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Lettere all'ECO /60

  07/06/2025

Di Redazione

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a proposito di “voto sui referendum dell'8 – 9 giugno”, abbiamo ricevuto un profluvio epistolare, totalitariamente ispirato da pulsioni e aspettative propagandistiche. Una approccio questo che non fa per la nostra testata. Ospitiamo opinioni ispirate da impronta critica e disponibile al rapporto dialettico. Ben consapevoli dell'importanza dell'appuntamento referendario del prossimo w e, ci eravamo predisposti con l'incipit di Virginio Venturelli. Che riprendiamo: “Con l'importante testimonianza di Venturelli, proseguiamo il percorso editoriale fin qui limitato dalla nostra testata all'ambito degli annunci di Bacheca. Da qui apriamo un confronto tra coloro che vogliono partecipare. Con l'avvertenza di curare il livello dialettico, a discapito di eventuali velleità militanti”. Evidentemente o non siamo stati sufficientemente chiari nell'esternazione dei nostri propositi oppure alcuni lettori interessatamente  non ne hanno voluto tener conto. Se ci è pervenuta la missiva che riproduciamo con la debita chiosa.

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Buongiorno, ho notato che non è stata data copertura adeguata all'evento del 31 maggio. Può essermi sfuggito e in tal caso me ne scuso.

La presenza di un senatore e l'intervento di una Eurodeputata penso siano occasioni da segnalare. Stiamo inoltre parlando di un evento gratuito di informazione pubblica sui quesiti referendari, strumento democratico importante. Sottolineo anche la biciclettata referendaria del 2 giugno organizzata da AVS, PD, M5S e Rifondazione, evento del quale sono stati inviati più comunicati congiunti. Anche questo ha avuto poca copertura.

Ringrazio per la vostra attenzione e per il vostro lavoro d'informazione.

Cordialmente, Gabriele Cavallini

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Rispendiamo, non prima di aver accertato, dalla consultazione della cronaca (corredata da foto, che dimostrano la bassa intensità della presa in carico dell'invito da parte del potenziale pubblico)

Egregio Signor Cavallini, ho appena ricevuto la Sua nota che non so se (benevolmente) definire reprimenda od altro. Se la Sua parte politica postula (non ingiustamente) l'ottimizzazione dell'esposizione mediatica per la propria propaganda, confidi nella benevolenza delle testate "amiche". Eco del Popolo (che si autogestisce con le proprie risorse e che pratica una totale indipendenza) ha già fornito, in materia referendaria, quanto  riteneva coerente e congruo. D'altro lato, pur apprezzando l'intenso calendario di eventi, non ci sfugge l'intenzionalità sinergica di panels apparentemente tematici. Mi riferisco al profluvio di testimonianze Propal, decreti sicurezza, gay pride, teoricamente tra loro disgiunti, ma fatti confluire (se non erro, da uno dei massimi leaders del vostro campo, Conte) in una indifferenziata ammuina, sottesa alla mobilitazione del campo referendario. Aspirazione, ripeto, legittima. Ma che non può, se non altro per ragioni di "galateo", innescare la pretesa, esternato con tono da reprimenda, di contare per principio su un'informazione "subalterna" alle pretese propagandistiche. Se la Sua formazione ha bisogno di questo supporto, ne crei i presupposti. Costituendo propri organi di informazione (così impiegando una parte del proprio gettito proveniente dalle opzioni fiscali). Buona giornata

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Caro EdP, dal traffico multimediale e social da cui anche un recalcitrante user come me  constato l'impennata degli accessi, giunti al punto di rinfoderare qualsiasi prudente propensione alla riservatezza. Siamo giunti alla modalità della proverbiale casalinga di Voghera, ma di ultima generazione mediatica. Ne fa fede l'improntitudine con cui mi è stata inflitta una dose industriale di arte figurativa applicata alla mission, auto assunta al di fuori di qualsiasi mandato, improntata dall'incontenibile volontà di non far mancare un “accompagnamento” didascalico, in vista del voto.

Ecco a campione alcuni esemplari di evidente finalità didattica.

In cui non sfugge l'evidente richiamo alla suggestione della fedeltà al campo antifascista. I partigiani non andarono in montagna per...ma per consentire alle successive generazioni di optare secondo coscienza. Non tutti coloro che non andranno ai seggi, non andranno in località amene. Far passare o addirittura inculcare l'idea secondo cui tutti gli astensionisti non sarebbero a posto, come si diceva un tempo, con la "tessera" (dell'antifascismo e della sinistra), oltre che ricatto alle coscienze, è un errore esiziale...per i testimoni della cultura partigiana e della sinistra. Essere rispettosi e tendenzialmente convergenti col "vicino" di causa, non significa tracannare come dogmi tutti gli speech/spot.  Che il “campo” dispensa ad usum delphini per una “campagna” in cui non sono assolutamente in causa i perni fondamentali della Repubblica nata dalla Resistenza. Ringrazio per l'ospitalità e per il riscontro.

Cremona 4 giugno 2025 Mariateresa Pettoni.

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Come direbbe Arletty….

Premessa di questa chiosa: è evidente che si intensifica, alla vigilia del voto, il confronto sulle posizioni in campo e sulle suggestioni, come segnala la lettrice, atte alla cattura del consenso (anche solo della semplice partecipazione al voto). La stampa (importante di oggi ha fatto un inquadramento nella fattispecie prevalentemente “tecnica” dei quattro quesiti, velocemente definibili del lavoro. Apparentemente, però.  Perché in realtà gli arzigogoli lessicali divulgativi nascondono un background suicidario, nei risultati concreti. Molto meno tecnica l'esternazione del quinto, affidata ad un fideismo che prescinde dalla realtà e dalle ricadute politiche non inimmaginabili.

Ce ne sono 6 di quesiti referendari. Oltre ai cinque dispensati con esiti si ha motivo di temere non congrui. Ce n'è, come suggerisce Michele Ainis, un sesto. Che non sta nella scheda dispensata ai seggi. Ma che pesa maledettamente sui destini di sopravvivenza e di sostenibilità dell'istituto referendario. Concepito come rete sussidiaria del già ricco ed articolato modello di prerogative liberali e democratiche. Ma cacciato, a causa di usi e abusi inappropriati, nel vicolo cieco dell'estraneità dai sentiments della costituency

Tra qualche giorno saremo di fronte ad un fattuale riscontro popolare,  dell'accoglienza più che dei 5 quesiti del sesto virtuale, che riguarda la tenuta dello strumento che con un po' di enfasi viene definito di democrazia diretta. Perché se questo segmento appare moribondo, l'impianto generale dimostra di non stare molto bene

Un referendum sul referendum. Posto virtualmente ma nondimeno convitato di pietra in questo scenario di sfiducia e disaffezione. Di cui si incolpa paradossalmente il corpo elettorale. Mentre l'epicentro del problema risiede nel consuntivo prestazionale dell'establishment

Dell'astensione si incolperà l'indifferenza di una società civile sazia e disperata, come diceva, ma per altre specifiche finalità dialettiche, il vescovo di Bologna. In parte lo è come terminale di un percorso di "laicizzazione" della linea guida idealistica. Che da 30 anni ha riavvolto la pellicola della messa a terra dell'applicazione della intelaiatura della grande transizione. Ma, se ci viene consentito, la vera scaturigine del potenziale default sistemico va attribuito ad un ceto dirigente, sicuramente privo del bagaglio di idealismi e di preparazione dei precedenti cicli, sconsideratamente portato a snervare l'impianto ordinamentale con pratiche inappropriate e dagli effetti logoranti la residua tenuta

Ciò posto, c'è nelle nostre riflessioni il presagio che le fasce avvertite e sensibili dei rischi correlati alla "tenuta" non si piegheranno (nella decisione di esercitare la prerogativa) ai ricatti. Con molto disinvoltura praticati di volta in volta, ma con un background motivazionale di ordine generale. Tipo: se ti astieni o fai il voto differenziato, ti assumi la responsabilità di far vincere la destra reazionaria. Salvo poi, ad urne aperte e spogliate, a verdetti proclamati, a funzioni insediate, scoprire che di fatto la lettura fatta della visione e della pratica a superiore interesse comunitaria passa sotto traccia nell'intente cordiale tra opposti teoricamente inconciliabili.  Come direbbe, appunto l'infermiere comunista Antonio del C'eravamo molto amati, ce semo stufati d'esse troppo boni. Molti, nel prossimo w e referendario, stavolta la dose di metadone di mantenimento la negheranno. Sia pure con un rammarico, risultante dal bilancio del meno peggio e del non se ne può più. Siamo, da un lato, in presenza di una modalità militante di massimalismo che più che un sapore d'antico si percepisce come afrore putrescente

Nessuno, ad esempio, nega le mende manchevolezze del nostro modello del lavoro. Tanto fattuali da rendere pleonastica una semplice elencazione. Ma in tutti questi anni in cui si sarebbero accumulate le inversioni controtendenziali dello spirito, della lettera, della testimonianza dello Statuto dei Lavoratori (il cui sforzo politico civile e parlamentare fu significativamente osteggiato dalla sinistra politica, parlamentare e sindacale massimalista, perché rinunciatario, dov'erano lorsognori?

Il richiamo, per di più posto in forma ricattatoria, della fedeltà identitaria difficilmente troverà riscontri.

Molti da tempo la pensano come la vedette francese evocata nel titolo.

Ah già…dimenticavamo che (a proposito di “fedeltà”) si espresse con poca diplomazia: “mon coeur á patrie mais mon cul a moi

 

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Lettere a l'ECO /25

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