Circolo Matteotti, senza i socialisti
Il manifesto promovente la costituzione del Circolo Giacomo Matteotti, illustrato pubblicamente lo scorso 15 maggio a Milano, contiene una analisi apprezzabile su tanti temi internazionali, come la globalizzazione, le diseguaglianze le guerre, la giustizia sociale, come anche sul populismo e sulle responsabilità politiche delle forze liberali e socialiste, in particolare, inderogabilmente chiamate a dare e osare di più.
Alla iniziativa, che ha avuto riscontri anche sulla stampa nazionale, non hanno sorprendentemente aderito né il Psi milanese, che ha lamentato il mancato coinvolgimento, né altre espressioni della diaspora socialista, perplesse, motivatamente, sulla identità del Circolo, nonché sull' ambiguo rapporto con i Partiti.
Al riguardo riporto quanto affermato nel documento : Non siamo un circolo di parte, un organismo collaterale a qualche partito, né vogliamo essere un partito o un movimento. È un luogo per DARE. Siamo credenti e non credenti, liberali e socialisti, moderati e progressisti; alcuni tra noi militano nei partiti e altri vorrebbero riavvicinarsi alla politica; ci uniamo perché abbiamo un interesse comune che sovrasta tutti gli altri che è quello della solidarietà nazionale europea, dell'unità nazionale e dell'unità dell'Europa.
Preso alla lettera, il testo prefigura una associazione prettamente culturale, come tante, prodiga di auspici e di appelli, senza alcuna forza organizzativa a sostegno delle proprie idealità.
Favorevoli a che resti ermeticamente reticente a sparigliare gli assetti del PD, di Più Europa, Italia Viva e Azione, sono contrariamente a quanto annunciato, proprio tutti i promotori del Circolo, iscritti ai citati Partiti.
A questa realtà andrebbe opposta una altrettanto chiara presa di posizione da parte dell'area area socialista e di quanti non condividono l'uso strumentale del nome e della dirittura morale di Matteotti a supporto di tattiche fini a se stesse, disgiunte dalla contestuale attualizzazione del pensiero riformista, distintivo dello storico protagonista del socialismo italiano.
La credibilità del Circolo Matteotti, risiede nel perseguimento dei fini indicati dal documento fondativo, da diffondere attraverso confronti ovunque possibili, miranti esplicitamente a concorrere alla definizione di un moderno soggetto ( partito o federazione ), apertamente alternativo al centro destra, aggregante tutte le componenti liberal – socialiste.
Alla formazione di una forza unitaria di centro sinistra che sostituisca il linguaggio gridato degli schieramenti attuali, con idealità e proposte programmatiche richiamanti il socialismo liberale, una offerta politica innovativa che richiami al voto i tanti elettori oggi astensionisti.
L'evoluzione in tale ottica del Circolo Matteotti, è l'unica prospettiva che può fugare i dubbi e gli interrogativi intorno alla sua nascita ed operatività, nonché rimediare gli errori delle deludenti prove elettorali del recente passato.

VIRGINIO VENTURELLI
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RASSEGNA DELLA STAMPA CORRELATA


In evidenza È rinato anche il PSDI

Ho partecipato anche con un intervento politico alla rinascita del PSDI. In qualche forma si associano il PSDI di Paolo Preti, Rinascita socialdemocratica, fondata dallo storico Luigi Preti, Socialdemocrazia di Costi e l'Unione socialdemocratica di Molinella. In questo comune di 16mila abitanti, baluardo storico dei socialdemocratici e semina rigogliosa di Massarenti e Martoni, i socialdemocratici dispongono ancora della maggioranza e del sindaco. Ho portato il saluto de La Giustizia, che alla socialdemocrazia è storicamente legata, e del Movimento socialista liberale ipotizzando un patto federativo con questo partito e ricordando che venerdì 6 giugno si terrà un'iniziativa sempre a Bologna con Carlo Calenda, il solo che contrasta questo bipolarismo apolitico e al quale guardano i socialisti liberali e anche i socialdemocratici per costruire un polo riformista. Al congresso hanno parlato anche Rosato per Azione, Pina Picierno e Lia Quartapelle per i riformisti del Pd. Paolo Preti, non parente di Luigi, ha portato i saluti del presidente del Psdi Carlo Vizzini, assente per motivi di salute.
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Mauro Del Bue Direttore. Nasce a Reggio Emilia nel 1951, laureato in Lettere e Filosofia all'Università di Bologna nel 1980, dal 1975 al 1993 é consigliere comunale di Reggio, nel 1977 é segretario provinciale del Psi, nel febbraio del 1987 è vice sindaco con le deleghe alla cultura e allo sport, e nel giugno dello stesso anno viene eletto deputato. Confermato con le elezioni del 1992, dal 1994 si dedica ad un'intensa attività editoriale (alla fine saranno una ventina i libri scritti). Nel 2005 viene nominato sottosegretario alle Infrastrutture per il Nuovo Psi nel governo Berlusconi. Nel 2006 viene rieletto deputato nel Nuovo PSI. Nel 2007 aderisce alla Costituente socialista nel centro-sinistra. Nel 2009 é assessore allo sport e poi all'ambiente nel comune di Reggio. Dal 2013 al 2022 dirige l'Avanti online.
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Nasce il Circolo Giacomo Matteotti, la nuova casa del dibattito politico democratico, liberale e socialista

Tutti parlano del grande cambiamento. Ma cosa è cambiato per davvero? Non è lo scontro tra democrazie e autocrazie, perché questo ha accompagnato tutta la storia moderna e tutto il ventesimo secolo. Dal tempo della rivoluzione bolscevica e delle rivoluzioni nazi-fasciste, le democrazie si sono sempre misurate contro avversari esterni, li hanno battuti, vinti e si sono diffuse e affermate a cominciare dalle nazioni che avevano scatenato il secondo conflitto mondiale (Germania, Italia, Giappone). Le democrazie e autocrazie hanno continuato a contendere anche durante la Guerra fredda, fino al crollo del Muro di Berlino e all'autoscioglimento dell'Unione sovietica, quando più o meno ingenuamente si è sperato che ci sarebbe stata una nuova ondata, definitiva, di democratizzazione.
La novità del nostro tempo è un'altra: è la rottura tra nazioni e dentro le nazioni dell'Occidente. Da anni negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei è venuta crescendo la contestazione e l'erosione dei fondamenti dell'Occidente, e cioè la libertà individuale, la democrazia e la solidarietà sociale. Principi un tempo comuni a tutto il mondo occidentale, da cui gli Stati Uniti di Trump si stanno allontanando brutalmente. Parallelamente, in Europa crescono movimenti aggressivamente nazionalisti, reazionari e persino razzisti.
È presto naturalmente per dire se si tratti di una rottura definitiva – tutti ci auguriamo che non lo sia. In ogni caso, bisogna guardare in profondità per capire di che si tratta. Se vengono meno gli equilibri propri di una democrazia liberale e in suo luogo si impone una oligarchia che non rispetta le libertà costituzionali e la separazione dei poteri, sfumano le differenze sostanziali rispetto alle dittature. Il capitalismo predatorio genera enormi disuguaglianze di reddito e di ricchezza e ha come conseguenza la plutocrazia. Quando la concentrazione di ricchezza supera ogni limite anche quelli di mercato che imporrebbero la concorrenza e queste distorsioni tracimano dalla sfera privata a quella pubblica, si rompe il contratto sociale. Allora si allarga il solco con le aspirazioni alla giustizia sociale e con la democrazia, quella liberale e costituzionale, che invece si regge su un insieme di regole e di vincoli comunitari entro i quali – e non oltre i quali – si esprime la volontà popolare.
Perché siamo arrivati qui? L'incubazione è stata lunga: si paga una fase prolungata – negli Stati Uniti e soprattutto in Europa – in cui la dialettica è stata quella tra tecnocrazia e populismo che già conteneva tutte le insidie future. La distanza tra le promesse della globalizzazione e i suoi effetti sulle persone reali ha frantumato la fiducia nel sistema. Europa e Stati Uniti per reggere la concorrenza dei paesi emergenti hanno frenato l'ascensore sociale e questo ha aumentato la povertà, l'impoverimento e quindi la disaffezione. I luoghi della decisione sono diventati globali e lontani, la capacità di intervento della politica nazionale ne è stata annichilita.
C'è una grande responsabilità della politica liberale, socialista, democratica: più volte essa si è impigrita, illudendosi di stare dalla parte giusta di un cambiamento inevitabile. Se innovazione politica c'è stata, è stata soltanto e in forme discutibili sulle questioni dei diritti civili o su un approccio astratto e controproducente ai temi dell'immigrazione, che ha ignorato il malessere della parte più povera della popolazione e non ha risolto il problema dell'integrazione. Queste politiche hanno provocato la polarizzazione e il distacco delle masse dalla politica democratica. Ci si è rifugiati in battaglie minoritarie e di indignazione, invece di trovare e rinnovare gli argomenti per difendere e estendere le conquiste di libertà, solidarietà, democrazia. È mancata una comprensione del cambiamento che attraversa lo stesso mondo occidentale così come degli effetti dell'innovazione tecnologica e della comunicazione sulle piattaforme online sulle quali prevalgono punti di vista estremi, rozzi ed elementari e prevale l'individualismo che distrugge il fondamento comunitario, alla base del confronto democratico. Il risultato è che tante persone si sentono disorientate e non rappresentate. Oggi una parte, anche importante, dell'astensionismo è costituito di persone che rigettano quelle politiche.
L'aumento dell'astensionismo, il populismo di destra e di sinistra e il riemergere della tentazione totalitaria sono facce della stessa crisi. L'avvento al potere di Trump e della nuova oligarchia è la conseguenza di un guasto più profondo che intacca il sistema alla radice e alimenta la distanza con l'Europa.
Ora l'Europa è sola, o più sola. Ha perso il suo principale alleato. La priorità delle priorità è la sicurezza. Questa esigenza, già sottovalutata in rapporto al crescere di fenomeni di violenza e criminalità, ora non va sottostimata nella dimensione maggiore che è quella del rispetto dell'intangibilità delle frontiere, dei confini.
Che fare? La risposta è fare politica. Come? Non replicando le illusioni della globalizzazione. È il momento di DARE. Dare perché per troppi anni la politica si è preoccupata più di prendere (voti, consensi, visibilità) che di offrire risposte nuove a problemi nuovi. Dare perché bisogna riaccendere tutti i circuiti della cittadinanza attiva, nei corpi intermedi, associazioni, sindacati, volontariato, e soprattutto strutture di base. Pensare, scrivere e comunicare, associarsi, agire per dare vita a un progetto umano, capace di guidare, governare e quando necessario anche contrastare la distorsione della democrazia e la verticalizzazione del potere. È il momento di DARE perché Democrazia, Autonomia strategica, Riforme, Europa devono tornare a essere al centro del nostro impegno politico. Non è facile ma è l'unica cosa possibile. Dobbiamo convincere i cittadini a comprendere che tutti possono fare la differenza se si impegnano a fare la differenza, che siamo tutti insostituibili, pezzi unici ciascuno con le sue specificità e peculiarità. Non c'è speranza senza lotta.
Dobbiamo far prevalere il bene comune e l'interesse generale sugli interessi e le visioni particolari, partitiche, partigiane. Questo richiede una presa di coscienza la più diffusa possibile della posta in gioco. Cominciamo con l'affrontare la minaccia incombente sull'Ucraina e con l'attacco all'Europa. Non possiamo girare la testa dall'altra parte se l'Ucraina è costretta alla resa e ad essere smembrata. Non dobbiamo piegarci alla menzogna dei sovranisti e dei populisti. La sovranità europea ci tutela. Il sovranismo nazionale ci mette fuori dalla storia.
Pensare il bene comune non significa inventare nuovi dogmi o imporre obiettivi irrealistici come è avvenuto con la transizione ecologica declinata senza tenere conto della crisi industriale e dell'impatto sociale. Pensare il bene comune vuole dire riconoscere gli errori compiuti sul fatto che l'esportazione dei mercati avrebbe con ciò stesso garantito l'avvento di sistemi democratici. Significa cercare di intercettare l'interesse se non di tutti almeno della maggioranza, invece di coltivare orticelli identitari e poi illudersi di sommarli.
Dare significa darsi da fare: per difendere la democrazia, per preservare l'impianto sociale che ha animato l'Europa degli ultimi ottant'anni, per arginare una deriva sempre più insostenibile della politica italiana e non solo. A difendere i pilastri del nostro sistema occidentale sono persone di estrazioni politiche e ideologiche diverse, con grandi differenze e ognuna con la propria identità. Non si tratta quindi di annacquarle o di fingere che queste differenze non esistano. Si tratta invece di trovare un modo e un luogo per valorizzarle e per condividere una battaglia politico ideale sulle cose più importanti.
Dare nella sua accezione inglese significa osare: uscire dalle dicotomie degli anni passati per creare un luogo in cui si immaginano nuove proposte, nuovi modi di comunicare e di costruire idee. Un luogo di discussione franca, laica, persino eterodossa.
Cento anni fa, di fronte alle tragiche conseguenze della guerra e agli sconvolgimenti della scena interna e internazionale la politica democratica italiana non seppe rinnovarsi e venne travolta. Contro il populismo e le tentazioni totalitarie ci vuole fermezza e vigilanza ma guai a cadere dell'intolleranza e nel settarismo. A questo si ispira la nascita del Circolo Giacomo Matteotti. Non siamo un circolo di parte, un organismo collaterale a qualche partito, né vogliamo essere un partito o un movimento. È un luogo per DARE. Siamo credenti e non credenti, liberali e socialisti, moderati e progressisti; alcuni tra noi militano nei partiti e altri vorrebbero riavvicinarsi alla politica; ci uniamo perché abbiamo un interesse comune che sovrasta tutti gli altri che è quello della solidarietà nazionale europea, dell'unità nazionale e dell'unità dell'Europa.
Ci rivolgiamo alle persone di buona volontà che vogliono un'Italia libera e forte in un'Europa libera e forte. Vogliamo rifarci ai circoli di cultura politica per animare un dibattito franco, irriverente, che scarta di lato e che ci aiuti a ritrovare la strada per vivificare la democrazia, rafforzare l'Europa e la sua autonomia, riprendere in mano le riforme necessarie a unire l'Italia. Un dibattito che vogliamo fare partendo da Milano, città dove la cultura riformatrice ha animato alcune delle migliori esperienze di innovazione politica e dove l'incontro tra società, intellettuali, politica ha prodotto rinnovamento e energie. Lo facciamo, sperando di essere seguiti da iniziative analoghe in altre parti di Italia.
Abbiamo scelto di farlo ispirandoci a Giacomo Matteotti, esempio fulgido di una politica che si misura con i problemi del proprio tempo, una politica concreta come era concreto il lavoro che faceva per formare le classi dirigenti del futuro a partire da quelle dei piccoli comuni, delle leghe dei sindacati, del partito stesso.
A chi non crede
A chi è sfiduciato
A chi non vota pur sapendo che sarebbe importante farlo
A chi guarda con angoscia alle nubi della storia che si addensano all'orizzonte
A chi vorrebbe impegnarsi per l'Europa unita ma non sa come fare
A chi è stanco di una politica di giornata
A tutti noi diciamo
Associamoci per l'Europa federata e sovrana; per l'Ucraina libera e indipendente; per l'Italia democratica e solidale.
I promotori del circolo Matteotti: Piervito Antoniazzi, Francesco Ascioti, Pietro Bussolati, Francesco Caroli, Paolo Costanzo, Benedetto Della Vedova, Alessia Del Corona Borgia, Emanuele Fiano, Massimo Ferlini, Dario Forti, Marco Ghetti, Claudio Martelli, Lisa Noja, Alberto Pontara, Lia Quartapelle, Christian Rocca, Mario Rodriguez, Sergio Satriano, Sergio Scalpelli, Augusto Schieppati, Elisabetta Strada, Marco Taradash, Simona Viola, Luca Zambon.
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Eppur si muove… o sembra….
Un incipit, questo, per azzardare un'interpretazione, compresa tra la fattualità fel format ed un minimalismo di aspettative desumibili sia dai contenuti del pronunciamento, da noi integralmente riportato per di più con l'importante chiosa di Venturelli, sia dallo sforzo di inquadramento di avvenimenti in corso in un enclave, che ha indotto a presentare la conferenza d'esordio con un auspicio: “Sarà un luogo di discussione aperto a tutti i contrari al bipopulismo contemporaneo”.
Auspicio che facciamo nostro. Portatori come siamo stati in questi anni dello sconcerto suscitato dalla diserzione del campo da parte dei potenziali players. Smentendo il nostro pessimismo, ecco che in una manciata di settimane si registrano il ritorno sulla scena degli eredi ideali della socialdemocrazia italiana e, soprattutto, il varo dell'iniziativa del Circolo Matteotti.
I cui contenuti programmatici aprono effettivamente una prospettiva di armonizzazione e convergenza tra espressioni attualmente avulse dalla “militanza”partitica, ma ben identificabile in un preciso bacino teorico.
Identificabile, si ripete, nei contenuti del documento programmatico; ma anche nella storia pregressa dei players.
Sorprende (positivamente!) la scesa in campo di un cospicuo segmento rappresentato sia da importanti veterans “miglioristi” del vecchio PCI sia da nuovi talenti approdati (con ruoli significativi, ma anche con verve critica) al PD.
Senza illusioni, osiamo dire che siamo in presenza di quelle ripetutamente auspicate condizioni per “federare” (come propone Del Bue) un polo riformista.
Che individuino in Giacomo Matteotti il massimo esponente del Pantheon dei padri non solo non ci sorprende, ma fortifica le chances di questo auspicio.