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Quando la toponomastica faziosa diventa piede di porco per la falsificazione storica

Nelle settimane scorse, il network in cui la nostra testata è integrata ha ospitato (in materia storico/toponomastica) una lettera al Direttore che, quanto meno dai registrati livelli di accesso, ha dimostrato di cogliere un comune sentire

  17/03/2017

A cura della Redazione

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Quando la toponomastica faziosa diventa piede di porco per la falsificazione storica

Nelle settimane scorse, il network in cui la nostra testata è integrata ha ospitato (in materia storico/toponomastica) una lettera al Direttore che, quanto meno dai registrati livelli di accesso, ha dimostrato di cogliere un comune sentire.

Lo spunto ha funzionato e, per ricaduta, l'apprezzata (per altri versi) testata “Il Piccolo” ha pubblicato, sulle sue pagine, un vasto dossier (apparentemente) dedicato ad una delle ricorrenti criticità toponomastiche.

Stavolta, non si tratta, però, della perorazione di una nuova dedica, che solitamente sottende un più o meno malcelato intento strumentale.

Siamo, infatti, in presenza di un caso di riconversione toponomastica per delisting: nel centenario della Grande Guerra alcune sensibilità postulerebbero la revoca della dedica di una delle più importanti porte di accesso.

Si tratta di quella che per molto tempo fu conosciuta e chiamata Porta Po e che, in seguito ad un'inconsiderata sollecitudine, fu dedicata, decenni fa, al generale Cadorna.

A dire il vero, sono pochi i cremonesi che, volendo riferirsi a quell'affaccio della città rivolto verso il grande fiume, non lo chiamino Porta Po e si sottomettano, nonostante il lungo tempo trascorso, all'ineluttabilità di una opzione toponomastica. Che non ha mai scaldato i cuori dei cremonesi.

Non siamo tra coloro che fanno della toponomastica, diversamente da come dovrebbe essere, un'occasione di prosecuzione della politica in altre forme.

Per essere franchi, ripeteremo ciò che abbiamo considerato in altre precedenti circostanze.

Vale a dire che ci troveremmo a maggiore agio con il pragmatismo nord-americano, che, per identificare avenues e streets, si affida al neutralismo dei numeri.

Ma, rebus sic non stanti bus, ci adatteremo, rifiutando comunque di inquadrarci in una battaglia toponomastica ad usum delphini, all'imperante forma mentis. E, nella fattispecie, pur rendendoci conto della difficile praticabilità e dell'onerosità della “purga”, non potremo che dichiarare pubblicamente la nostra adesione, almeno ideale, alle sue ragioni.

Non ne facciamo un conflitto per la vita; ma, indubbiamente, nella centenaria ricorrenza di un ciclo storico, quale fu la Grande Guerra, non sarebbe cattiva cosa almeno espungere dal suo profilo i tratti più controversi che, nel tempo, hanno fornito legna alla retorica ed alla peggior manipolazione patriottarda.

La figura di quel capo di Stato, anche a distanza di un secolo resta saldamente ancorata all'interpretazione della nefasta e controproducente strategia delle “spallate”. Realizzata anche con una disumana, spietata disciplina imposta al ad un esercito popolare chiamato al sacrificio di una guerra dichiarata dalle aristocrazie. La cui abnegazione non sarà sufficiente a scongiurare le pesanti perdite subite per effetto di una tattica sconsiderata ed il drammatico crollo di Caporetto.

Sempre sul terreno di una toponomastica un po' così, andrebbe registrato che nel 2012 il Comune laziale di Affile ha eretto il Museo del Soldato intitolandolo al maresciallo Rodolfo Graziani. Il quale, dopo aver illustrato la storia patria con le imprese belliche di aggressione e sterminio in suolo africano, fu capo dell'esercito nella Repubblica fascista di Salò.

La vera funzione della toponomastica andrebbe sterilizzata dalle pulsioni di parte. Ma, quanto meno, essendo tale proponimento di impossibile attuazione in Italia, ci si potrebbe accontentare del risultato minimale di espellere da essa ogni rimando a pagine inqualificabili.

Sicuramente lo è quella del richiamo al generale Luigi Cadorna.

Tanto premesso, non possiamo, tuttavia, astenerci dall'osservare che il perno del dossier Cadorna della testata free press è fortemente indiziato, per quanto andremo ad analizzare, da fumus persecutionis. Apparteniamo ad un ciclo civile, caratterizzato, almeno per quanto si riferisce all'Italia, da piena libertà di espressione. Ciò che è inaccettabile, nella fattispecie, è una rivisitazione storico-giornalistica di dubbia autorevolezza scientifica, apparentemente imperniata sul personaggio, candidato alla purga onomastica, ma in realtà rivolta ad altro.

Parlare male di Cadorna (protagonista in negativo in una sinergia con un altro personaggio disdicevole), oltretutto, è funzionale alla continuazione della campagna inconsulta e sistematica da tempo avviata (su un terreno storicamente controfattuale) dall'autore del dossier Cadorna.

Puoi stare sicuro che, quando avanza (anche se di striscio) qualsiasi rimando a Leonida Bissolati (e, se non avanza, come nella circostanza, lo si introduce surrettiziamente), si va incontro fatalmente ad un profluvio di manipolazioni e di falsità. In tale modo di procedere si evidenzia, da un lato, la propensione a coltivare il sospetto come anticamera della verità e le conseguenze dell'affezione da uno scotoma mentale (la mente vede ciò che sceglie di vedere).

Nel corso degli anni, con un crescendo rossiniano, si è passati dalla certezza che la vera levatrice della versione rassista del fascismo sia stato Leonida Bissolati alla tesi, priva di rimandi scientifici, secondo cui il deputato cremonese sarebbe stato addirittura complice delle sconsiderate strategie del ciclo di Cadorna.

D'altro lato, essendo stato Leonida Bissolati effettivamente “l'adamantino combattente delle cause del lavoro e dell'emancipazione dei contadini” (fonte Emilio Zanoni), ma anche uno dei maggiori propugnatori del socialismo umanitario come completamento delle idealità risorgimentali, la sua figura, (era già avvenuto a cavallo tra i primi due decenni del secolo ventesimo) fornirà alibi ai contemporanei che, partendo da quel punto di confluenza, erano, per alcuni versi approdati, se non al fascismo, ad una zona grigia. Ed altri alibi, oggi, per chi vuole pertinacemente trarre deduzioni assolutamente arbitrarie sul suo vero profilo.

Come se un folletto capriccioso della storia incombesse permanentemente per sentenziare. Attingendo da quella sorta di marché aux puches, che presumibilmente costituisce il deposito delle proprie fonti, l'aiutino per le interpretazioni

La “spallata” in stile cadorniano assestata al reale profilo del profeta del socialismo umanitario e riformista viene assestata quando, manipolando, si inventa l'esistenza di una sorta di sindrome di Stoccolma nei rapporti col capo della gerarchia militare di quell'epoca e, soprattutto, si azzarda che il massimo dell'aspirazione del deputato socialista del Collegio elettorale di Pescarolo fosse quello di entrare nelle grazie del futuro duce.

Di fronte ad una siffatta performance storica, che ha come equivalente cinematografico collocato tra Alberto Sordi ed Alvaro Vitali e l'impulso al “facce Tarzan”, non resterebbe che abbozzare. Però, aggiungendo: peccato che non sia stato così!

Come molti già sanno e come sarà facile dedurre dal prosieguo dell'analisi dei fatti.

Non vorremmo metterla in burla. Ma per sdrammatizzare una piega giornalistica, in sé decisamente poco deontologica, si potrebbe, sul terreno della revisione toponomastica dettata dal pregiudizio, partire dalla revoca dell'attuale anacronistica intitolazione della piazza rivolta a Po per estendere, a forfait, anche una sanzione alla contigua arteria dedicata a Leonida Bissolati.

Che, nelle visioni dei governi comunali dell'ultimo quarto di secolo, costituisce ormai una delle figure marginali della storia cittadina e nazionale.

Il centro della riflessione sulla sua figura e sul suo contributo concorre a determinare l'attualità di Bissolati nei presenti contesti.

Tra tre anni, nel 2020, cadrà il centenario della sua tutto sommato prematura scomparsa.

Non solo e non tanto per ciò che la sua testimonianza sul terreno dei valori civili può ancora fornire ai non esaltanti contesti attuali, ma anche per l'orgoglio di esserne il terreno su cui espresse il meglio del suo contributo, Cremona potrebbe, come abbiamo suggerito meno di un anno fa, mostrare, innanzitutto, maggior rispetto per tutto quanto richiama fisicamente la sua memoria e maggiore sintonia con la lezione di idealità e di generosità in direzione dell'emancipazione dei negletti e di modernizzazione della Città.

L'Eco del Popolo partecipa all'approfondimento indotto dall'affaire Cadorna e, dando rilievo alla risposta di Gianmario Beluffi e riproducendo la monografia intitolata “ Ricordi di Leonida Bissolati- tratti dalla casa di Pasquale e Marcella” di Anna Filippini (1950), riapre uno squarcio su una figura indimenticabile.

Nota Bene: il testo prosegue nel 1° allegato Pdf con:

  • Bissolati non ha bisogno della nostra solidarietà per essere un uomo (Salvemini) di Gianmario Beluffi
  • Fantasiose elucubrazioni sul rapporto Bissolati/Cadorna Un cattivo servizio alla storia

Il 2° allegato Pdf contiene Ricordi di Leonida Bissolati di A. Filippini

1° foto:Una suggestiva immagine notturna della piazza che continuiamo a chiamare “Porta Po”

2° foto: Inaugurazione dell'opera dello scultore Mario Coppetti dedicata a Bissolati

3° foto: L'immagine ritrae il sergente Bissolati, attorniato da alcuni commilitoni sul fronte del Monte Nero, nel giugno 1916

4° foto: Bissolati nella casa di Marcella a Cremona nel 1916 in occasione della commemorazione di Cesare Battisti 

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