Memo sulle iniziative in calendario
A Pizzighettone
Nel Borgo sulle sponde dell'Adda la locandina degli eventi celebrativi, allestiti dall'Associazionismo Partigiano e dai movimenti e partiti dell'area della sinistra, ha avuto il suo partecipato vernissage mercoledì 23 presso la Sala Conferenze del Centro Culturale Comunale. Che ha sviluppato una interessante collateralismo culturale alla celebrazione storica del 25. Relatore dell'evento, dedicato a “letture resistenti: il racconto della lunga strada verso la libertà”, è stato il prof. Giancarlo Corada, storico e Presidente Provinciale dell'ANPI. Il quale, preconizzando i percorsi celebrativi alle viste e, soprattutto, inserendosi nel clima non esattamente edificante delineato dall'editto della sobrietà, ha ammonito che non è mai avvenuta una vera defascistizzazione. In ogni caso, specie in questo contesto, si deve evitare di ridurre il 25 aprile a mere cerimonie davanti ai monumenti, portando solo fiori”.
Nel corso della conviviale, programmata anche come anticipazioni delle iniziative calendariate per domenica 27, i consiglieri comunali del gruppo di opposizione hanno illustrato le due iniziative tematiche che appresso riportiamo.
25 aprile a Bonemerse
Ha rivisitato la figura del Partigiano Matteottino Giovanni Mario Madoglio
L'amministrazione comunale di Bonemerse, insieme all'associazione Il Peverone ha organizzato le celebrazioni per l'ottantesimo della Liberazione. Al rito religioso, nella chiesa di Santa Maria Nascente, è seguita la posa della corona e la tradizionale benedizione al monumento dei caduti di tutte le guerre.
La mattinata si è conclusa nella sala consiliare con un incontro storico, quello con Arcangelo Madoglio, figlio di Giovanni Mario, partigiano bonemersese al quale è dedicata una via in paese. Il sindaco Luca Ferrarini ha accolto i presenti parlando dell'importanza storica di questa giornata del 25 aprile che nel 1945 fu la partenza per intraprendere e riprendere la vita democratica del nostro paese. Un traguardo, quello democratici, raggiunto anche attraverso il sacrificio di molti antifascisti e tra questi si è scelto di ricordare Giovanni Mario Madoglio.
La presidente del Peverone, dopo aver svolto documentate ricerche d'archivio, aiutata anche dalla memoria orale del figlio Arcangelo ha ripercorso la storia di questo giovane bonemersese che fu piuttosto complessa. Egli venne considerato dalla polizia del regime, la temibile OVRA, (Opera di Vigilanza e Repressione Antifascismo), un “irriducibile sovversivo”. Condannato al confino per due anni nel 1931, a Morano Calabro, provincia di Cosenza, dove si sposò con Foschino Maria nel maggio del 1932. Venne poi spostato alla colonia di Ventotene nel 1932, ma solo per pochi mesi. Prosciolto dal confino fu sottoposto ad ammonizione, con un controllo periodico e costante dal 1932 in avanti.
Rientrò a Bonemerse con la moglie che non si adattò però alla nuova vita coniugale e rientrò a Morano Calabro perdendo i gemelli che aveva in grembo. Giovanni Mario ritornò così nel paese del suo confino ma da marito. Il 14 settembre del 1934 nacque il figlio Arcangelo, ma nel 1936 Maria, che era sempre ammalata morì lasciando il marito vedovo con un figlio piccolo da curare. Giovanni Mario rientrò a Bonemerse col piccolo Arcangelo nel 1937 e dopo un'altra pausa di tre anni (1938-1941) a Morano Calabro, vista la stretta sorveglianza a cui era sottoposto, ritornò definitivamente a Bonemerse.
Dopo l'8 settembre del 1943 divenne partigiano combattente. Il 14 luglio 1944 si diede alla macchia e raggiunse Ponte di Legno divenendo sottotenente della Brigata Matteotti col nome di Falco. Faceva la staffetta portando armi ai partigiani con l'aiuto di Annibale Gregori di Bonemerse. Arrestato nell'agosto del 1944 fu rinchiuso prima a Villa Merli, dove subì pesanti interrogatori, passò nelle carceri di Cremona prima e di Bergamo poi. Si salvò dalla fucilazione perché venne liberato il 26 aprile, dai partigiani bergamaschi.
Arrivò a Bonemerse nel pomeriggio del 26 aprile su un camion con altri partigiani attraversò le vie del paese sventolando le bandiere tricolore in un clima di euforia e di felicità per la riconquistata libertà.
Il racconto del suo vissuto ha commosso ed ha fatto comprendere le lotte ed il sacrificio che egli ha vissuto. L'associazione Il Peverone ha donato un pannello ricordo ed il sindaco a nome dell'amministrazione ha omaggiato Arcangelo Madoglio con un mazzo di garofani rossi che sono stati poi portati al cimitero dove sono custodite le spoglie di Giovanni Mario.
Un 25 aprile sicuramente da ricordare. Grazie al socio/fotografo Mauro Gaimarri per le belle immagini.
L'amministrazione comunale di Bonemerse, insieme all'associazione Il Peverone ha organizzato le celebrazioni per l'ottantesimo della Liberazione. Ad un primo rito religioso nella chiesa di Santa Maria Nascente è seguito la posa della corona e la tradizionale benedizione al monumento dei caduti di tutte le guerre.
La mattinata si è conclusa nella sala consiliare del comune con un incontro storico con Arcangelo Madoglio, figlio di Giovanni Mario, partigiano bonemersese al quale è dedicata una via in paese. Il sindaco Luca Ferrarini ha accolto i presenti parlando dell'importanza storica di questa giornata, traguardo per poi intraprendere e riprendere la vita democratica del nostro paese. Un traguardo raggiunto anche attraverso il sacrificio di molti e tra questi si è scelto di ricordare proprio Giovanni Mario Madoglio.
La presidente del Peverone, attraverso ricerche d'archivio, aiutata dalla memoria orale del figlio ha ripercorso la storia di questo giovane bonemersese che è piuttosto complessa. Egli fu un “irriducibile sovversivo” così lo definì, infatti, la polizia nei verbali compilati per il periodico controllo avviato dalla questura di Cremona. Confinato nel 1931, per due anni, a Morano Calabro, provincia di Cosenza; venne poi spostato alla colonia di Ventotene nel 1932, ma solo per pochi mesi. Prosciolto dal confino fu sottoposto ad ammonizione, con un controllo periodico e costante dal 1932 in avanti.
Dopo l'8 settembre del 1943 divenne partigiano combattente. Arrestato nel 1944 fu rinchiuso a Villa Merli, passò nelle carceri di Cremona prima e di Bergamo poi. Si salvò dalla fucilazione perché venne liberato il 26 aprile, dai partigiani.
Arrivò a Bonemerse nel pomeriggio del 26 aprile su un camion con altri partigiani attraversò le vie del paese sventolando le bandiere tricolore in un clima di euforia e di felicità per la riconquistata libertà.
Il racconto del suo vissuto ha commosso ed ha fatto comprendere le lotte ed il sacrificio che egli ha vissuto. L'associazione Il Peverone ha donato un pannello ricordo ed il sindaco a nome dell'amministrazione ha omaggiato Arcangelo Madoglio con un mazzo di garofani rossi che sono stati poi portati al cimitero dove sono custodite le spoglie di Giovanni Mario.
Un 25 aprile sicuramente da ricordare.
Buongiorno, grazie per essere qui, buon 25 aprile, buona Festa della Liberazione, benvenuto al Signor Arcangelo Madoglio, grazie per la sua presenza, saluto gli amici dell'ANC e dell'ANB, tutte le nostre associazioni, in particolare il Gruppo di Protezione Civile Cardo VII di Bonemerse e i cittadini presenti.
Oggi non solo ricordiamo l'ottantesimo anniversario della Liberazione, ma la figura di un bonemersese, Giovanni Mario Madoglio, che visse il periodo della guerra civile, della Guerra di Liberazione, in prima persona;
Tra poco la Professoressa Ruggeri, dell'Associazione Culturale Il Peverone, delineerà la figura di questo concittadino; quanto oggi approfondiremo ci ricorda che anche Bonemerse, allora un comune costituito solo dall'incrocio di due vie, dalla piazza e da qualche cascina…, ha avuto un ruolo nelle vicende storiche che ruotano attorno 25 aprile del 45, lo ebbe grazie a persone, come Giovanni Mario Madoglio, che pagarono, a caro prezzo, l'opposizione al regime dato che Giovanni, in particolare, non fu “solo” partigiano, ovvero un combattente, tra il 1943 e il 1945, contro l'occupazione nazifascista, ma ne fu un contestatore fin dal sorgere della dittatura…, condannato al confino, controllato dalla polizia e incarcerato durante il ventennio. Quanto fatto e subìto da Madoglio e da chi ha partecipato alla Resistenza, e non solo, ha portato gli Italiani ad ottenere la libertà che effettivamente è una condizione di difficilissima definizione, i cui contenuti e limiti fanno nascere discussioni infinite…
Io preferisco pensare che la democrazia, basata sui diritti e sui doveri fissati dalla Costituzione, sia il vero compimento della Liberazione, delle lotte partigiane, dell'aiuto degli Alleati e del 25 aprile del 1945; la democrazia è la forma di governo, in seguito difesa anche da altri pericoli, che è garanzia delle fondamentali libertà civili ed è uno dei fattori principali che certamente hanno portato benessere al paese e pace per un periodo mai sperimentato in precedenza.
Persone come Madoglio o gli antifascisti che, in diversi ambiti, tennero la schiena dritta durante il ventennio, i partigiani e chi, in vario modo, si impegnò nella guerra civile dopo il 1943, hanno sì combattuto per la libertà e per cercare di dare un futuro migliore a se stessi e al proprio paese, ma di fatto sono stati lo strumento attraverso cui la nazione è riuscita a riscattare tutto quanto accadde durante il regime, riscatto avvenuto spesso con ampie concessioni autoassolutorie… dato che, se è vero che vi furono atti gravi e vendette come alla fine di ogni guerra civile, è altrettanto vero che tanta parte della classe dirigente, affermatasi durante il fascismo, passò dall'aderire al regime al nuovo Stato democratico, con un cambio di casacca spesso senza vergogna (è ritornato notissimo, ad esempio, il nome di Gaetano Azzariti…): funzionari importanti, magistrati, prefetti, generali, imprenditori, professori universitari… e probabilmente una bella fetta della nazione, la zona grigia, come viene comunemente chiamata dagli storici, che i conti con il ventennio non li ha mai fatti, anche perché l'amnistia Togliatti, del 22 giugno 46, chiuse buona parte della questione.
Certo, c'era da ripartire, la guerra era finita, Mussolini e i gerarchi azzerati, bisognava ricostruire un paese, serviva comunque una classe dirigente…
E la guerra di liberazione con le brigate partigiane, gli antifascisti, quelli che avevano davvero sofferto e combattuto, che erano stati la Resistenza, costituivano forse la sola esperienza che poteva inserire l'Italia dalla parte giusta della storia, diventando così anche l'alibi per l'assoluzione collettiva;
La lotta partigiana che ha avuto per protagonista la parte migliore del paese ed è stata la palestra che ha formato politicamente la nuova Italia, non è stata l'esperienza di “tutti” gli Italiani per tanti ovvi motivi: non ha coinvolto l'intero territorio nazionale, ha convissuto con una realtà di segno opposto (la repubblica di Salò) e con le vaste zone grigie dell'anonimato dell'Italia attendista, dell'Italia dove si inventò il fascismo e che fu a fianco della Germania di Hitler;
Nonostante questo, la Resistenza, astratta dal contesto, è stata proposta con un carattere di massa, intesa come “guerra di popolo”, nell'interesse di tutte le forze politiche post Liberazione, quindi divenne lo strumento per legittimare l'Italia dal 45 in poi, però facendo il meno possibile i conti con un passato, allora, recente;
Forse fu una scelta obbligata, ma anche alla luce di queste considerazioni, di questi passaggi ben chiariti dagli storici, le decisioni, il coraggio, le battaglie dei partigiani diventano ancora più preziose e importanti da ricordare.
La Resistenza è parte di quel processo che ci ha portato ad essere tra i fortunati che vivono nella porzione di mondo dove, ad esempio, pochi uomini al comando non possono sentirsi padroni di gettare intere nazioni nella guerra, dove la libertà di parola e di critica è ancora garantita…;
Ad ogni 25 aprile sento tanta facile retorica e slogan che indicano un pericolo incombente per la democrazia, slogan urlati che io non condivido, un “al lupo al lupo” che mi pare dimostri povertà di argomentazioni…, ma se, in un modo o nell'altro, all'indomani della Liberazione, per costruire una nazione si cercò di ricomporre la società evitando ulteriori tensioni e fratture, ora sarebbe davvero opportuno che ci si riconosca reciprocamente tra avversari politici perché la continua delegittimazione, spesso di comodo, favorisce solo la crescita degli estremismi,
Mentre il vero pericolo, per la Democrazia, sono il qualunquismo e il populismo dilagante, il disimpegno, la debolezza dei partiti, la totale perdita di incisività dei corpi intermedi e l'individualismo imperante, inoltre è evidente la tendenza a delegare sia l'azione che il pensiero, ovvero il contrario di quanto fece Giovanni Mario Madoglio.
Dopo l'ampia ed apprezzata prolusione del Sindaco, la professoressa Liliana Ruggeri, ha minuziosamente rivisitato, colloquiando con il figlio Arcangelo Madoglio, l'intero percorso esistenziale e civile di Madoglio. Un percorso, come si è dedotto anche dalle slides accuratamente predisposte e come si approfondirà nella pubblicazione che è prossima ad essere diffusa, a dir poco leggendario.
La professoressa Ruggeri, il figlio di Madoglio, il Sindaco si sono applicati prevalentemente alla linea guida esistenziale. Noi, invece, in un passato abbastanza remoto, ci eravamo impegnati ne'inquadramento dell'esperienza partigiani. Di cui abbiamo dato dettagliato conto in “Il socialismo di Patecchio”. Di cui diamo breve sintesi.
2.9 - L'organizzazione militare, politica e sociale dei socialisti in provincia di Cremona nella Resistenza
SAP socialiste vennero costitute a Sesto Cremonese attorno ad Ottorino Vecchia (capostazione del “trenino Cremona-Iseo” ed operativo come capo-partigiano anche a Soncino; nel giugno 1921, ancora studente, era stato preso a nerbate a Cremona dagli squadristi), ad Acquanegra, a Crotta d'Adda attorno a Lino Bernocchi, a Grumello e Pizzighettone attorno a Tizzi e ad Alquati, a Casalbuttano, a Soresina attorno a Ricca, Secondo Boldi, Ravazzoli, Rossi e Cabrini della vicina Azzanello (rientrato da un lungo esilio in Francia), ad Annicco attorno a Pierino Bozzetti, a Crema con Mario Perolini (componente il CLN), Francesco Boffelli (ultimo sindaco democratico prima del fascismo e futuro Sindaco della Liberazione) e Freri, a Castelleone con Mario Campari e Stefano Cogrossi (futuro Sindaco della Liberazione), a Soncino con Dante Ghilardi e Giacomo Finazzi.
Ed altre ancora prenderanno consistenza a Sospiro, a Pescarolo con Vezio Castiglione (che finirà nel Carcere S. Agata di Bergamo a disposizione del Tribunale Speciale fino alla Liberazione), a Piadena con Egidio Martinelli (rappresentante in seno al CLN) e Roberto Maffezzoni (Vicesindaco della Liberazione), a Isola Dovarese con Lazzari e Feroldi, a Bonemerse con i fratelli Madoglio, a Vescovato con Sandro Cottarelli (condannato a lunga detenzione dal Tribunale Speciale), a Grontardo con Goi e Pozzali, a Casalmaggiore con Augusto Bernardi (sarà negli anni Sessanta Assessore Provinciale e Vicesindaco di Casalmaggiore), la maestra Regina Ramponi, indimenticabile, luminosa figura di donna socialista, vero ”punto di riferimento dei giovani alla ricerca del riscatto e della libertà” (come giustamente ricordava C. Bianchi nella sua testimonianza dell'aprile 1986), Sergio Vida, a Cingia de' Botti con Elino Vacchelli (che condusse, insieme con il fratello ed altri giovani resistenti, una prima azione nella zona di Bettola) ed Enrico Anichini (rappresentante socialista in seno al CLN).
L'inizio del 1944 fu fondamentale per l'impostazione della risposta politico-militare alla da poco varata R.S.I., simulacro istituzionale dell'occupazione nazista, e sfociò nella costituzione del CLN cremonese, in cui i socialisti furono rappresentati, nella prima fase, da Piero Pressinotti e dall'Avv. Calatroni e, successivamente fino alla Liberazione, da Emilio Zanoni.
Interfaccia del CLN, istituzione politica della Resistenza, furono, nei rispettivi ambiti, funzionali sia all'allargamento del consenso popolare e delle basi di massa nel mondo della produzione e del lavoro sia alla concretizzazione dell'opzione militare, il Comitato Sindacale Provinciale (in cui i socialisti vennero rappresentati, prima, da Ottorino Frassi (Orlando) e, poi, da Emilio Zanoni, quando Frassi assunse il Comando delle Brigate Matteotti) ed il Comando Militare (in cui i socialisti vennero rappresentati nell'ordine dal Ten. SPE - ufficiale combattente sbandato per sottrarsi al reclutamento della RSI - e da Emilio Zanoni).
All'interno del Comando Militare, che si insediò il 6 luglio 1944, si andò delineando quasi subito, se non proprio un'insanabile contrapposizione, sicuramente un forte contrasto di opinioni sugli indirizzi operativi, che, oltre allo schieramento del CLN, attraversò trasversalmente anche il PSIUP, diviso tra i favorevoli ad una decisa lotta armata, tra cui il futuro Sindaco Gino Rossini, ed i propensi ad un linea di prudente realismo, linea questa, così parrebbe, sostenuta da Pressinotti, Calatroni e, probabilmente, Zanoni (se si pone mente agli appunti, ripresi nella ricostruzione di Parlato, sotto lo pseudonimo “l'anonimo”).
Un forte contrasto destinato a riverberarsi nelle vicende successive fino all'epilogo dello scontro armato, vicende in cui si fronteggiò la posizione di chi sosteneva una resa senza condizioni del nemico dettata anche dall'esigenza tattica, tutt'altro che trascurabile, di evitare conseguenze all'armata alleata avanzante, da parte di eventuali rigurgiti di vitalità dei nazifascisti in ritirata e di sacche di resistenza, e la posizione di chi, pur nella consapevolezza di tutto ciò, intendeva trattare modalità di resa che mettessero al riparo da qualsiasi carneficina, soprattutto, la popolazione inerme.
2.10 - La repressione e le rappresaglie
La rapida crescita dell'antifascismo militante colse di sorpresa un regime agonizzante, ma non disposto a rinunciare alla rappresaglia.
In questo senso, ai primi di agosto del 1944 la G.N.R. diede avvio ad una vasta operazione di repressione che culminò, in ottobre, nell'arresto di numerosi militanti socialisti e comunisti; un'operazione, che, per vastità e profondità, arrischiò di compromettere il lavoro, giunto già a promettenti risultati, di potenziamento della struttura politico-militare, in quanto arrivò a decapitare il vertice matteottino con l'arresto del Ten. Corbari e di altri esponenti socialisti di primo piano, tra cui Madoglio di Bonemerse e Severina Rossi di Soresina.
Gli arrestati furono trattenuti, in un primo tempo a Cremona, a Villa Merli, sede operativa dell'Ufficio Politico Investigativo, con i mezzi “investigativi” che si lasciano immaginare, e, più tardi, dopo essere transitati dal Carcere Giudiziario di Cremona (dove Corbari venne sottoposto ad un supplemento di stringenti interrogatori, che fronteggiò con grande coraggio; forse anche per questo, fu al centro di un ardito tentativo di liberazione, da parte del GAP guidato da Ruggeri), furono tradotti, a disposizione del Tribunale Speciale, al Carcere S. Agata di Bergamo.
Compagni di detenzione saranno altri resistenti cremonesi (in totale 42) di fede socialista, tra cui Castiglioni, De Grandi ed il Prof. Franco Catalano (del Partito d'Azione, confluito nel PSIUP nell'autunno del 1947), e numerosi esponenti comunisti di primo piano, quali Arnaldo Bera (che sarà nel dopoguerra segretario del PCI e della Camera del Lavoro e Senatore), Menotti Screm, Sperandio Trivella e Giuseppe Toninelli (Peppo).
Angelo Majori, impropriamente inserito, come ricordano Mario Coppetti e Severina Rossi, nell'elenco dei detenuti a Bergamo dal volume edito dall'ANPI di Cremona, non li raggiunse mai, in quanto, dopo l'arresto ad opera delle Brigate Nere il 1° maggio 1944 presso i giardini pubblici, a seguito della delazione di un certo Strongarone, ed il fermo a Villa Merli (civico numero 49 di viale Trento e Trieste) per una settimana, restò nel Carcere Circondariale di Cremona, provvidenzialmente assistito dal difensore Avv. Calatroni, il quale, valendosi di una strategia processuale temporeggiatrice, di fatto ne impedì il ricongiungimento ai coimputati.
Dal Carcere di Bergamo, infatti, Stefano Corbari, egli pure assistito dall'Avv. Calatroni, si appellò a Majori, tramite il comune difensore, affinché differisse il più possibile il trasferimento.
Da un appunto, lasciato da Angelo Majori a Coppetti negli anni Settanta, si apprende che allo stesso Majori vennero in soccorso sia l'Avv. Calatroni sia, per certi versi, il medico incaricato dal Direttore del Carcere e lo stesso Direttore, evidentemente reso avvertito dell'incipiente tracollo del regime.
Fatto sì é che Majori chiese un accertamento clinico sull'effettivo stato di salute in relazione all'ipotesi di una sua traduzione a Bergamo. Di tale accertamento fu incaricato il Dott. Emilio Priori (indimenticato presidente degli Istituti Ospitalieri, nonché artefice, con la fervida, preziosa collaborazione della vicepresidente socialista, M° Maria Galliani, della realizzazione del nuovo ospedale), il quale dispose un accertamento diagnostico presso il Preventorio (così veniva chiamato, all'epoca, il Dispensario Antitubercolare) e, a seguito del relativo referto, dichiarò l'intrasportabilità del detenuto, consentendo, in tal modo, al Direttore del Carcere di disattendere le disposizioni del Tribunale Speciale. Ciò contribuì a procrastinare il processo, che non verrà mai celebrato per la sopraggiunta Liberazione, in tal modo risparmiando agli imputati la condanna e con essa la sicura deportazione in Germania o forse qualcosa di peggio.
Tutti i detenuti, liberati a Bergamo il 26 aprile, rientreranno a Cremona il 29 dopo un viaggio rocambolesco.
A conclusione della Guerra di Liberazione, il Ten. Corbari rientrò nei ranghi dell'Esercito Italiano, fino a raggiungere il grado di Generale, concludendo il servizio a Firenze. Nell'immediato dopoguerra aveva, comunque partecipato, come si deduce da L'EdP, all'attività politica nell'ambito del PSI. Mantenne sporadici contatti con i compagni della Resistenza. È scomparso da qualche anno.
Angelo Majori, dopo essere stato redattore de L'Eco del Popolo, condirettore del Fronte Democratico e Segretario Provinciale del PSI alla fine degli anni Quaranta, riprese l'attività impiegatizia, trasferendosi a Civitavecchia nel 1957. È scomparso nel 1987. Di lui parleremo più approfonditamente nel prosieguo, quando affronteremo le vicende della ricostruzione.
Severina Rossi, giovane sartina autodidatta, rientrò a Soresina, impegnandosi come Delegata Femminile Provinciale del PSI in una inesauribile attività politica, che subirà una temporanea pausa (lo si deduce dal n° 106 del 10 maggio 1947, con cui il gruppo dirigente socialista le rivolse un saluto e un augurio alla vigilia delle nozze, che la condurranno a vivere a Milano). Severina, col matrimonio, cambierà solo residenza, non già ideali e impegno civile.
Severina Rossi ha pubblicato nel 1995 da Giunti - Diario Italiano - “1945, l'anno della rivolta”, sottotitolo ”io cantastorie”, in cui rievoca, con lucidità e con toni quasi poetici, l'esperienza della guerra e del carcere. Una lucidità ed un romantico idealismo che non sottraggono alla tentazione di rubarne qualche spezzone, nel rammarico di non riproporre qui l'intera testimonianza.
Notte di Natale 1945 - Carcere S. Agata:
Era la festa di un'associazione sempre valida, che insieme gioiva e insieme soffriva, la festa della famiglia che festeggiava la natività degli uomini e della vita, della famiglia che si riuniva, della famiglia che ci mancava, della famiglia che chissà in quali condizioni viveva. La mia, con una figlia in carcere, una in Germania, un figlio nei dispersi, altre figlie con problemi di disoccupazione, i genitori ormai anziani. Non dormivo. Mi sentivo impotente, colpevole e manchevole nei riguardi dei miei genitori. Piera capì che avevo il morale a terra. Pure le cimici e il freddo erano passati in seconda linea. Tremavo. Piera mi massaggiò la schiena per scaldarmi, come una sorella maggiore, e, per farmi cambiare umore, sottovoce mi cantò Bandiera Rossa come fosse stata una ninna nanna. Solo chi é stato in carcere per questioni politiche, può capirne il valore! Significava che il nostro pensiero e la nostra fede non si potevano imprigionare.
Sempre nel carcere di Bergamo qualche settimana dopo, a seguito di un colloquio con suor Matilde, una delle due carceriere:
Quando l'uomo ama, quando l'uomo soffre e si sacrifica per l'amore del prossimo, non continua forse il sacrificio di Cristo sulla croce?...
...Valutavo la scelta che avevo fatto nella vita. Il carcere era la mia università. Mi sentivo promossa socialista e non poteva essere diversamente, perché il mio ideale era nato con me con la presa di coscienza, cresciuto con me, scorreva nel mio sangue e nella vita bistrattata di tutta la mia gente per la quale nutrivo un amore così grande, viveva negli occhi di chi soffriva, negl'episodi quotidiani da valutare umanamente.
Alla condizione di restrizione della libertà personale si assommavano le privazioni e le costrizioni psicologiche, tra cui, quella più umiliante che ancor oggi Severina Rossi ricorda: la firma preventiva, su foglio bianco, dei verbali di interrogatorio, odiosa ma ineludibile sotto la minaccia delle armi e delle torture, non solo fisiche:
Anche a noi giovani, inesperti di tutto, strappati da una modesta quotidianità lontana dalle procedure giudiziarie, orientati solo da una fede spontanea nella democrazia e nell'ideale del socialismo e nel ripudio della dittatura, era evidente la ragione di quella strana pretesa di apporre la nostra firma sotto dichiarazioni che non avevamo ancora reso. Se ne sarebbero avvalsi nei successivi interrogatori per minacciare e carpire la buona fede dei compagni di sventura, indotti a confessare nel presupposto che altri l'avessero già fatto e che convenisse adeguarsi. Devo dire che per quanto la cosa fosse abilmente congegnata, dando poca vi di scampo, non funzionò e andò ad infrangersi contro la solidarietà dei coimputati, privi di nozione di procedura penale, ma coesi da un forte senso di comunione.
E, da ultime, le sensazioni al rientro a casa il 29 aprile:
Incominciava un altro periodo storico, la democrazia. La gente si dava un'organizzazione e poteva contribuire allo sviluppo di una società più civile, più avanzata, più umana. Una società nella quale ognuno concorre nella misura che può dare in intelligenza, in capacità, in volontà, secondo le proprie attitudini.
Incominciava un altro periodo storico, la democrazia. La gente si dava un'organizzazione e poteva contribuire allo sviluppo di una società più civile, più avanzata, più umana. Una società nella quale ognuno concorre nella misura che può dare in intelligenza, in capacità, in volontà, secondo le proprie attitudini.”
Un'università, quella del Carcere di Bergamo, in cui la partigiana Severina perfezionerà l'adozione non soltanto dei valori della democrazia, ma anche della fierezza di appartenere al popolo. Ne scriverà, rievocando le sensazioni della cattività, su L'EdP del 28 settembre 1943, sotto il titolo “Noi poveri”:
Il mondo intanto continua così. I ricchi continuano incoscienti a non curarsi della necessità dei lavoratori e fanno di noi una società disgraziata, infelice. Per lo più ci disprezzano. (…) Noi poveri proletari di qualsiasi categoria, con tutti nostri difetti, ci amiamo. Ci ameremo sempre, ci comprenderemo, non perderemo di vista l'obiettivo del socialismo.
Severina quell'obiettivo non l'ha mai perso di vista. Nonostante siano passati sessant'anni dalle “vacanze”, come direbbe l'attuale capo del governo, offertele dal fascismo al S. Agata, é, tuttora, segretario di una sezione socialista milanese e presidente della Sezione ANPI della sua Soresina (di cui é stata Consigliere Comunale), dove ama trascorre lunghi periodi, dedicati alla pittura ed alla testimonianza delle vicende che la videro protagonista.
2.11 - Piero Pressinotti: il perno dello slancio socialista verso l'insurrezione
Ma, dopo la parentesi del S. Agata di Bergamo, riprendendo il filo degli accadimenti relativi alla preparazione della risposta armata all'occupazione nazi-fascista, occorre registrare che alla retata di metà 1944, prodromo della ben più vasta e ficcante repressione dell'ultimo anno di guerra, riuscì a sottrarsi fortunosamente, come si diceva, Pressinotti, il quale, riparato a Milano clandestinamente, divenne una pedina fondamentale nel rapporto tra il Comando dell'Alta Italia e Cremona.
Di particolare significato appare la testimonianza con cui R. Franzi su l'EdP n° 38 del 26 gennaio 1946 (“L'agonia del fascismo a Cremona”) ricostruisce una sua missione in territorio cremonese, l'incontro con l'On. Miglioli, di fatto detenuto da uno scherano di Farinacci, dopo essere stato arrestato a Parigi e imprigionato in Germania.
(…) è stato nella proprietà del fascista assassino Maggi (parente di Farinacci ed uno dei più indiziati dell'assassinio di Attilio Boldori) che il nostro compagno Pressinotti – segretario provinciale del PSI – incontrò per la prima volta alla fine di luglio del 1944 l'on. Guido Miglioli (colà in pratica confinato dal ras sotto la sua “alta protezione”). L'incontro era stato provocato dal nostro compagno Gino Rossini su richiesta dello stesso Miglioli. La guardia del corpo – un agente ausiliario di P.S. – era come al solito in giro per i campi. La conversazione tra il nostro segretario e l'ex deputato di Soresina si svolge cordiale e senza un programma prestabilito. Miglioli parla a lungo con la vivacità che gli è caratteristica saltando da un argomento all'altro e costellando la sua esposizione con aneddoti pittoreschi e curiosi. Egli insiste però sulla necessità di mantenere fra i partiti e i movimenti di massa un orientamento rivoluzionario. Dopo due ore il nostro Rossi (nome di Pressinotti nel periodo clandestino) riesce finalmente a comprendere la ragione vera di questo colloquio: Miglioli vuole sapere che cosa ci sia di vero nella notizia che gli è giunta dalle solite “persone fidate” circa un attentato che si starebbe preparando contro Farinacci. Egli se ne dimostra preoccupatissimo perché ne paventa le conseguenze per gli antifascisti. Rossi non sa nulla. Non può avere sull'argomento alcuna indicazione. E ciò è ovvio. Comunque egli assicura il suo interlocutore che nel caso avesse sentore di qualcosa si affretterebbe ad avvertire i compagni e gli amici più esposti e quindi anche e soprattutto Miglioli (…)
Per un dovere di completezza riportiamo ancora l'annotazione conclusiva di Franzi relativamente alla sorte dell'ospite-custode di Miglioli:
(…) Il suo interlocutore della cascina, Maggi tornerà alla ribalta alla vigilia del primo maggio, che quest'anno (il 1946 nda) avrà celebrazione solenne come mai ebbe nel passato, per chiedere al CLN l'autorizzazione di parlare ai “suoi” contadini, dai quali dice di essere atteso con appassionato desiderio.
Ed ancora, per un dovere di cronaca, si precisa che il Maggi davanti ai “suoi” contadini ed ai dirigenti del CLN negherà sempre la circostanza della sua diretta e primaria responsabilità nell'assassinio di Boldori.
Purtroppo, avendo la famiglia del martire scelto con invidiabile magnanimità di non chiedere la revisione del processo, tale responsabilità non verrà mai processualmente definita. La famiglia scelse anche, per il vero, con serenità e generosità, di dissuadere da qualsiasi ritorsione o vendetta nei confronti sia dei diretti responsabili, ben noti, dell'assassinio che dei caporioni del regime.
Una posizione questa che abbiamo riscontrato pure nelle testimonianze dei figli e dei nipoti degli altri perseguitati, che hanno loro tramandato l'eredità di una fede incrollabile nella democrazia e di una netta condanna di chi calpestò le libertà, al riparo da qualsiasi inclinazione all'odio e tentazione al regolamento di conti, per quanto sarebbe stato umanamente comprensibile. Avrebbe potuto esserci miglior segno di volontà pacificatrice?
Al ruolo di Pressinotti faceva capo anche la filiera di inoltro alla provincia delle direttive politico-militari e della stampa clandestina, resa possibile dal coinvolgimento di decine di attivisti in tutta la provincia e dal ruolo fondamentale dei “corrieri”.
Tra questi si segnala Enrico Gianluppi, impegnato, come già evidenziato, alla testa della 1° Brigata Matteotti, che una volta alla settimana si recava in bicicletta a Milano a ritirare la propaganda clandestina da distribuire nel Cremonese.
“El Negher”- lo si dice a beneficio di chi non l'ha conosciuto - era un buon uomo di un quintale dai lineamenti non propriamente efebici, il quale dovette, probabilmente, ai suoi tratti severi (capaci di incutere una certa soggezione, ancora negli anni sessanta, ai giovani militanti socialisti, a disagio anche per la scarsa loquacità del personaggio) la sorte di attraversare indenne, per decine di volte, i numerosi blocchi di controllo delle SS e delle Brigate Nere, posti sulla tratta Milano- Cremona.
Il pacco dell'Avanti! clandestino e della propaganda riusciva in tal modo a giungere a Cremona, nei primi tempi, a casa Majori per essere da lì distribuito dalle SAP.
Il canale distributivo dell'Avanti! era sorretto verosimilmente da una ramificata rete clandestina di appoggio, di cui nel tempo si sono persi i riferimenti. Resta, dalla consultazione de l'EdP (n° 104 – 26 aprile 1947) il nominativo di uno dei tanti collaboratori del “corriere” Gianluppi, quello di Giovanni Ferrari (el Straden), operativo, oltre che nella zona di lavoro di Pizzighettone, anche nei centri di Robecco e di Olmeneta. E resta, a margine dei registri di censimento, una nota che segnala anche Guido Barozzi, nato a Cremona il 12 gennaio 1987, come uno dei più attivi “corrieri”, addetti al collegamento tra il capoluogo e le realtà periferiche della provincia sia per lo smistamento del materiale di propaganda che per la trasmissione orale delle direttive.
Casa Majori divenne, altresì, centro operativo della solidarietà socialista per la distribuzione degli aiuti alle famiglie dei perseguitati.
Non appare, quindi, singolare o casuale che Angelo, giovane impiegato bancario, assumesse il comando delle Brigate Matteotti, dopo l'arresto di Corbari.
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(Foto Laura Panni)
Nel prosieguo daremo dettagliato conto della manifestazione svoltasi, secondo il tradizionale panel, nella Città Capoluogo.
Dello svolgimento sinteticamente diciamo nihil nisi bonum. Corteo frequentato e piazza mayor piena. Nessuna criticità comportamentale da rilevare. Ci riferiamo alle performances sopra le righe ingaggiate da espressioni di infiltrati, desiderosi, negli anni trascorsi, di non passare inosservati.
Evidentemente gli scenari incombenti su una ricorrenza, gravata da variabili non feconde e non scontate, devono aver consigliato testimonianze in linea coi valori imperniati nella ricorrenza.
Facendo gli scongiuri, auspichiamo che tra tre giorni ci venga risparmiato il contro-25 aprile dei perdenti.
Dopo di che azzarderemo un bilancio generale dell'80°, che, per quanto ci riguarda, anche avuto riguarda all'inizio di giugno quando presenteremo l'edizione del Saggio di Zanoni sulla Liberazione, è destinato nelle nostre intenzioni, ad interpretare l'imperativo della Liberazione ogni giorno.