a proposito di “promozioni”
, riceviamo dal capogruppo civico Portesani:

E' normale, giusto e bellissimo che un successo sportivo la città e la squadra di calcio festeggino come la promozione nella massima categoria calcistica del nostro Paese. Non e normale invece che per esprimere la giusta felicita si danzi e si battano i piedi su un antico tavolo collocato nella prestigiosa sala della Consulta di Palazzo comunale. Altrettanto normale, accusa Portesani —che il sindaco e altri assessori assistano a questo scempio senza dire nulla, ma limitandosi a mettere le mani davanti al volto. Non e altresì normale che in quella sala non ci sia stata una vigilanza adeguata. Ma tutto questo e l'ennesima dimostrazione di come a Palazzo regni la totale superficialità nella gestione di cose e persone». Il tavolo e un'opera degli anni Trenta del Novecento dell'ebanista Orlando Baltieri ed e stato riportato alle sue dimensioni originali, dopo che era stata smontata e collocata nella Sala Azzurra la parte centrale.
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Questione di imprinting?
Ovviamente condividiamo (nella misurata consapevolezza della ricaduta valoriale) l'orgoglioso compiacimento della squadra, della Società, dei supporters (della “curva” e in remoto), che hanno riacchiappato un risultato che, a dispetto della determinazione/bravura dei players diretti e del generoso e lungimirante “Patron”, era tutt'altro che scontato. Per una serie di motivi; tanto noti quanto immeritevoli di ulteriori rimandi. Uno di questi è rappresentato dalla circostanza che, anche se sei una città per bene e sei sostenuta da benemerito industriale (di rango mondiale) che dal sostegno sportivo non ci ricava niente, gli handicaps gravanti sulla tabellina di marcia non sono (a cominciare dall'”indipendenza” del potere arbitrale) uguali per tutti.
Cremona (con tutto il suo territorio, di cui è – anche se quasi sempre se lo dimentica – è capoluogo) è messa, diciamo, bene …nella fascia alta delle performances di tutte le discipline, di squadra.
Da un punto di vista di provincia virtuosa non avrebbe bisogno di infiocchettamenti derivanti dalle performances sportive. Che, in ogni caso, se colti come quelli calcistici, del basket, della pallavolo, alzano il rating, almeno del paradigma della caparbietà. Umana e civile.
Pagato il pedaggio di un incipit assolutamente dovuto (unitamente, ripetiamo, alla condivisione gioiosa), mettiamo le mani avanti…a futura memoria.
Cremona non è mai stata una “piazza” difficile… in termini di spiacevoli ricadute delle manifestazioni del tifo sulla tenuta dell'ordine e della sicurezza. Del che va dato atto sia alle tifoserie, sia alle forze preposte all'ordine.
Va aggiunto, però, che gli attuali contesti, da questo punto di vista, non sono più quelli di un tempo. Quando si manifestava… al bisogno ma senza eccedere e si festeggiava, secondo i canoni popolari della tifoseria (che non sempre, come si suol dire, “sa stare a tavola”).
Cremona, come si diceva un tempo, non è più “la città sonnolenta”. Contraddistinta da decenti, generali livelli di benessere, soprattutto da sicurezza “percepita”. Checché ne pensano e ne dicano (con un lessico variabile a seconda dell'utilità) gli “officianti” della nomenklatura.
Il buon giorno si vede dal mattino. Il mattino è proprio quello che dischiude le prospettive insite nella collocazione di un rango più elevato. Che potrebbe avere ricadute (non diciamo, perché non gufiamo mai per principio, “complicate”) derivanti dal combinato disposto della coabitazione con “piazze” più impegnative dal punto di vista delle tifoserie (che, inevitabilmente, prima o poi confluiranno qui).
Con le goliardate dei festeggiamenti (peraltro, in qualche modo, contenuti e tollerati) abbiamo dato. E questo fatto definisce ancor più opportunamente il DNA di una “piazza” che gioca ai vertici, che supporta come fanno tutti gli stadi, che festeggia…ma che si distingue per una caratteristica non da poco. Il Cavalier Arvedi Arvedi, infatti, insieme al “conquibus” necessario per le performances sportive ha impresso una linea-guida di valore etico-civile: uno stadio funzionale e confortevole e, soprattutto, il Centro (appunto) Arvedi. In cui si perfeziona la preparazione; ma incui, soprattutto, si inocula in centinaia di bambini e adolescenti il giusto DNA del valore, prima che ludico, civile della pratica sportiva e dell'”essere squadra”.
Ecco questo voleva essere (da supporter “remoto” ma correlato inguaribilmente alla nostalgia del tifo dei tempi di Luzzara) il nostro “bravi!”; ma anche una riflessione. Cui ha dato la stura, oltre che l'osservazione degli accadimenti recenti, la segnalazione del Consigliere Comunale Portesani. Che ringraziamo, se non altro per non essersi accodato alla tendenza non certamente coraggiosa di far finta di niente. Cosa che hanno fatto tutti gli altri colleghi, sia quelli interessati ad essere percepiti come capopopolo della tifoseria sia quelli che, pur non avendo nelle corse tale “indotto”, non hanno voluto, come avrebbero dovuto (essendo investiti di mandato, anche come tutori del valore iconico del Municipio), intervenire ma hanno girato la testa altrove.
Ciò che è avvenuto a Palazzo supera largamente ogni immaginabile o inimmaginabile postura di sprezzo dei valori di congruo comportamento “in società”.
La gente, abituata a fissare gli appuntamenti per accedere ai servizi, a sottoporsi al “filtro” dell'identificazione e a non uscire dai tracciati, non capisce la ragione per cui si è praticata in fascia posto lucana una sorta di colossale “porte aperte alle Renault”. Vero l'afflato dell'accogliere per festeggiare…vero che è in corso un quasi proverbiale PAF (acronimo di Porte Aperte Festival, per il cui finanziamento il desk non ha ancora rivelato la dimensione del out the pocket meaning)… tutto vero…ma era proprio così necessario concedere che i cavalli dei cosacchi si abbeverassero …!?
Ben consapevoli delle differenze (e con il dichiarato proposito di “sdrammatizzare”) mettiamo (a proposito di location simboliche) in campo un'altra analogia. Nel suo piccolo Mussolini, nel 1922, l'aveva preannunciato/minacciato: "Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli". Come sarebbe andata a finire per 20 anni e dopo, non occorre molto a ricordarlo. Siamo ben consapevoli della labilità della correlazione logica. Ma i due episodi (anche se innescati da diversa intenzionalità) focalizzano una comune percezione a bassa intensità della sacralità delle locations istituzionali. A ben guardare, si può intravedere in questa scomposta, dilagante tendenza al comportamento svincolato da limiti, un rimando alle modalità conviviali con cui, un anno fa, fu chiusa la campagna elettorale.
La "ditta" comunale", che un anno fa sdoganò Bandacadabra, con il laissez faire di qualche ora fa, si è superata. Rivendicherà il copyright, prima che lo spunto discendente dall'intervento di Portesani trovi qualcun interessato a verificare nel fatto qualche fattispecie di violazione di legge?