Buon primo Maggio, il tuo lungo ed esaustivo editoriale pubblicato su Eco del popolo con riferimento anche alla Festa dei lavoratori del passato mi ha fatto riflettere sull' immobilismo della Politica a risolvere temi scottanti riguardanti il diritto al lavoro dignitoso. Oggi i vari leader sindacali hanno parlato in varie piazze del Paese, ho ascoltato i loro discorsi e ho condiviso la necessità urgente di risolvere il problema della morte sul lavoro. Investire sulla sicurezza non è un costo per gli imprenditori, ma una necessità per adeguare la produzione a standard lavorativi di dignità e responsabilità per gli operai. Anche i salari bassi non sono più accettabili, non bisogna essere indifferenti o falsificare le cifre e i dati come fa il Governo. I lavoratori sono persone e non numeri, i proclami della destra su aumento di occupazione e dei salari non sono veritieri. Bisogna detassare il lavoro dipendente, fare riforme nella sanità pubblica, più controlli nei cantieri e nelle fabbriche e più cultura nelle scuole e nelle pubbliche istituzioni. I cittadini devono ritornare a pensare a rendersi consapevoli di quanto sia importante per il Bene comune una sana democrazia e una libertà vissuta.
L.C., 1° maggio 2025, Vicenza
In precedenza la nostra affezionata lettrice e corrispondente sulle stesse tematiche ci aveva inviato un riscontro, che, nell'economia di una visuale attenta sulla tematica, riteniamo di pubblicare nuovamente.
Ho letto con interesse il tuo lungo ed esaustivo editoriale Mitbestimmung/1. Il tuo è stato un lavoro massacrante di ricerca storico documentata e informazione trasparente sulla verità dei fatti. La classe operaia oggi non è più considerata parte integrante di una produzione di beni e servizi a livello pubblico e privato. I datori di lavoro ed i lavoratori sono entrati in un conflitto epocale, anche per colpa della globalizzazione. I sindacati, specialmente la CGIL di Landini, si sono arroccati su idealismi politici e propagandistici difendendo poco la rivendicazione di un salario dignitoso e giusto. In Italia i lavoratori fanno fatica a soddisfare i bisogni delle loro famiglie con stipendi troppo bassi. Molte aziende chiudono e altre finiscono in mano di imprenditori poco onesti che sfruttano i vantaggi loro offerti e poi chiudono a loro volta. Il diritto al lavoro è sancito dalla Costituzione e tutte le Istituzioni governative devono farsi carico di riformare e trovare concretamente soluzioni atte a rendere il lavoro nobilitante ed equo..
Per una ineludibile esigenza di par condicio, innescata dalla riflessione della lettrice sulle recenti esternazioni del massimo leader della CGIL Landini relativamente all'ormai imminente referendum (su cui ci riserviamo di intervenire a ridosso delle urne), riportiamo di seguito uno stralcio dell'intervista rilasciata nelle ultime ore, in occasione della celebrazione della Festa e del dibattito pubblico ‘Precarietà e bassi salari. Rapporto sul lavoro in Italia‘, a dieci anni dal Jobs Act a Roma, promosso da Cgil Nazionale e Fondazione Giuseppe Di Vittorio.
I referendum rappresentano la nostra lotta non solo per cambiare leggi sbagliate, ma ridare un futuro a questo paese. Dopo il Jobs Act è aumentata la precarietà, sono aumentati i part time e i contratti a termine. Si è affermata la logica della mercificazione del lavoro: invece del diritto, di fronte ad un licenziamento ingiusto, di essere reintegrato puoi essere liquidato con un po' di soldi”. “Ripristinare l'articolo 18, che disciplina la tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, modificato dal Jobs Act, significa dire al mondo imprenditoriale che la competizione non va fatta su diritti e salario, ma va giocata su qualità del lavoro, sull'intelligenza delle persone e sugli investimenti….Deve far riflettere che ogni anno centinaia di migliaia di giovani, laureati e non, se ne vanno dal Paese e vanno a vivere in altre parti di Europa, stiamo perdendo intelligenze e stiamo invecchiando…Siamo pronti a confrontarci con tutti: con Renzi, con le forze politiche, con il governo. Non abbiamo ancora avuto una risposta, noi insistiamo perché tutti si impegnino e chiedano alle persone di andare a votare… Dopo la sfida per un confronto lanciata da Matteo Renzi, accettata dalla Cgil, al momento invece non ci sono novità in merito.
Giornata non solo di festa. Ma soprattutto di riflessioni, di consapevolezze della deriva in corso, di ineludibile testimonianza di una volontà di resipiscenza e di resilienza. Anche se su questo terreno sarà complicato o comunque tutt'altro che agevole un'analisi che non può non tener conto, in ogni caso, del portato della destrutturazione del pensiero politico, che si riflette nell'analisi, nel confronto dialettico e nella sintesi; attorno ad una tematica che resta preponderante, in un ordinamento istituzionale imperniato sui valori del lavoro.
Per quanto vaccinati, salutiamo positivamente una celebrazione “unitaria” che al di là della persistenza di ampie e profonde caratterizzazioni (confluenti nella percezione della permanenza di due aree sindacali, contraddistinte da due contrapposti profili, detto sbrigativamente, uno populistico-massimalista e uno riformista), ha posto (e non poteva essere diversamente!) la questione delle cosiddette “morti bianche”. Diventate ormai, per dimensioni e dinamiche, un fenomeno assolutamente intollerabile per un paese industrializzato ed avanzato.
La mobilitazione annunciata del Sindacato, dei lavoratori e, speriamo, delle istituzioni e della politica, non può non essere salutata positivamente.
Sul resto dell'amplissimo fronte delle questioni del “lavoro”, non possiamo non riprendere la riflessione incardinata nell'edizione dedicata all'annuncio della ricorrenza. In cui avevamo detto che questo Primo Maggio non poteva essere Giornata solo di festa. Ma che doveva, deve essere soprattutto di riflessione, di consapevolezze della deriva in corso, di ineludibile testimonianza di una volontà di resipiscenza e di resilienza.
Salari al palo dalla fine della prima repubblica. Dato cui si aggiunge l'erosione dell'inflazione incontenibile e di politiche fiscali che mettono a carico del lavoro la parte preponderante del gettito.
Non è in questione solo la riappropriazione (posta dal massimalismo sindacale e politico in una prevalente se non addirittura esclusiva modalità rituale) del quantum sottratto dalla manomissione degli equilibri socioeconomici in chiave di prevalenza dell'iperliberismo e della finanziarizzazione; bensì dell'instaurazione di un nuovo modello in cui, fatta salva la sostenibilità dell'efficienza e della competitività, sia riaprano le prospettive di un ruolo, costituzionalmente previsto e propugnato, per "il lavoro". Attraverso la resilienza dell'economia "sociale" incardinata dalla programmazione e dalla politica dei redditi
Ci rendiamo ben conto di essere se non fraintesi, almeno non percepiti nelle nostre reali intenzioni, in tempi in cui conta solo la ricchezza, in questi tempi malati di consumismo compulsivo e di vorace profitto (come osservò, senza però indicare il rimedio, il defunto Papa). I tempi del turbo capitalismo che, nel combinato con la globalizzazione, hanno portato indietro le lancette del laburismo.
Il 25 aprile, questo del 2025, non rappresenta, per quanto riguarda i nostri convincimenti e questa riflessione, l'antagonismo tra destra e sinistra, come interessatamente si vuol far apparire, ma tra barbarie e civiltà. A questo punto non possiamo non allargare sguardo e l'attenzione ad aspetti diventati desueti nel confronto e nella pubblicistica. Ci riferiamo allo spunto dell'intervista odierna a Thomas Pcketty (già autore di Il capitale nel XXI secolo e, più recentemente, di Uguaglianza). Il quale dopo aver premesso che “Anche se le teorie socialiste appaiono fuori moda”, si dichiara sostenitore di una "forma di socialismo democratico e federale europeo" e reitera le ragioni di una cooperazione sociale come prodromo di un sistema vocato all'uguaglianza. Come fu quello innescato dalle vicende del secondo dopoguerra. Con il portato consolidatosi nel tempo (fino alla fine della Prima Repubblica) di un modello (fondato su un'occupazione diffusa, su trattamenti salariali e normativi avanzati, su un sistema di istruzione e socio assistenziale in linea con gli standards europei). Quel ciclo si arrestò e si invertì con l'avvio della reaganomics, punto di innesco della globalizzazione imperniata sull'idolatria del mercato. Contrapposta alla rivoluzione dello Stato sociale come riequilibratore, attraverso la spesa pubblica nei campi dell'intervento sociale, delle condizioni di classe. Non condividiamo Picketty nettamente su una cosa: la sregolatezza della spesa pubblica, specie del suo versante parassitario. Che in qualche modo confligge con l'autorevolezza e la sostenibilità di un modello di socialismo "partecipativo", fatto sia di prerogative di equità sia di accettazione piena di consapevolezze attorno all'indivisibilità del bilanciamento tra bisogno e merito e doveri e diritti.
Sono questi (o dovrebbero essere) ulteriori spunti per una degna celebrazione della festa del lavoro.