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Dal Museo Diocesano alla Casa di Stradivari

Focus Cultura

  11/02/2022

Di Redazione

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Procedendo nel nostro impegno editoriale, che mostra evidenti limiti nella continuità temporale dovuta all'esiguità dell'apparato editing, ci stiamo orientando a dare consistenza alla struttura per schede tematiche. Cui avevamo, per il vero, dato consistenza con una serie di rubriche. 

Alle quali aggiungiamo, a partire da adesso, anche il focus delle politiche culturali. 

Argomento già affrontato con una certa continuità; sia per gli inputs provenienti dalla scansione esterna sia per il costante flusso degli spunti provenienti dai nostri lettori. 

Cui non sfuggono certamente gli assist degli accadimenti cittadini, della politica e delle istituzioni. 

Cercheremo di inquadrare tali contributi seguendo un file rouge suscettibile di mantenerli aderenti ad una visione di insieme. Per quanto, apparentemente, dépassé, il contenuto della lettera inviata da Clara Rossini, mantiene (a dispetto della ricorrente discontinuità insita nell'informazione giornalistica e nella dialettica politica) pienamente una sua aderenza a quella che dovrebbe essere una permanente linea guida. Un sicurvia capace di correlare con un senso logico e con una finalità suscettibile di portare a qualche conclusione feconda ed organica segmenti tematici che, invece, la settorializzazione dispersiva parcheggia in visuali non sempre di valenza progettuale. 

Rossini, invece, stimola con le sue riflessioni a mantenere la visuale dell'accadimento della recente inaugurazione del Museo Diocesano nel più ampio contesto delle analisi e delle consapevolezze di valenza cittadina e territoriale. In considerazione dell'interdipendenza anche delle entità non comunali con il più ampio progetto di implementazione e di qualificazione dell'offerta culturale di Cremona.

MUSEO DIOCESANO 

Carissimo direttore, sfogliando giorni fa le pagine del quotidiano locale, mi è tornata alla memoria un'inaspettata emozione. Anni fa, visitando un paesino di montagna, ci si è avvicinati alla chiesetta dove era, secondo recensioni, custodita un'importante opera d'arte. Un noto artista dei secoli scorsi aveva ritratto il luogo e la persona che aveva ricevuto una grazia da nostro Signore. Prima di entrare abbiamo chiesto alcune delucidazioni a una persona del posto che ha scosso la testa consigliando di rivolgersi altrove. Accorgendosi degli sguardi perplessi, confidò che l'opera era stata tolta per essere restaurata, ma che poi non venne restituita (ne fu solo riconsegnata la copia). L'atmosfera non era più la stessa. Non me ne stupii più di tanto, perché avevo ben in mente la diatriba nata per non permettere di trattenere altrove la Tavola di Sant'Agata, custodita nella Chiesa che ne porta il nome. Da ragazzina, avendo abitato in zona, quando entravo nella bella basilica, vedevo sempre persone inginocchiate a pregare con molta devozione. Per secoli queste preghiere hanno accarezzato la Santa che protegge dagli incendi e che il 5 febbraio veniva portata in processione per le vie della città. No, se fosse stata sostituita con una copia, i fedeli si sarebbero sentiti impoveriti della corrispondenza con la Santa, quella Santa che così comprensiva ascoltava le loro richieste, le aspettative, i loro pensieri. Una chiesina di montagna, una chiesa in città private   di un prezioso punto di riferimento per le anime di chi sa ancora pregare. Così, leggendo le notizie sull'inaugurazione del Museo Diocesano che offre e offrirà ai concittadini (e non) un percorso composto da 12 sale ed espositivo di ben 120 e più opere provenienti dalle varie parrocchie. Senz'altro una preziosa occasione per i visitatori, tanti gioielli messi a loro disposizione con competenza e maestria …Meraviglia e arricchimento culturale...ma temo senza la devozione che nasce verso i santi intercessori locali e universali, i crocifissi, le iconografie appartenenti alle varie chiese. Queste ultime potranno rivederli al termine della chiusura del Museo? Ha impreziosito la mostra la collezione di Arte Sacra del Cavaliere Giovanni Arvedi e della moglie Luciana Buschini. Pur essendo conosciuta la loro generosità, non penso vogliano rinunciare a tale magnificenza acquistata parallelamente a tanta fede e rispetto. Ormai i sistemi di sicurezza sono perfezionati e ben funzionanti …il bello è di tutti, specie se fa bene al cuore. 

La ringrazio vivamente per la gentile ospitalità, un cordiale saluto 

Clara Rossini

musica per i nostri orecchi… 

…lo spunto del contributo della nostra lettrice, che ci rimanda ad una vecchia e mai sopita campagna de L'Eco del Popolo e ad un dovere di triangolazione con gli aggiornamenti delle riflessioni discendenti, come già premesso, dalle testimonianze in campo politico ed istituzionale. 

Il quasi generalizzato coro laudatorio del neonato museale (obiettivamente una cartuccia in più nell'asset artistico e culturale del Capoluogo) non si dà conto di prestare una minima attenzione alle testimonianze critiche, ma non preconcette. La Diocesi ha agito in una dimensione autoreferenziale. La Fondazione Arvedi/Buschini ha fornito (generosamente, come sempre) il combustibile. La Civica Amministrazione ha assecondato referenzialmente, prima, durante e dopo. E pazienza se incorreremo in qualche mal mostoso incrocio di opposte opinioni. D'altro lato, come diceva Hannah Arendt, “pensare è pericoloso”. E noi ci prendiamo i nostri rischi. 

Perché a Cremona porre qualche riserva su una creatura della Diocesi; per di più esponenzialmente sponsorizzata dal filantropo per eccellenza e molto molto accreditata (acriticamente e inconsapevolmente rispetto a certi speech) dall'Amministrazione Comunale. 

Altro che “fuori dal coro”. Ma la cosa non ci fa velo. D'altro lato, sull'argomento, su cui, a partire dalla mostra dell'arte sacra a Trento ed al completamento della “pesca a strascico” sistematicamente applicata alla razzia territoriale, abbiamo già dato e non c'è motivo per attenuare la denuncia. L'arcivescovo Delpini, arrivato nel contado per, si presume, alzare il rango della realizzazione, ha apostrofato i cremonesi come: «Laboriosi, generosi e lieti come sant'Omobono». Per non farci mancare la chiosa rafforzativa del titolare della Diocesi che, all'inaugurazione, ha azzardato:” Il vescovo tra le nuove sale del nuovo Museo: «Uno scrigno di bellezza che racconta fede, devozione e cultura di tutto il territorio» 

Cosa fatta, capo ha! Ma saremmo reticenti od omissivi se cessassimo di denunciare un procedimento aggregativo che ha spogliato le preesistenze artistico-devozionali articolate nel patrimonio urbano e territoriale e le ha polarizzate, in evidente contrasto con il sentire dell'opinione pubblica e l'endorsement dell'istituzione comunale. Cha, da un po' di tempo e con un profilo decisamente fecondo, parla di “Musei in comune. Verso un sistema museale urbano”. 

Ogni tanto riecheggia la suggestione del “museo diffuso”; di cui l'assetto cittadino è prova, più per sedimentazione, che per approdi progettuali perseguiti. 

Forse non casualmente l'Assessore alla “partita” (più specifici nelle prerogative non possiamo essere, in considerazione del fatto che le politiche comunali della cultura hanno riferimenti frazionati), prof. Luca Burgazzi, introduce, sia pure con un tatto curiale consigliato dalla precauzione di non sfasciare delicati rapporti in seno alla coalizione, concetti desueti: “rende unici e che ci caratterizza, facendo sì che chi viene a Cremona possa fruire e godere di qualcosa che trova solamente qui”

Una somma di asserti in cui sono percepibili, da un lato, propositi difficilmente confutabili e, dall'altro, un'evidente divaricazione dei percorsi fin qui praticati. 

Che hanno fin qui (almeno nella doppia consiliatura in dirittura d'arrivo) fatto premio su linee promozionali manifestamente incentrate sull'opposto. C'est à dire, sul perseguimento di una massa critica di “eventi” (raramente di rango e di coerenza con il progetto generale), in nettissima discrasia con la visione generale propugnata dall'Assessore. 

Un tourbillon di promozioni, forse sollecitate dall'aspettativa di introitarne un indotto clientelare dalle categorie compiaciute; sicuramente foriere di un abbassamento delle aspettative e del contesto in cui possa avvenire l'auspicio dell'attrattività dell'unicità dell'offerta. 

Di recente, temiamo per l'ansia di incrementare questa massa critica di accesso ad una bassa offerta di qualità, si è introdotto il concetto “dell'attrattività di prossimità”. 

Che sarebbe, come abbiamo osservato in recenti riflessioni, assolutamente edificante se il contesto e l'offerta fossero, rispetto all'area di contiguità, superiori o almeno equivalenti. 

Gli è che il Capoluogo non riesce neanche a fare sistema con neanche con il retroterra territoriale. 

L'idea, avanzata da Burgazzi (e prima di lui dal Sindaco Galimberti tre anni fa in occasione della conferenza a Cremona col Sindaco milanese Sala in vista di un rapporto sinergico con l'area metropolitana), di incardinare un processo di armonizzazione progettuale e di convergenza operativa dei “sistemi museali urbani”(principiando da Brescia)non può non suonare sinistra se si considera l'epilogo della candidatura ipotizzata per il riconoscimento di “città della cultura” in partnership con le due città orobiche (che a quel riconoscimento sono pervenute, in partnership ma tra di loro). 

Evidentemente l'impulso a farsi cannibalizzare, perinde ac cadaver, dal partner di prossimità, non è, pur nel teorico fecondo ed apprezzabile proposito, mai domo. 

Ci sia concesso da ultimo focalizzare positivamente il progetto, esternato nei giorni scorsi, dall'Assessore Burgazzi e relativo alla riqualificazione della “Casa di Stradivari”. 

I cui assi principali si integrano perfettamente nella sempre annunciata ma mai concretamente perseguita “rigenerazione” del contesto storico, naturale epicentro dell'attrattività dell'offerta di cultura e turismo di qualità, e nella forte valorizzazione (fin qui a minimassimo sindacale) di quello che dovrebbe costituire uno dei più pregiati gioielli del patrimonio storico e monumentale. 

In grado di costituire insieme al Museo del Violino e all'Auditorium un formidabile richiamo.  

Non per darci a ricordi personali che non interesserebbero nessuno; ma semplicemente per sottolineare l'assoluta eccezionalità di questa location. 

Nelle prime visite a NY di 50 anni scoprimmo che l'edificio più antico e valorizzato della Grande Mela era un insignificante (e forse ritoccato) edificio di fine 1700. Pensa cosa ci farebbero, in termine di valorizzazione e di indotto, i nostri cugini a stelle e a strisce se disponessero di qualcosa che anche vagamente assomigliare a Casa Stradivari? 

Per diventare una succes story di scalata delle classifiche delle città meritevoli di essere costantemente nel cono di luce delle ragioni di venirci "per fruire e godere di qualcosa che si trova solamente qui”, il progetto deve essere adeguatamente fertilizzato da adeguate consapevolezze. 

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