie appartiene quindi al suo personale dna. 

Ora, parliamoci chiaro. Il «fin di bene» evocato da più parti -e da quel campione del diritto che risponde al nome di Luigi de Magistris- non supera il vaglio di una corte che, evidentemente, individua e identifica una serie di fattispecie delittuose poste in essere dalla condotta dell'imputato. Fra l'altro, egli è stato condannato alla restituzione di euro 500.000 spesi in modo incoerente rispetto agli scopi indicati dall'Unione europea e dal governo italiano. Del resto, la circostanza che Lucano non abbia lucrato denaro in queste vicende non toglie che egli abbia lucrato popolarità e relazioni politiche, che per chi si occupa di cosa pubblica hanno un'importanza cruciale: se il beneficio non è il denaro, ma si individua in altre utilità il reato si sostanzia egualmente.  

Come tanti, rispetto le sentenze (e oso, talora commentarle quando sono in possesso delle motivazioni) e come tanti spero che un nuovo vaglio, in appello, del quadro probatorio possa condurre a una revisione di questa sentenza. Ciò non toglie che la sensazione che tutta la vicenda diffonde è di una gestione comunale pasticciata, irrispettosa delle norme amministrative, civili e penali, come ce ne sono tante, troppe, nel Sud e nelle isole. Un modo di fare, purtroppo, molto diffuso. Che Domenico Lucano abbia operato, come abbiamo detto «fregandosene» della legge, ma a fin di bene non lo esonera dalle relative responsabilità.  

Giorni fa, nella mia qualità di exmagistrato amministrativo, sono stato consultato su un caso di immigrazione: ho scoperto un mondo in cui l'illegalità è la norma e nel quale gli organi periferici del ministero dell'interno sono costretti a operare con buon senso piuttosto che con rigore. E che questo comporta che decisioni di buon senso vengono considerate «di diritto» da parte dei postulanti extra-comunitari tanto da spingerli ad accusare coloro che applicano la legge di illegalità. Questo è l'effetto, appunto, della diffusa indulgenza: cancellare il limite tra legalità e illegalità a danno di tutti, italiani e non che sono e rimangono nell'ambito del lecito. 

Purtroppo, per tante ragioni, questo è il Paese dell'approssimazione, nel quale la legge si applica, ma per gli amici si interpreta.

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