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Salvini a Cremona Mettere i fiori nell’alzo zero del confronto politico

Strano arrivo , addirittura salutato dal rappresentante territoriale del governo, venga in piazza a dire la sua. Pur non aderendo all’invito di presenziare (“con cartelli, fischietti e corde vocali” alla contromanifestazione di Corso Campi), non saremo nelle adiacenze né per ascoltarlo né per intimidirlo (neanche con gesti di ostilità gandhiana).

  03/06/2019 09:24:00

A cura della Redazione

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L’ECOPOLITICO Salvini a Cremona Mettere i fiori nell’alzo zero del confronto politico

Strano arrivo, addirittura salutato dal rappresentante territoriale del governo, venga in piazza a dire la sua. Pur non aderendo all’invito di presenziare (“con cartelli, fischietti e corde vocali” alla contromanifestazione di Corso Campi), non saremo nelle adiacenze né per ascoltarlo né per intimidirlo (neanche con gesti di ostilità gandhiana).

Ci si avvicina, vertiginosamente, alle urne supplementari per decidere, domenica 9, il governo comunale del prossimo quinquennio.

Con un crescendo rossiniano, ça va sans dire, di testimonianze e di gesti, la cui modalità e la cui intensità superano, se ancora esistessero margini, la già non esattamente misurata asticella della sobrietà dei comportamenti individuali e collettivi indotti dalla comunicazione mediatica e delle relazioni interpersonali.

Di più, appartenendo noi a scenari incomparabilmente diversi, non possiamo né vogliamo dire in merito all’evoluzione delle relazioni interpersonali e comunicative focalizzate sulla fattispecie dell’esercizio delle prerogative liberaldemocratiche.

 Ci sembrava di aver visto di tutto (e di troppo!). Ma, evidentemente, eravamo stati imprevidenti rispetto a quanto in grembo a Giove, in materia di verticalizzazione. Della politica, della leadership, della relativa comunicazione. Non molte idee (difficilmente configurabili in quello che si potrebbe definire un organico progetto di società). Ecco (per essere sintetici, perché altrimenti si arrischia di perdere contatto con una soglia di attenzione che poco concede a tempi e ad analisi dilatate), siamo di fronte ad un grumo di inconsapevolezze, di inadeguatezze, di smarrimenti, di risentimenti.

Il cui portato, facendo strame della ragione, del pensiero critico, della fecondità del confronto delle idee, diventa il propellente del leaderismo sempre più personalizzato e privo di contrappesi democratici e di una irrefrenabile caduta del sistema democratico e del modello di società introdotto dal secondo dopoguerra e testato da un incontrovertibile riscontro di risultati fecondi.

Ci teniamo sempre lontani dall’inclinazione a fare facili simmetrie. Ma, obiettivamente, appare difficile astenerci dal rilevare analogie con i prodromi che inclinarono (un secolo fa, in Europa ed in Italia) ad approdi non esattamente auspicabili.

Ma, quando si azzera il senso e l’utilità del confronto democratico, si inaridisce la vita parlamentare, si scommette tutto sull’uomo forte, come si può diversamente definire questa mutazione del modello di rappresentanza?

Uno dei perni, di ispirazione ed alimentazione, di questa filiera è indubitabilmente costituito dal parlare e contestualmente dal non ascoltare l’altro. Ricordate il Cristiano (Verdone) figlio dell’Armando (Sordi), che quando (in viaggio con papà) non voleva ascoltarlo si tappava con le mani gli orecchi e con una forsennata lallazione copriva il wording paterno?

Ecco il “dialogo” in politica funziona un po’ così! Ma, appunto detta così, la cosa apparterrebbe ad uno scenario da un “mulino bianco”. Perché questa politica, fatta di “contributi” che non si ascoltano, inclina, nell’ansia soprattutto, di delegittimare ed annientare il competitor, ad “asfaltare” (come si dice adesso) le voci antagoniste e con ciò a privare l’opinione pubblica della fonte cui attingere.

Lo step successivo della reciproca delegittimazione arriva, infatti, a circoscrivere l’esercizio delle prerogative democratiche (l’impedimento della libera parola e della manifestazione pubblica) attraverso l’aggressione violenta o, nel caso più attenuato, il gesto della “contromanifestazione” preventiva e/o in corso d’opera. Come sono diventate le “lenzuolate” o lo stazionamento dell’avversario con finalità contestatrice.

Parliamo di cose che sono ormai diventate una costante delle dinamiche di manifestazione del pensiero politico. Nelle forme estreme, avvenute a Cremona, o nelle forme attenuate della “lenzuolata” d’accoglienza. Che non costituirà un conclamato impedimento della libertà di espressione, ma, che, indubbiamente, favorisce una radicalizzazione, inclinante potenzialmente a gesti di violenza.

Il “salvinismo” costituisce (soprattutto, nella versione del leghismo approdato al populismo-sovranismo ammiccante a suggestioni neo-fascistoidi) quanto di più lontano dai nostri (liberi) convincimenti.

Contestualmente, però, appartenendo (almeno idealmente) al campo contrapposto, non ci esimiamo dal denunciare preventivamente qualsiasi tentazione di importare anche nella nostra realtà gesti di accoglienza che facciano il verso ad un timbro di ostilità e di pressione sulla libertà di parola.

Piuttosto che lenzuola esposte a finestre e balconi, la città si ricordi della sua tradizione di civiltà democratica e di decoro.

L’incipiente bel tempo sta favorendo la fioritura. Nei bei tempi andati la civica amministrazione ne fece spunto per l’esortazione ai cittadini al decoro (il concorso del balcone fiorito di inizio anni 80).

La riscoperta di questa lodevole pratica costituisca un richiamo alle buone pratiche civili ed, in tempi un po’ così, se non alla distensione, alla consapevolezza dei rischi di certe derive.

Se proprio si vogliono usare le armi estreme della contrapposizione dialettica, si mettano fiori nella canna dei fucili (rigorosamente metaforici).

Quanto a Salvini, il cui arrivo a Cremona è, con modalità insolite, addirittura salutato dal rappresentante territoriale del governo, venga in piazza a dire la sua. Pur non aderendo all’invito di presenziare (“con cartelli, fischietti e corde vocali” alla contromanifestazione di Corso Campi), non saremo nelle adiacenze né per ascoltarlo né per intimidirlo (neanche con gesti di ostilità gandhiana). Non un benvenuto ma neanche, come osserva Aldo Grasso sul Corriere, un non benvenuto. Faccia ciò che deve e ciò che ha il diritto di fare. Si esprima liberamente. Fino all’ultima promessa/bugia.

La transizione da Bossi all’enfant prodige (che, micio micio, ha trasformato le dimensioni ed il rating di un movimento pittoresco e monovocato (la separazione) ad una forza maggioritaria ed egemone si è giocata soprattutto su una continuità solo mission ma non di coerenza ideale.

Venga a Cremona, il Capitano e liberamente parli. O, come insiste qualcuno, continui a raccontare balle e spottoni demagogici, finalizzati a mantenere la sua Lega sulla cresta dell’onda, anche a costo di spudoratamente di nascondere sotto il manto della mistificazione il cambio di passo.

La Lega era esordita con propositi separatisti (l’autonomia, “il leon che mangia i teron”) ed è diventata la massima espressione del nazionalismo populista. Aveva agitato il cappio del giustizialismo contro le malefatte della casta ed oggi presenta un gruppo dirigente significativamente indirizzato al cappio.

Per concludere, si era accanita (nelle incongrue farneticazioni di rimodulazione dell’ordinamento costituzionale) contro l’istituzione prefettizia ed oggi si trova sulla piazza un Prefetto che, appena approdato a seguito di un turn over, si è prodotto in qualcosa di più di uno spottone a favore del comizio elettorale del Capitano e della centralità della mission antimigratoria e securitaria.

Poiché non abbiamo dubbio alcuno sulla sincerità e concretezza dei propositi del neo Prefetto (di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno), non possiamo non segnalare che la materia non gli mancherà.

Non siamo a Scampia, ma, indubbiamente, il quadro tratto dalle (apprezzabili, anche se non esattamente canoniche) ricognizioni induce ad un minore ottimismo.

Con o senza la Giunta uscente si dovrà por mano alla questione della spada pendente dei centri sociali. Ad una recrudescenza del fenomeno della microcriminalità e di un disordine comportamentale, che genera senso di insicurezza.

Ultima ma non ultima l’indotto del fenomeno migratorio; che è da grandi numeri nella realtà territoriali.

Non siamo sicuramente per una “stretta”; ma il problema esiste. Non si affronta certamente a colpi di “decreti” la cui efficacia è inversamente proporzionale all’impulso strumentale da cui promana.

Apparteniamo alla cultura della sinistra; ma certamente non condividiamo né il presupposto di certi assunti dogmatici assiomatici (se il Decreto Salvini non lo definisci liberticida e, soprattutto, se non dichiari di sabotarlo nell’azione amministrativa) né la tendenza all’equiparazione al razzismo-fascismo della testimonianza di tutti coloro che esprimono riserve nei confronti del dogma catto-gauchista sul dovere di accoglienza senza limiti e senza regole.

Per esplicitare meglio il nostro pensiero, prendiamo a prestito da Aldo Cazzullo, che recensendo oggi sul Corriere “La notte della sinistra. Da dove ripartire” il saggio di Federico Rampini, osserva “se sono entrati in un Paese violando le sue norme, perché dovrebbero rispettarle in seguito. Non vengono in Italia per comprimere i diritti e i salari dei lavoratori. Ma un’immigrazione senza controllo è destinata inevitabilmente a comprimere i diritti e i salari. Non è vero che gli immigrati fanno i lavori che i nostri giovani non vogliono più fare e che gli immigrati ci pagheranno le pensioni (“ perche, invecchiando, percepiranno le loro”)”.

Assolutamente vero che tali riflessioni appartengono alla dimensione nazionale della politica. Ma, poiché nei fatti il “civismo” della sinistra ha dimostrato di applicarsi sul pezzo, ad una settimana dal voto, sarebbe utile che anziché criminalizzare (anche elettoralmente, ancorché, purtroppo, senza tanto riscontro) il Capitano, la sinistra farebbe bene, se vuole ripartire e se vuole vincere il game del 9, interrogarsi (come suggerisce il saggista già di Repubblica) “ ciò che la sinistra è diventata, sugli errori che hanno alienato il riferimento popolare, suli abbagli della vulgata radical guachiste”.

Essendo molto chiaro il fatto che se Salvini viene a Cremona, non lo farà per contestare alla colpita ed affondata Manfredini le piste ciclabili, o all’assessore neanche ripresentatosi la questione delle piscine, all’altra assessora Manfredini i maleodoranti mercatini europei. Scommettiamo che parlerà, invece, di sicurezza e di flussi migratori?

 

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