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Eco storia Saggio storico

  24/05/2025

Di Redazione

Eco+storia+Saggio+storico

Società Filodrammatica Cremonese rassegna Filo-libri

in partecipazione con Cremona BOOK - Associazione Zanoni – L'Eco del Popolo - A.N.P.I – A.N.P.C.-A.N.D.A

Lunedì 2 giugno 2025 ORE 17,30

 

Sala Convegni – piazza Filodrammatici,2 Cremona

Presentazione del Saggio Storico di Emilio Zanoni IL MOVIMENTO CREMONESE DI LIBERAZIONE NEL SECONDO RISORGIMENTO - DAL PRIMO AL SECONDO  RISORGIMENTO NAZIONALE

EDITO DA

Interventi di saluto di:

  • Avv. Alessandro Zontini, Società Filodrammatica Cremonese
  • On. Luciano Pizzetti, Presidente del Consiglio Comunale di Cremona

      -     Associazione Emilio Zanoni

Introduzione e inquadramento  del Saggio storico da parte di Giancarlo Corada, Presidente ANPI, e  Franco Verdi, presidente ANPC.

Coordinamento degli interventi da parte di Paolo Gualandris, Direttore del quotidiano La Provincia

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Il pannel dell'evento storico-culturale prevede intermezzi artistici (canto-musica-recitazione) resi disponibili dai segmenti formativi della Società Filodrammatica.

Nel corso della conferenza opererà un book-corner per la distribuzione del libro, che sarà in vendita presso Bookshop del @museodelviolino Piazza G. Marconi, 5 –

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Da tempo, per non dire da anni, l'Associazione aveva stimato come una delle priorità la divulgazione dell'inedito scritto di Emilio Zanoni “Il movimento cremonese di Liberazione nel secondo Risorgimento. Saggio storico”.

Inedito, perché, pur essendo stato selezionato e premiato dalla giuria incaricata dalla Provincia di Cremona, nel quadro delle celebrazioni del primo decennale della Liberazione, non sarebbe mai approdato alla stampa ed alla divulgazione.

Nonostante ciò, al lavoro attinse a piene mani più d'uno. Non si ha motivo di enucleare la fattispecie del plagio; vero è che alcuni lavori, al di là della soggettività narrativa e magari delle migliori intenzioni, appaiono (almeno in alcune parti) sovrapponibili al saggio.

Resta ancora un mistero la serie di circostanze attraverso cui un saggio, vincitore di un pubblico concorso, inedito e restato in disponibilità del suo autore e dell'Ente promotore del concorso, abbia fornito una così vasta messe di spunti per lo sviluppo della ricerca storiografica.

Il lavoro storiografico di Zanoni avrebbe rivisto la luce molti anni dopo in circostanze quasi fortuite; grazie alla dedizione con cui Giuseppe Azzoni, entrato in possesso del deposito di carte del defunto Zanoni (stornato dall'asset ereditario destinato per volontà dell'istinto al Comune di Cremona e trattenuto illegalmente), si fece parte diligente per l'inventariazione e per la pubblica segnalazione.

Lo stesso Azzoni ne avrebbe tratto, in occasione del 70° anniversario della Liberazione una corposa sintesi; nel contempo segnalando l'esistenza, presso l'archivio della Provincia, di un fascicolo afferente allo scritto.

La segnalazione andò a buon segno, consentendo il reperimento dell'elaborato, nonché il cartaceo documentale dell'espletamento dell'intera pratica, consistente nel dibattito consigliare per la definizione del programma celebrativo, nell'istituzione e nell'espletamento del concorso, nei verbali della Commissione Giudicatrice, negli intercorsi epistolari.

Già questi ultimi meriterebbero, contenendo tracce di interlocuzione tra il Presidente in carica avv. Giuseppe Ghisalberti, il Presidente dell'Istituto Nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia Sen. Ferruccio Parri ed il Presidente della Commissione Giudicatrice, prof. Alfredo Galletti, di vedere il fascicolo iscritto ad un elevato rango di interesse storico.

Per il reperimento di tutto quanto si ringrazia nuovamente Azzoni, i funzionari della Segreteria della Presidenza e dell'Archivio della Provincia e i precettati volontari (Angiolino Tolomei, Laura Panni, Laura Bravi, Mario Penci, Riccarda Leva, Arnaldo Fasani, Loredana Conca) che hanno accettato l'incombenza della trascrizione del testo  dattiloscritto su carta “velina” in forma digitalizzata, in modo da consentirne la conversione in stampa e/o telematica.

In un breve prosieguo era stata affrontata la questione subordinata del copy right; questione più che altro di eccesso di scrupolo, in quanto l'autore elesse come erede universale il Comune ( riservatamente interpellato in proposito). Non avendo la Provincia esercitato l'opzione della stampa si é ritenuto che l'autore sarebbe stato legittimato ad esercitarla in proprio.

Chiarito anche questo aspetto secondario, in sede di Associazione Zanoni, è restato un ulteriore dovere di precauzionalità rispetto all'istinto di procedere alla divulgazione dell'opera.

Compulsando dettagliatamente le carte è stato rinvenuto, tra le annotazioni impresse  a mano sul testo, un biglietto che evidenzierebbe qualche incongruenza (tutta da verificare) nella scansione dei contesti generali.

Da ultimo, si è avvertito il dovere di segnalare che il medesimo testo,  senza nulla togliere al talento letterario di Emilio Zanoni, presentasse  “libertà” tecnico-stilistiche, suscettibili di complicarne la lettura nell'elettivo bacino di lettori giovani (al quale l'iniziativa è prioritariamente destinata).

Renderemmo noi (che ci riteniamo eredi ideali dell'autore e servitore della Comunità)un cattivo servizio alla testimonianza culturale se reiterassimo, 70 anni dopo, l'interpretazione soggettiva data all'inadempimento concorsuale della stampa, alla luce un pregiudizio di parte.

Poiché l'iniziativa editoriale, 70 anni dopo, ha come primo scopo quello di divulgare la sostanza della testimonianza di Zanoni, con il concorso del Comitato Scientifico ed in particolare dei professori Angelo Rescaglio, Giuseppe Corada e Franco Verdi) si è ritenuto opportuno revisionare lessicalmente il testo in marginali passaggi, forse incongruenti per la lettura dei contesti correnti, per renderlo, come si usa dire,  “potabile” alla platea dei lettori contemporanei.

Diciamo che, in aggiunto al fatto che si sarebbe potuto procedere alla dirittura d'arrivo cinque anni fa (se non ci fossimo fidati delle rassicurazioni del vertice comunale, questa breve disamina degli antefatti e di inquadramento del progetto funge da incipit, da vernissage della presentazione del lavoro editoriale.

Sulla nostra strada abbiamo fortunatamente incrociato ragguardevoli risorse umane, intellettuali e civili; come i vertici delle Associazioni Partigiane e l'editore di Cremona Books, che si è assunto “il rischio” dell'edizione “cartacea”.

Condizione che risolve una problematica concreta non certamente marginale, ma, soprattutto, alza il rating dell'iniziativa.

L'edizione sarà pronta nelle prossime ore. Sarà in vendita presso il Book Shop del Palazzo dell'Arte. Ma potrà essere richiesto attraverso le associazioni partigiane.

Come si evince dalla locandina, verrà presentato nel significativo evento conviviale presso il prestigioso Circolo Filo.

Non escludiamo (anzi prevediamo), una volta garantita la sostenibilità concreta dell'edizione cartacea, di postare su www.ecodel popolo.it parti significative del testo, a cominciare dalle schede di ricerca delle fonti documentali. Che riserveranno, come hanno già riservato a noi, importanti sorprese.

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IL MOVIMENTO CREMONESE DI LIBERAZIONE NEL SECONDO RISORGIMENTO

SAGGIO STORICO

DAL PRIMO AL SECONDO  RISORGIMENTO NAZIONALE

NECESSITA' DI UNA STORIA LOCALE DELLA RESISTENZA AL FASCISMO

(xilografia di Graziano Bertoldi)

Vincere la sensazione di aver finito di vivere il futuro…

… è esattamente ciò che da tempo pervade, un po' a tutto campo e tematicamente (per la materia oggetto di questa specifica) le riflessioni e le consapevolezze di un attempato baby boomer, concepito, si potrebbe azzardare, con residuati bellici; per di più nel contesto degli albori di una transazione che avrebbe scandito un cambio di fase, molto simile (se non altro negli auspici ma anche nei rusultati concreti) ad una rivoluzione copernicana. E con esse la certezza che il “futuro” fosse irreversibilmente un presente, destinato ad una indefettibile progressione.

Come si sa, ci si sarebbe avveduti, in corso d'opera e, soprattutto, nelle derive del ciclo corrente, se non proprio dell'erroneità totale, della necessità di rettificare almeno parzialmente quella sicumera.

La ricorrenza dell'80mo (anzi l'avvisaglia) ci aveva, con virtuoso largo anticipo, indotto a tradurre in una organica sistemazione teorico pratica  questa riflessione.

Di recente ha osservato Natalia Aspesi: “dovremmo occuparci non solo di fascismo…” Con il suo portato, aggiungiamo noi, di un attento incrocio tra la permanente consapevolezza della fine di quel ciclo e l'avvertenza dell'effettivo stato dell'arte del processo di metabolizzazione, conseguente al cambio di fase di ottant'anni fa.

Con il che non intendiamo focalizzare, ad esclusivo beneficio del fondamento della premessa, quel segmento di segnalazione di posture vocate, come si è usi definire, allo scetticismo e al negazionismo/revisionismo revisionismo, in cui è sempre più difficile ignorare una stretta e funzionale correlazione e incontrovertibili simmetrie con i cambiamenti di pelle delle "testimonianze" illiberali.

Sia quel che sia abbiamo (la proprietà editoriale De L'Eco del Popolo e l'Associazione Emilio Zanoni) ritenuto opportuno ispirare il format celebrativo dell'80mo all'incipit, molto sinteticamente lumeggiato, nella sua ispirazione edificante ed in aderenza ai convincimenti in materia di centralità della funzione della storia in qualsiasi dimensione celebrativa e divulgativa.

Fieno ne avevamo messo, come si suol dire, in cascina, per effetto dell'attitudine verso la ricerca delle fonti documentali e verso la sistemazione storiografica di segmenti, diciamo, minori (nel senso di una dislocazione periferica rispetto agli eventi maggiori).

Attitudine diventata, nel corso del tempo, una linea guida cui riferire la predilezione dello sforzo di mettere in rete segmenti apparentemente disorganici di approfondimento. Sforzo che molto spesso, negli ultimi tempi, ha messo in sinergia non espressamente declinata i risultati di costanti interessi storico-culturali.

Ci siamo così imbattuti nella circostanza astrale scaturita, da un lato, dalla generosa segnalazione di Giuseppe Azzoni (che già una decina di anni fa aveva messo in dirittura d'arrivo il percorso che nei precedenti decenni aveva incrementato le supposizioni circa l'esistenza di un saggio storico di Zanoni) e, dall'altro, l'entrata in campo del generoso patronage di Davide Viola, allora Presidente della Provincia, istituzione, che, come si avrà contezza nel prosieguo, ebbe un ruolo negli sviluppi delle vicende incardinate nella volontà di dare, nel 1955, degna celebrazione, dieci anni dopo, alla Liberazione di Cremona.

La organica sistemazione storiografica (per la penna di Emilio Zanoni, che sul pezzo era già stato insistentemente in tutta la decade delle edizioni della testata socialista e nel biennio della testata CLN Fronte Democratico – edito 1945 1948) aveva come scaturigine occasionale la mozione del 1953  del gruppo socialista in Consiglio Provinciale, con cui veniva segnalata l'opportunità di una degna celebrazione del 10° anniversario. Che avesse come perno, in aggiunta ovviamente agli eventi celebrativi, un concorso storico tematico. Appunto la Liberazione di Cremona

Se ne fecero carico il Consiglio Provinciale e la Presidenza. Fu reso pubblico il bando (pubblicato, come era uso fare allora, a mezzo manifesti murali).

Al di là degli impulsi “militanti” correlati alla permanenza di non sopiti idealismi, abbiamo ritenuto, in aggiunta all'auspicio di benefiche ricadute sul terreno dell'intensificazione del programma di approfondimento e divulgazione di quei valori (peraltro, già in atto per spontanea iniziativa di un multiforme aggregato di iniziative presenti nel territorio), di dare conseguenze pratiche al ritrovamento di un testo di valore storiografico, cui minimalmente andrebbe riconosciuto il valore di una cronaca in diretta dell'accadimento di ottant'anni fa.

Contestualmente e conseguentemente all'istruttoria in sede consigliare fu costituita una Commissione giudicatrice, presieduta, a dimostrazione della ineccepibile caratura storica dell'iniziativa, dall'autorevole cattedratico cremonese, professor Alfredo Galetti, titolare della cattedra di letteratura italiana di Bologna.

Ne sarebbe risultato vincitore Emilio Zanoni. Ma, per le ragioni dichiarate dai pronunciamenti degli aventi causa nella procedura concorsuale ed in quelle sottese, il testo non avrebbe raggiunto gli oneri editoriali.

Sul che offriremo ampia disamina su basi espressamente documentali nelle successive edizioni digitali della testata che Zanoni diresse per molti decenni.

Mancheremmo colpevolmente ad un primario dovere di inquadramento storico-culturale se, in questi tempi contraddistinti dall'insorgenza, come abbiamo anticipato, di pulsioni “revisioniste” prevalentemente incardinate nella manomissione della storia, non evidenziassimo la mission del Saggio. Il cui titolo (Dal Primo al Secondo  Risorgimento Nazionale)  fa giustizia oltre ogni ragionevole dubbio del background ideale, che mosse lo scrittore, nella doppia veste di cronachista in diretta dell'accadimento oggetto del saggio ma anche di partecipante attivo dei fatti. E fa giustizia, soprattutto, della “diceria” affibbiata indistintamente al “pacchetto” di sinistra della Resistenza di finalizzare la Liberazione nell'ottica della “spallata”.  Per quanto non strettamente indispensabile il Saggio di Zanoni (ispirato dal forte richiamo al “secondo Risorgimento) dice sufficientemente della vera ispirazione di quella appassionata stagione, di idealismi e di progetti di cambiamento. Che avrebbero consegnato ai posteri una Patria unita, emancipata, più giusta.

Emilio Zanoni (Cremona, 25 settembre 1914 – Ponte di Legno, 15 agosto 1995)

Biografia

Dopo la sua morte - avvenuta nell'agosto 1995 all'età di 80 anni - una parte della sua biblioteca personale è stata donata alla biblioteca del Collegio Borromeo.

A 25 anni dalla scomparsa di Emilio Zanoni  proprio il giorno di ferragosto nella sua casa di Ponte di Legno si terrà un momento di commemorazione. Il presidente del Consiglio comunale Paolo Carletti con l'Assessore alla Partecipazione Rodolfo Bona, alle ore 8,30, lo ricorderanno con una breve cerimonia al cimitero. Emilio Zanoni fu  sindaco di Cremona dal 1970 al 1980.

Nato a Cremona il 25 settembre 1914 e figlio di un ferroviere, poté (come la sorella professoressa Mina) accedere ai studi superiori “per merito” della borsa di studio presso il prestigioso Collegio Borromeo. Si laureò  in Giurisprudenza all'Universita' di Pavia nel 1938. Sarebbe stato tra gli esponenti più significativi del movimento socialista cremonese. Nel 1942 aveva aderito al Partito Socialista, allora clandestino, 2 a seguito del 25 luglio 1943 sarebbe conseguentemente entrato nel processo di  allestimento della struttura clandestina della Resistenza e di riorganizzazione della Federazione Socialista a Cremona. Del cui organo di stampa avrebbe assunto l'appassionata e competente direzione, contestualmente (dalla fondazione alla chiusura, 1945-1948) a quella del Fronte Democratico, emanazione del C.L.N. cremonese.  

Nel 1951 venne eletto nel Consiglio Comunale di Cremona. Dal 1957 al 1958 sarebbe stato  assessore alle finanze nella Giunta del Sindaco Arnaldo Feraboli. Ma Zanoni fu anche senatore dal 1958 al 1963.  Fu eletto sindaco di Cremona nel '70, ruolo ricoperto per due mandati, nel primo mandato governò con una coalizione di   centrosinistra  formata da DC, PSI e PSDI e nel quinquennio successivo con  PSI,PCI e PRI partito repubblicano. Tra il 2024 e il da poco iniziato 2025 ricorrerebbero il 110° della nascita ed il 30° della scomparsa.

profilo umano e politico (dedotto da Il Socialismo di Patecchio)

Si é voluto legare il progetto per un nuovo segmento della ricerca storica, di cui la città-capoluogo e la provincia sono già ampiamente dotate, indirizzato verso il patrimonio di pensiero e di azione politica del socialismo cremonese, al nome di Emilio Zanoni, in quanto la Sua figura sembra compendiare in sé la corrispondenza alle caratteristiche di tale progetto.

Zanoni é stato, nella sua lunga vita, studioso, scrittore e giornalista, militante e dirigente politico, rappresentante dei cittadini nelle Istituzioni.

Il Suo percorso, in un'epoca non certamente banale dal punto di vista dei fermenti e dei passaggi cruciali, non é stato e non poteva essere lineare e convenzionale, appunto in rapporto al carattere non comune dell'epoca e degli eventi, di cui é stato testimone e protagonista.

Il basso profilo, come si dice oggigiorno, di stile, indotto sicuramente da un'indole timida e schiva, ma consapevolmente adottato e fermamente mantenuto in coerenza con una visione dell'impegno intellettuale e della passione civile, in cui gli acuti sono riservati alla dialettica e non alla spettacolarità, potrebbe fuorviare nella percezione del significato e della testimonianza della politica, meritevoli di essere sottratte all'oblio del tempo ed agli effetti traumatici di cambiamenti, che hanno obiettivamente forzato l'impianto costituzionale e rimosso il valore etico dell'associazionismo politico.

A coloro che furono dirigenti e militanti o semplicemente elettori socialisti e che, oggi, sono, magari, solo osservatori dell'attuale scenario, scaturito dalle invasioni di campo tra poteri, dagli eccessi referendari, dalle rivoluzioni tanto false quanto sterili, non può sfuggire il senso di vuoto lasciato, non tanto da movimenti scomparsi, quanto dal patrimonio ideale e dottrinario che sostenne quei movimenti.

Emilio Zanoni ha chiuso gli occhi, stroncato da una solitudine e da un dolore indicibili, provocati dalla scomparsa della sorella Mina, con cui condivise un'intera esistenza di impegno civile e di dedizione alla cultura ed alla crescita del sapere, ma anche di rettitudine e di riservatezza, su uno scenario tutt'affatto diverso da quello in cui operò, come politico, parlamentare, amministratore comunale dalla Liberazione al 1980.

Paradossalmente (ma non troppo) l'essere appartenuto alla vita pubblica ed all'impegno giornalistico, che già nella “Prima Repubblica” (anche se enormemente di meno rispetto all'attuale spettacolarità) presupponevano una certa propensione a disvelare se stessi e a mettersi alla prova, non indusse mai Emilio Zanoni a compromessi con la propria scelta di rimanere fedele alla semplicità, al riserbo, alla discrezione, così come non confuse la partecipazione appassionata alla dialettica politica con l'appartenenza a correnti, vissute da molti altri più come trampolino di lancio e di mantenimento di carriere.

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Introduzione

In occasione dell'ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo, il concorso di diverse volontà permette di porre a disposizione dei lettori, soprattutto di Cremona e provincia, per la prima volta un testo di notevole rilevanza. In rete, grazie all'impegno de “L' Eco del popolo”, viene pubblicata l'edizione integrale (dopo una meritoria edizione parziale a cura di Giuseppe Azzoni dieci anni fa) e su carta, per le edizioni Cremonabooks, l'edizione quasi integrale di un' opera di Emilio Zanoni (1914-1995). Zanoni, Senatore della Repubblica dal 1958 al 1963 e popolare Sindaco di Cremona dal 1970 al 1980, scrisse quest'opera nel 1955, in occasione del decimo anniversario della Liberazione. Aveva allora una quarantina d'anni ed una trentina quando era stato tra i protagonisti dell'Antifascismo e della Resistenza a Cremona e Provincia. Questo lavoro risente, fin dal linguaggio, della preparazione giuridica, letteraria e politica di Zanoni all'Università di Pavia, luogo di formazione umana e politica per molti giovani cremonesi fin dal Risorgimento. Tutti coloro che hanno conosciuto Zanoni sanno che a Pavia l'immersione del giovane studente nei testi ottocenteschi di letteratura, politica e giurisprudenza aveva formato per sempre il suo linguaggio, il suo modo di parlare, di esprimersi, insieme antiquato ed efficace. Anche in questo testo troviamo espressioni assolutamente oggi obsolete, anche se italianissime (tanto per citarne alcune: “fiso”, “esulare”, “forre”, “pei”, “resipiscenti”, “aire”, “epa”, “rubesti”, “saccardi”). Il testo è comunque assai leggibile dal punto di vista della lingua: queste espressioni creano solo una patina di antico in un testo di notevole modernità, i cui contenuti soprattutto meriterebbero grande attenzione ed attenta riflessione. La ricerca storica da allora è proseguita molto e guai a non tenerne conto; ma questo scritto mantiene intatti validità ed interesse, anzitutto per le informazioni “di prima mano” che l'Autore, protagonista in tante occasioni, ci dà relativamente alla storia di Cremona e della Provincia, dall'avvento del Fascismo in poi; pure, però, per le valutazioni di carattere generali su Fascismo e Resistenza.

Zanoni parte dalla considerazione che, per capirla davvero, la Resistenza, occorre collocarla in un quadro di avvenimenti che vengono da molto lontano. Egli infatti sottolinea continuamente il legame tra Resistenza e Risorgimento, secondo una convinzione diffusa soprattutto nel mondo azionista e socialista. Sottolinea altresì il legame della Resistenza con l'Antifascismo precedente al Ventennio, seppure con evidenti aggiornamenti ad una diversa realtà sociale e politica. Sottolinea anche che la Resistenza cremonese non può essere vista se non all'interno del movimento nazionale di lotta armata contro il Nazifascismo e ricorda che anche dopo il 25 Aprile in molti casi i partigiani cremonesi, pur potendo starsene “con le mani in mano” a veder passare i tedeschi in fuga, cercarono di ridurre il più possibile il potenziale bellico dei fuggiaschi per ragioni non territoriali ma nazionali. Per Zanoni il Fascismo è stato un ritorno al passato, a prima di Mazzini e Garibaldi, è forza antistorica ed antinazionale, perché ha bloccato lo sviluppo in senso sociale e democratico della Nazione. Il confronto tra Risorgimento e Resistenza percorre l'intero scritto di Zanoni. Ovviamente, la Resistenza porta delle novità e Zanoni tenta una analisi complessiva, una sistemazione teorica, di quanto avvenuto pochi anni prima. Per lui caratteristiche della Resistenza sono: 1) lotta organizzata; 2) unitaria; 3) nazionale; 4) variegata; 5) convinzione di lavorare insieme anche dopo la fine della dittatura per sempre più democrazia.  Zanoni ne fa anche una questione di classe, nel senso anzitutto che vi era una forte aspirazione all'innovazione sociale un po' in tutte le forze della Resistenza, anche in quelle più moderate; certo con tante sfumature e tante differenze, ma l'esigenza di un cambiamento sociale, di una maggiore giustizia sociale era estremamente diffusa. Nel senso poi che, pure con eccezioni, erano più diffusi tra i ceti più poveri la solidarietà, l'impegno al sacrificio e l'opposizione al sistema di dominio, mentre vi era tra i ricchi e benestanti più individualismo e più egoismo, quindi meno disponibilità a rischiare nella lotta. Comprensibilmente, visto che i primi nulla avevano da perdere, mentre i secondi erano legati a proprietà, averi e ricchezze. Per questo Zanoni elogia tra i secondi coloro che costituirono delle eccezioni: alcuni ricchi professionisti, anche alcuni proprietari terrieri e certi industriali. Eccezioni, però. 

Zanoni vuole raccontare, sinteticamente, la storia di Cremona dalla presa di potere del Fascismo. Riprende, quindi, dalla descrizione del Ventennio. La città, apparentemente “fascistissima”, dove Farinacci sembrava dominare in maniera assoluta, nel profondo e in silenzio, secondo Zanoni, manteneva una sostanziale fedeltà agli ideali democratici. Gruppi organizzati rimasero in clandestinità, ma sempre presenti; e questo si poteva notare ai funerali, alle celebrazioni clandestine del primo maggio, ai volantinaggi qua e là presenti nel corso degli anni. Soprattutto i comunisti, dice Zanoni citando Rosolino Ferragni, condannato nel 1928 a 16 anni e quattro mesi di carcere, erano attivi nel mantenere una rete clandestina: si riunivano in locali pubblici, a porta Po e porta Venezia; i “fenicotteri” (così venivano chiamati i corrieri che trasportavano materiale clandestino) collegavano i vari gruppi con Milano. Purtroppo, delazioni, infiltrati dell'Ovra (la Polizia segreta fascista), ingenuità, provocarono nel corso degli anni arresti, condanne al confino, dispersione dei gruppi di militanti antifascisti. Piccoli gruppi, però, soprattutto di azionisti e comunisti, rimasero sempre attivi. Alcuni giovani cremonesi, studenti dell'università di Pavia (dove forte era la presenza antifascista), diventeranno poi protagonisti della Resistenza, tra cui lo stesso Zanoni.

Zanoni si sofferma poi sul 25 luglio del 1943, quando il Gran Consiglio del Fascismo sfiduciò il Duce ed il Re lo fece arrestare. Il “colpo di Stato monarchico”, così lo chiama Zanoni, fu promosso dalle stesse forze che nel 1922 avevano sostenuto il Fascismo ed ora, a causa dell'andamento della guerra e del malcontento popolare, cercavano di accreditarsi davanti agli italiani ed al mondo libero distinguendo le proprie responsabilità da chi fino ad un momento prima avevano osannato. Zanoni  è assai severo: “la Corona, la burocrazia, l'alta banca, il grande capitale... C'era qualcosa di sporco nel fatto che i complici di lunga data buttassero a mare i più compromessi per rifarsi una verginità di seconda mano”. Però, secondo Zanoni, occorre vedere anche il rovescio della medaglia: il “colpo di Stato monarchico” socchiuse le porte alle forze popolari e democratiche. In maniera parziale e limitata, è vero. Con molti divieti. Ma i partiti antifascisti approfittarono dei 45 giorni del governo Badoglio per emergere alla luce del sole e rafforzarsi. Il giudizio sul governo Badoglio resta comunque assai negativo: solo nella repressione degli antifascisti funzionò, seppure solo in parte; non nel bloccare i tedeschi e smantellare definitivamente la dittatura. 

A Cremona il 25 luglio venne vissuto all'inizio con grande sorpresa e poi con gioia ed entusiasmo, per la convinzione che la guerra fosse finita ed il Fascismo definitivamente caduto. Zanoni descrive la città della notte del 25 luglio, a causa anche dell'oscuramento integrale per paura dei bombardamenti, come “un ammasso oscuro di ombre ed un incerto formicaio di uomini e di speranze”. La mattina del 26 luglio, quando le notizie dell'arresto del Duce e di un nuovo governo sono confermate, è una mattina di festa, “di spensierata allegria”. Alcuni gruppi penetrano negli edifici pubblici e nei palazzi del potere fascista: i simboli fascisti ed i ritratti di Mussolini vengono buttati per strada e fatti a pezzi. Per le vie cittadine si forma quasi spontaneamente un corteo che, al canto di “Fratelli d'Italia” e con in testa la bandiera tricolore, attraversa la città imbandierata. Vengono affissi i primi manifesti inneggianti alla libertà riconquistata. Pochi “tafferugli di lieve entità”: a Cremona, nonostante tutto, non vi furono rappresaglie nei confronti dei fascisti. Fu dopo l'8 settembre e con la Repubblica di Salò che l'odio crebbe. Il 26 luglio si tenne un comizio in piazza del Duomo, interrotto però dai militari. Ben presto gli antifascisti si resero conto che il regime in cui si trovavano era di semilegalità, non di democrazia. I partiti, però, si riorganizzarono egualmente. Si formò un Comitato Antifascista, il cui ruolo fu sempre assai limitato. A comandare davvero fu il Comando Militare della piazza di Cremona, diretto dal generale Giacomo Florio, un uomo, dice Zanoni, “senza iniziative e senza mordente”.  

Sicuramente è l'8 settembre del 1943, per Zanoni ma anche per la più parte degli storici, il momento del decisivo cambiamento: “il significato dell'otto settembre sta, profondamente, in questa antitesi fra il vecchio ed il nuovo mondo che sorge”... “da un canto la vecchia società italiana, con le sue sovrastrutture fasciste e statali rimaste anche nei 45 giorni, dall'altro le forze di rinnovamento della nazione”. Da un lato è una data infausta per il crollo o l'inadeguatezza delle vecchie istituzioni (Monarchia, Esercito ecc.); dall'altro è l'inizio di un lungo cammino verso la democrazia. Cremona è una delle poche città italiane in cui i militari residenti nelle caserme cittadine si oppongono in armi all'occupazione tedesca. Alcuni civili li sostengono ed alla fine vi sono 31 morti italiani ed un numero imprecisato di tedeschi. Dallo sfacelo dell'8 settembre nasce la “repubblichetta” di Salò o “repubblichina” (così da subito il popolo la definì), asservita ai tedeschi. Una repubblica da operetta, aggiunge subito Zanoni. I cremonesi che vi aderirono lo fecero o perché burocrati (nel senso che volevano prendere uno stipendio per vivere meglio di altri) o per fanatismo. A parte pochi grandi gerarchi che continuarono a ricavare ricchi profitti. Secondo Zanoni la “gran massa del popolo cremonese” fu antifascista non solo per odio alla guerra, ai tedeschi ed alla tirannia, per sdegno o virtù; ma perché “anelava a ricostituirsi in democrazia”. La repubblichina ha la stabilità dei castelli di sabbia. Zanoni è durissimo nei confronti di chi aderisce: “pochi deboli di mente”, “tarati o fanatici”, “mascalzoni”, “ghigne sinistre”, “sbarbatelli precocemente sfuggiti ai patrii riformatori”, “per innata viltà”, “masnada di avventurieri”, “belve”, “lanzichenecchi della Decima Mas” e così via. Le donne, le cosiddette “ausiliarie”, sono degne di loro: “rifiuti della nazione”! Questo il popolo pensava. Ed infatti, dopo anni di chiuso conformismo e di obbedienza cieca, la gerarchia si vide di fronte all'inosservanza “assoluta e glaciale” delle sue ordinanze, soprattutto quelle che reclutavano i giovani per l'esercito filotedesco. L'esercito repubblichino si stava infatti ricostituendo in Germania: alcune decine di migliaia dei circa seicentomila militari italiani catturati dopo l'8 settembre aderirono; la stragrande maggioranza disse di no, con grande coraggio ed al prezzo di gravi privazioni. Non solo: intere compagnie della “Monterosa”, la principale Divisione dell'esercito repubblichino, passarono poi, giunte in Italia, con i partigiani. La repubblichina, ricorda Zanoni, si dotò anche di un finto “socialisteggiare”, di una finta democrazia, di un finto rifarsi alle origini diciannoviste o al passato risorgimentale, mazziniano e garibaldino. Farinacci in realtà, lo si sa da tante fonti, era poco convinto della “politica sociale” adottata ufficialmente dalla Repubblica (che lui avrebbe voluto chiamare “fascista” e non “sociale”). Per lui non aveva senso la lotta ai capitalisti, per quanto “traditori”, in quel momento e non tutti. Gli operai dovevano fare il loro lavoro, i contadini pure, i capi comandare... Farinacci auspica uno Stato in cui la gerarchia sia tutto, leale con i tedeschi, in cui i privilegi dei gerarchi siano rispettati. Secondo Zanoni “il fascismo repubblichino resta un fenomeno estraneo alla comunità nazionale”. 

La Resistenza vera e propria costituisce la parte fondamentale del lavoro di Zanoni. Primo problema è definire la Resistenza: solo movimento di liberazione nazionale dallo straniero e dalla dittatura o anche rivoluzione? Per Zanoni la Resistenza fu soprattutto rivoluzione, ma una rivoluzione democratica. Una rivoluzione che iniziò tra la fine di settembre ed i primi di ottobre del 1943, nel centro-nord essenzialmente. La Resistenza fu il “popolo in armi”: anche in questa definizione si vede la convinzione che ci fosse una reale continuità rispetto al primo Risorgimento. Il vero governo della Resistenza non fu quello del re e di Badoglio, ma quello del CLN, del Comitato appunto formato dai partiti rappresentativi del popolo. A Cremona il Comitato Antifascista, costituitosi dopo il 25 luglio e disperso dal ritorno dei fascisti, venne sostituito dal Comitato di Liberazione, espressione locale del Comitato nazionale. Zanoni fece parte, in rappresentanza dei socialisti (allora PSIUP) del Comitato cremonese, cui facevano riferimento i tanti CLN comunali della Provincia, ininterrottamente dall'autunno del 1944 fino alla Liberazione.

L'attività partigiana in una realtà di pianura o di città era molto diversa rispetto a quella che poteva svolgersi in montagna. Però, sostiene Zanoni, come in montagna anche in città ed in pianura fu molto presente e sostenuta convintamente da gran parte della popolazione. Zanoni insiste molto sul concetto del “sostegno popolare”: a differenza del Risorgimento, quando il “popolo minuto” e soprattutto i contadini furono indifferenti, o in certi casi anche ostili ai patrioti, con la Resistenza la partecipazione fu corale. Per questo anche lui, come del resto tanti altri partigiani che ho conosciuto, fu assai contrario all'uso dell'espressione “guerra civile”, legittimata poi dagli studi di un grande storico, pure lui partigiano, Claudio Pavone. Ovviamente, dipende da che cosa si intende! Pavone usa l'espressione addirittura per esaltare l'eticità della guerra partigiana. Zanoni definisce invece chi sostiene la tesi della guerra civile “alleato dei fascisti”, perché chi allora la sosteneva (e forse alcuni anche oggi) intendeva mettere le due parti sullo stesso piano, con torti e ragioni più o meno uguali. Invece si è trattato di una “sacra guerra” della stragrande maggioranza del popolo italiano contro l'invasore e i suoi servi e per una democrazia vera. I partigiani sono “l'esercito dell'Italia democratica”, secondo Zanoni, abbastanza consapevoli della scelta che compivano (non sceglievano, cioè, quasi a caso, perché comunque bisognava stare “o di qua o di là”). La repubblichina di Salò (come in Europa tutti i governi collaborazionisti) è nata ad opera dei tedeschi e per difendere i privilegi della casta fascista, senza nessuna dignità istituzionale. Nè morale: i repubblichini erano fanatici o “pagnottisti”, arroganti e violenti (spesso i più violenti erano non Cremonesi ma provenienti dalle regioni del centro-sud Italia già liberate dagli Alleati). Insaziabili: grandi quantità di viveri, di buona qualità, erano riservati ai militi fascisti ed ai tedeschi mentre il tenore di vita dei cremonesi calava ogni giorno. Manovrieri: Farinacci cercò, appoggiando e stampando la rivista “Crociata Italica” di don Tullio Calcagno, di crearsi una base di consenso nel mondo cattolico più reazionario, favorendo un vero e proprio scisma nella Chiesa. Nessuna somiglianza, quindi, fra le due “parti”, nessuna equivalenza. Zanoni, poi, passa a parlare con cognizione di causa della “città sotterranea”, della rete clandestina che si sviluppa a Cremona e in Provincia. Da gennaio a maggio del 1944 si rafforzano i partiti antifascisti, cresce il reclutamento militare fra i partigiani, si organizza il consenso popolare. Zanoni sostiene la piena legittimità delle azioni partigiane, anche quelle apparentemente più contestabili: bisognava “incutere terrore agli oppressori, alla guerra totale proclamata dai nazifascisti i patrioti non potevano che rispondere con la guerra totale del popolo, condotta senza esclusione di forme e di colpi”. Ma la differenza morale era enorme: Zanoni cita tanti casi di violenza gratuita da parte dei fascisti, casi che ancora oggi fanno sanguinare il cuore delle persone oneste. Quello di Luigi Ruggeri, il partigiano “Carmen”, giovane sottufficiale della Guardia di Finanza, catturato per una delazione. Portato a Villa Merli, interrogato e torturato, non parla; i partigiani catturano due militi fascisti per scambiarli con lui, ma nonostante questo viene torturato e ucciso, mentre i partigiani ai due militi non torcono un capello. Quello di Sergio Murdaca, studente dell'Istituto Tecnico “Ala Ponzone” di Cremona: catturato dai fascisti, viene mutilato di un occhio, evirato, finito a colpi di moschetto sulla testa e poi bruciato tra le fiamme del cascinale dove si era rifugiato. I giovani cremonesi barbaramente trucidati ed evirati al Col del Lys... Zanoni cita tanti altri casi simili di violenze da parte dei fascisti. I partigiani non si sono mai comportati così! Furono moltissimi i caduti Cremonesi fra i  partigiani, sia nel territorio della Provincia di Cremona che, soprattutto, in montagna: in Val di Susa, sull'Appennino piacentino-parmense ma anche in tanti altri luoghi in cui per le vicende della vita si trovarono ad essere. Alcuni addirittura si unirono ai partigiani slavi in Jugoslavia o al maquis in Francia o in zone del Nord Italia assai lontane da Cremona. Non possiamo certo seguire le vicende di questi eroici ragazzi, ma ognuno di loro meriterebbe un racconto. 

Zanoni parla anche, manifestando tutta la sofferenza dei Cremonesi del tempo, dei bombardamenti da parte degli Alleati, bombardamenti la cui responsabilità non può che essere attribuita alla guerra fascista. Il 2 maggio del 1944, una mattinata di domenica, centinaia e centinaia di bombardieri alleati passano sopra Cremona ed i paesi vicini diretti verso l'Austria e la Germania. Tremano i vetri delle case e la paura è grande. E' però anche una dimostrazione di potenza che rincuora gli antifascisti. Il mese dopo, il 4 giugno c' è la Liberazione di Roma e subito dopo l'apertura del fronte in Normandia. A Cremona i fascisti proclamano tre giorni di lutto per la caduta di Roma “in mano ai barbari”, con la sospensione dei pochi spettacoli ed eventi sportivi che ancora si tenevano. I Bollettini di guerra fascista definiscono “fluida” la situazione: un modo  per mascherare le sconfitte! Il 14 giugno vengono bombardate piazza Castello e le case oltre il passaggio a livello di via Milano. Poche vittime, ma il 10 luglio vi sono più di 100 morti e 200 feriti nel bombardamento della Stazione ferroviaria e piazza Risorgimento. Pochi giorni dopo il ponte di ferro sul Po viene semidistrutto e quasi tutti i ponti sull' Adda, l' Oglio, il Serio vengono bombardati. La provincia di Cremona, che è circondata da fiumi, risulta isolata. Nel tardo autunno però i fascisti rialzano la testa, anche a causa del cosiddetto “proclama Alexander”, in cui il comandante inglese invitava i partigiani a cessare per l'inverno le attività più pericolose. Fascisti e tedeschi ne approfittano per riorganizzarsi e intanto continua la propalazione di false notizie su nuove mirabolanti armi segrete di Hitler. Il mese di dicembre 1944 è paradossalmente il mese in cui i fascisti più fanatici credono maggiormente nella vittoria! Comunque, anche nei mesi più difficili dell'inverno tra il 1944 e il ‘45 (i mesi dei grandi rastrellamenti nazifascisti in montagna e lungo le direttrici principali) la guerra partigiana continua e gruppi partigiani sono sempre in azione. 

Zanoni infine dedica una buona parte della sua narrazione al periodo dell'insurrezione. Più preparati sono, a suo parere, i gruppi partigiani di provincia, provenienti in gran parte dal mondo contadino, rispetto a quelli di città più eterogenei (salvo i gruppi operai, perché grande fu il ruolo delle lotte operaie e degli scioperi del Marzo del ‘43 e del Marzo del ‘44). Lontani e ancora impegnati nella guerriglia i partigiani di montagna, la lotta insurrezionale è sostenuta per un certo periodo quasi esclusivamente dai gruppi di città e campagna. La struttura militare è quella classica. Vi era la Divisione. Poi la Brigata, composta da circa 300 uomini; ogni Brigata è formata da due Battaglioni, un Battaglione da più Distaccamenti, ogni Distaccamento da due o più Squadre. Ogni comandante è affiancato da un Commissario Politico, che cerca di dare un indirizzo il più preciso possibile. Il nome viene scelto, in genere nei giorni dell'insurrezione o anche dopo, fra i caduti più prestigiosi. Le Brigate Garibaldi operanti a Cremona e Provincia, in prevalenza formate da partigiani comunisti, erano riunite in Raggruppamento (280° Raggruppamento “Ferruccio Ghinaglia”, Comandante il milanese Ettore Grassi, Commissario Guido Percudani). Il Raggruppamento conta quattro Brigate: 1) la “Follo”, operante nel Cremasco e nel Soresinese; 2) la “Cerioli”, organizzata nella zona da Cremona a Ostiano; 3) la “Carmen Ruggeri”, nella zona del Casalasco inferiore; 4) la “Ghidetti”, Brigata Sap di Cremona città. L'armamento è buono ormai, recuperato negli ultimi mesi dal disarmo di tanti militi fascisti e dalle armi di molte caserme degli ex-carabinieri. Nella fase insurrezionale, la situazione permette di armare quasi tutti i partigiani. Le Brigate “Matteotti”, socialiste, erano tre, più alcuni Battaglioni autonomi (a Crema, a Stagno Lombardo ed a Spineda). Secondo il “Diario storico delle Matteotti”, al 12 agosto 1944 i “matteottini” nella zona centrale della provincia erano 320. Le “Fiamme Verdi”, che in genere organizzavano partigiani cattolici, pure comprendevano tre Brigate: 1) la “B. Zelioli”, operante nella zona di Olmeneta e Cremona; 2) la “Zambelli”, nella zona ovest della provincia; 3) la “A. Boccoli”, per la zona est della provincia. Più attiva e forte era quella ad est. In più vi erano gruppi autonomi nel Cremasco. Le “Fiamme Verdi”, inoltre, erano molto attive nel servizio di informazioni, preziose per il Corpo Volontari della Libertà. Vi erano poi la Brigata “Rosselli”, di “Giustizia e Libertà”, del Partito d'Azione, soprattutto attiva in città a Cremona. Comandante era il poco conosciuto veterinario cremonese Lionello Miglioli e comprendeva 171 partigiani e 306 patrioti. Anche il “Fronte della gioventù”, organizzazione unitaria, anche se a prevalenza comunista, della gioventù antifascista, aveva organizzato la sua Brigata, la “Eugenio Curiel”, che diede prova di valore e sacrificio nei giorni dell'insurrezione. Questo riusciva a mettere in campo il CLN cremonese! I fascisti sottovalutarono sempre la forza dei partigiani in città e provincia di Cremona. Ed anche noi, forse. Ho riportato nei dettagli l'elenco che fa Zanoni per mostrare, anzitutto, la forza della Resistenza a Cremona e Provincia. Non a caso Cremona si libera da sola e quando arrivano i soldati Alleati la città è in mano ai partigiani! E poi ho citato l'elenco per dimostrare come la Resistenza, qui come altrove, non fosse prevalentemente formata da comunisti ed azionisti, con l'aggiunta di un po' di socialisti. Ruolo decisivo lo giocò la componente cattolica, per la cui funzione anche militare Zanoni mostra sempre un grande rispetto. Per di più, le divisioni politiche non erano così nette come oggi siamo portati a credere: vi erano cattolici nelle Brigate comuniste, azioniste o socialiste e viceversa.

La consapevolezza della sconfitta si fece strada in città fra i fascisti anche più ottusi nel pomeriggio del 22 Aprile, quando cominciarono ad arrivare in Cremona da oltre Po fascisti fuggiaschi, a piedi o in bicicletta. Zanoni li descrive come animali: “deposta dal volto l'usata minaccia entravano negli esercizi pubblici a calmare l'arsura della strozza da cui raucamente non uscivano che bestemmie e imprecazioni all'indirizzo dei capi paurosi e traditori”. Il pomeriggio del 23 Aprile, alle 17, il CLN provinciale si riunì e praticamente rimase riunito in permanenza da allora. Del CLN, vista l'ingente mole di lavoro, facevano parte ormai due rappresentanti per partito e non uno solo, come fino ad allora era stato (Zanoni, prima solo socialista, poi fu uno dei due). Le prime decisioni sono organizzative: la fascia tricolore al braccio per i patrioti come segno di riconoscimento; occupare anzitutto gli edifici pubblici; liberare i prigionieri politici; giudicare in fretta i fascisti particolarmente colpevoli. Il 24 la situazione è ancora abbastanza tranquilla. In piazza Sant'Agata, di fronte a palazzo Trecchi, i tedeschi avevano messo quattro mortai, due verso corso Campi due verso San Luca. Molti cittadini temevano estreme vendette sulla città. I fascisti invece, secondo Zanoni vigliacchi, se la stavano squagliando o cambiavano casacca. Fuggivano verso le montagne bresciane e i tedeschi si disinteressavano di loro. Il 25 Aprile Guido Miglioli, illustre esponente della sinistra cattolica, propone un incontro con Farinacci per trattare la resa. Il CLN però è contrario: ormai l'indicazione nazionale è quella che ufficialmente darà Sandro Pertini, “arrendersi o perire”. E' chiesta, cioè, la resa incondizionata. Il colloquio si tiene lo stesso, ma senza risultati. Il CLN cremonese decide l'insurrezione per il 26 Aprile alle 14: l'avviso verrà dato ai gruppi partigiani tramite staffette e con il suono simultaneo a martello delle campane. Il comunicato del CLN, scritto probabilmente dallo stesso Zanoni si conclude così: “… cittadini, alle armi contro fascisti e tedeschi”. La mattina del 26 era “grigia, fredda, nebbiosa”. Ancora, soli oppure a crocchi, fascisti in fuga. A poco a poco, gruppi di partigiani si mettono in posizione e si avvicinano alla città. Primo ordine del CLN al Procuratore fascista: liberare subito i patrioti prigionieri (cosa che avverrà, ma non subito). In quel momento, mattina del 26 aprile, i patrioti in città sono dai 600 ai 700 armati. Tedeschi e fascisti erano ben più numerosi (anche per l'arrivo dei fuggiaschi da oltre Po) ed i tedeschi bene armati e meglio preparati dei partigiani. Se avessero voluto, tedeschi e repubblichini avrebbero potuto mettere a ferro e fuoco la città; ma i primi pensavano solo ad una ritirata ordinata per ricostituire una linea di difesa sulle Alpi ed i secondi pensavano solo a ritirare milioni dalle banche e scappare. Il “capo della provincia” fascista, Vincenzo Ortalli, tramite monsignor Cazzani chiede un incontro al CLN, incontro che avviene al Palazzo della Provincia di corso Vittorio Emanuele, la mattina del 26. Ortalli era comandante politico e militare (la repubblichina, in odio alla Monarchia, aveva abolito le Prefetture), formalmente sovraordinato allo stesso Farinacci. Farinacci fugge verso mezzogiorno del 26 su di un' auto carica di valigie. Il CLN accetta la resa incondizionata, che nel frattempo Ortalli aveva proposto: i militi fascisti non responsabili di crimini sarebbero stati rispettati. Alle 14 suonano le campane della città e dei paesi, i partigiani dalla provincia cominciano a entrare in Cremona, gli ultimi fascisti fuggono. A Villa Merli addirittura, i torturatori, certi che non l'avrebbero passata liscia, si aprono un cunicolo, forando la muraglia per passare attraverso giardini e case e fuggire. Alla caserma “Paolini”, i cosiddetti “fidanzati della morte”, per sfuggire all'abbraccio della loro amata (a parole e forse degli altri) cercano di nascondersi sotto montagne di materassi e coperte, snidati a calci dai partigiani. La battaglia per la Liberazione, racconta Zanoni, si andò frantumando nelle tarde ore del 26 Aprile in una serie di scaramucce e scontri a fuoco. Il 27 Aprile, 22 anni e 9 mesi da che le “masnade fasciste erano penetrate in palazzo comunale”, la battaglia può dirsi conclusa. Il 28 Aprile però continua ad imperversare in periferia ed in Provincia. Zanoni affronta anche con chiarezza un argomento delicato: le condanne dei fascisti. Niente vendette, poche fucilazioni. Il Tribunale di guerra (composto da tutte le formazioni patriottiche) condanna a morte nove fascisti rastrellatori e spie, responsabili della morte di tanti patrioti, e tre elementi della Questura fascista, responsabili di torture e sevizie. Vengono fucilati alla Caserma del Diavolo; un altro viene fucilato in piazza Marconi: tutti con regolare processo. Altre condanne vengono comminate in contumacia. Meno di 40 fascisti sono giustiziati in tutta la provincia. I capi maggiori vengono fucilati altrove: Farinacci a Vimercate, il console Tambini vicino a Soncino, l'ingegner Mori nei pressi di Milano, Tullio Calcagno a Milano, Lino Milanesi a Bergamo. Legittime sono state le condanne, afferma Zanoni; oltretutto, sarebbe stato impossibile fare diversamente, perchè il popolo era pronto a farsi giustizia da solo.

Altro tema affrontato da Zanoni riguarda l'atteggiamento da tenere nei confronti dei tedeschi in ritirata. Con la Liberazione non si era esaurito il compito assegnato ai partigiani dal CLN e dalle forze Alleate: impedire ai tedeschi di ricostituire una linea a difesa dei valichi alpini. Armate ancora fino ai denti, le forze armate tedesche spesso ripiegavano in maniera ordinata e decise a combattere fino alla fine. In alcuni casi i partigiani dovettero venire a patto con loro. Tutto il popolo italiano “ad eccezione di una trascurabile minoranza di traditori e attendisti” sosteneva le forze partigiane. Lo scontro si frantuma in mille battaglie; eppure si può parlare, secondo Zanoni, giustamente di una sola “battaglia dei fiumi e delle vie di comunicazione”. La prima fase della battaglia avviene attorno ai traghetti sul Po, si sviluppa dal 22 al 30 Aprile. Liberata Cremona il 26, restano i tedeschi al Trecchi. Monsignor Cazzani (nei cui confronti Zanoni ha parole di stima, anche per l'atteggiamento tenuto nel Ventennio) media fra loro e i partigiani, ma le trattative non sono brevi. Vi è un paradosso: per due giorni al centro della città vi è un nucleo tedesco armato fino ai denti e fuori i patrioti disarmano i tedeschi intenzionati ad entrare in Cremona. Dal 21 comincia il passaggio di truppe tedesche tramite il traghetto delle Colonie Padane. Il clima è surreale, ma alla fine si trova un accordo: le truppe tedesche possono passare, lasciando però le armi pesanti sulla sponda piacentina. Erano tanti, dicono coloro che li hanno visti: i resti di una Divisione passano lungo la circonvallazione, per via Bergamo, in maniera ordinata. In periferia ed appena fuori città vengono attaccati ai fianchi da gruppi partigiani. A Soresina e Castelleone grossi gruppi vengono disarmati. Alla “Caserma del Diavolo” vengono raggruppati fino a 600 prigionieri tedeschi, consegnati poi agli Alleati, e 200 repubblichini vengono rinchiusi nella “Paolini”. Si calcola che circa 3000 tedeschi, bandiera bianca in testa, instradati lungo le strade che portano lontano dalla città, siano passati imperterriti. Però, ogni tanto vi è una sparatoria: la strage  dei Vigili del Fuoco di Bagnara avviene in questi giorni. 

Più difficile è la Liberazione di Crema, perché circa 200 fascisti meridionali erano giunti in città, pronti a difenderla. Il CLN cremasco si riunì alle 17,15 per ordinare comunque l'insurrezione alle 12,15 del 26 Aprile. Trattative si tennero a palazzo Vescovile ed alle 18 viene reso pubblico l'accordo: i più facinorosi tra i fascisti (180 circa) sarebbero usciti armati dal ponte sul Serio (si sarebbero uniti  poi ad un gruppo di tedeschi provenienti da Piacenza, armati con armi pesanti; per disperdersi infine nel Bresciano e Bergamasco); gli altri, la maggioranza, si arresero. Il 27 aprile, nei pressi di San Bernardino, avvenne uno scontro tra i partigiani ed una colonna di tedeschi e fascisti; con i partigiani agiva un Reggimento di cecoslovacchi, di stanza a Vaiano, membri della Wehrmacht ma passati con la Resistenza. I tedeschi alla fine si arresero, i repubblichini fuggirono verso Bergamo e si dispersero. 

Intanto, a Casalmaggiore 400 tedeschi erano arroccati in città. Il traghetto sito fra Gussola e Torricella  era difeso da 50 tedeschi con armi pesanti. Nell'attacco cadono 13 partigiani. Violenze da parte dei tedeschi ovunque: incendiati casolari e masserizie, bestiame rubato, stupri. Quando lo ritrovano, i partigiani scoprono che al garibaldino Giorgio Marconi era stato asportato il cuore! Dal 26 al 30 la battaglia infuria ovunque in provincia! Le gloriose barricate di Pessina, i caduti di Isola Dovarese... Così a Crema e nel Cremasco. I tedeschi provenienti dal piacentino e lodigiano attraversano l'Adda. Nella sola Crema oltre 6000 tedeschi vengono catturati ed appena possibile consegnati ai militari Alleati. Un centinaio di patrioti Cremonesi, compreso il futuro senatore Luciano Bera, di Soresina, vengono liberati dal carcere di Bergamo e giunsero in tempo per gli ultimi confronti armati. Il “Fronte Democratico”, giornale del CLN, il 2 maggio può proclamare “... dalla mezzanotte del 1 maggio 1945 la lotta insurrezionale deve considerarsi conclusa”. Zanoni riporta i numeri dei caduti: sono imprecisi per difetto (i cremonesi della Divisione Acqui uccisi dai tedeschi furono 175 e non 150 e così via). In tutto, fra partigiani, militari e civili, possiamo parlare di circa cinquecento caduti. Tanti! Eppure, né il gonfalone della città nè quello della Provincia riportano medaglie o riconoscimenti. Forse, nell'ottantesimo anniversario della Liberazione, sarebbe giusto rimediare!

                                                                                                 Gian Carlo Corada                                                 

 

Dall'archivio L'Eco Storia

  venerdì 17 febbraio 2023

Carlo Comaschi

  sabato 24 gennaio 2015

Giovanni Spadolini rievocato nel 20° della scomparsa e nel 90° della nascita

Spadolini, come ricorda efficacemente il contributo della Prof. Ferrari, sarebbe stato il primo premier laico; più che non democristiano, come una certa vulgata tende a definire

  martedì 30 gennaio 2018

"Buona" memoria. Combattiamo l’indifferenza, impariamo ad osservare, aiutiamoci a testimoniare

Il titolo, ovviamente, è nostro; mentre il sottotitolo è stato preso a prestito dalla conclusioni di Riccardo Scaglioni, studente dell’ITIS J. Torriani di Cremona

  giovedì 11 dicembre 2014

La boje. Le prime lotte contadine. 130 anni dopo, la boje ancora?

Oggi, vigilia dello sciopero generale, proclamato dalla CGIL e dalla UIL, ci sentiamo di dire che L’Eco del Popolo, nato dalle prime mobilitazioni delle masse lavoratrici, non può essere neutrale né reticente

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