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Gestione pubblica dell'acqua

Riceviamo da Giuseppe Azzoni e molto volentieri pubblichiamo

  14/07/2022

Di Redazione

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Egregio direttore, leggo sul quotidiano locale una informazione importante e su un tema attualissimo: “Una rete modello – Perdite dimezzate rispetto alla media”. Così il titolo di un documentato pezzo sulla gestione idrica di Padania Acque. Vorrei portare qualche considerazione sia come utente sia per la esperienza di molti anni passati nella politica e nelle amministrazioni locali. Da utente dico solo che ho potuto apprezzare (cosa condivisa da diversi conoscenti) un forte miglioramento della qualità della nostra acqua potabile. Ora, dopo tanto tempo di minerale, metto in tavola quella del rubinetto. Anche sulla bolletta di Padania: non è che l'abbia studiata ma vi percepisco lo sforzo di perseguire un equilibrio tra moderare la tariffa, disincentivare gli sprechi, autofinanziare gestione ed investimenti. Per le mie passate esperienze devo dire che la gestione pubblica dell'acqua, nella attuale forma adottata nella nostra provincia, è frutto di una giusta linea e degli sforzi che i partiti e le istituzioni locali, Provincia e Comuni insieme, hanno fatto per portarla avanti nella seconda metà del '900.  

Per molti anni nel dopoguerra ampie zone furono sprovviste di acquedotto ed anche dove esso c'era non mancavano i problemi (livello non sufficientemente profondo della falda, atrazina, perdite di rete ecc.). I vari enti, “ognuno per sé”, non erano in grado di affrontare questi problemi. Dunque, anche se i partiti erano quelli della guerra fredda e non se le mandavano a dire, anche se nei Comuni non è che mancasse l'orgoglio di campanile, su questo tema seppero mettersi insieme, in pur travagliate discussioni seppero arrivare a perseguire una comune costruzione consortile, il mitico “consorzio acquedotti”, per niente scontata. Si fece un salto di quantità e di qualità, ho trovato in un vecchio articolo di giornale che nel 1967 il consorzio aveva in itinere la costruzione di 42 acquedotti nella provincia ed altri 34 erano progettati. Nel contempo maturava l'esigenza di gestire in modo integrale il ciclo acque: rete potabile, rete e scarichi fognari, depurazione... Ed anche in questo l'impegno per operare insieme del cremonese fu importante. Ed il capoluogo, da fine anni 70 ai successivi, ristrutturò radicalmente la rete fognaria e creò uno dei primi depuratori relativi al Po. Così si è giunti, ormai da parecchi anni. a Padania Acque, una struttura che ha raccolto quel testimone per portarlo ad una scala aggiornata e gestire il ciclo mi pare egregiamente. È giusto dirlo, senza con ciò che nessuno debba rinunciare alle critiche ed agli stimoli che ritenesse di fare. 

 

Giuseppe Azzoni (Cremona)  

 

Non solo perché l'autore di questa bella e feconda testimonianza, su un'attualità virtuosa e su un passato che non andrebbe mai perso di vista, in qualche modo ci ha istigato (“a critiche e stimoli”), ma, soprattutto perché condividendo largamente il giudizio sul presente e totalmente la rivisitazione del percorso civile che ne è scaturigine, ci permettiamo aggiungere alcune note alle sue riflessioni. 

Caro compagno ed amico Azzoni, tutto è perfettibile! Ma non andrebbe mai dimenticato che il meglio non sempre è correlato al bene. 

Affermo ciò, in qualche misura sconcertato dalla gragnuola di stroncature (dettate quasi mai da senso della realtà e raramente da intenti edificanti) sullo stato dell'arte dell'aggregato di infrastrutture e di servizi a gestione prevalentemente pubblica. 

Me la prendo un po' larga questa disamina, spaziando dalla riflessione sull'acqua bene pubblico, assunto come detonatore dialettico, alla visuale più ampia delle utilities primarie non ancora (o non totalmente) sfuggite alla mano pubblica territoriale. 

Fatto si è che ogni tanto farebbe bene alzare lo sguardo dall'ombelico di prossimità e confrontare alcuni (non infondati) rilievi con altre realtà territoriali. 

Vivo (da quasi mezzo secolo) alcuni mesi all'anno in Trentino. Di cui apprezzo sempre di più non solo il raro valore climatico-paesaggistico, ma anche il modulo civile (ispirato da un forte senso di coesione e di identificazione comunitaria). Premessa indispensabile per garantire, da un lato, un virtuoso combinato diritti/doveri tra cittadini e istituzioni locali e, dall'altro, (attraverso un rapporto reciproco di prossimità) una palpabile garanzia di buoni servizi e di verifica dal basso sui medesimi. 

In ogni caso è ben noto il rating dell'efficienza dei servizi pubblici derivante sia dall'accertabilità fattuale sia da una vulgata, che inclina parecchio a decantare (non erroneamente) i vantaggi soi disant dell'”autonomia” e, universalmente, del decentramento territoriale. 

Se così non fosse …dopo molti decenni dovrei assegnarmi ad honorem la patente di cretino. 

Qui si vive bene e si fruisce generalmente di utilities efficienti ed economicamente congrue. Oddio, l'utenza idrica (che ha un'abbondante materia prima di prossimità) non pare tener conto di tale circostanza in sede di tariffazione. Punctum dolens: la gestione dei rifiuti, per cui per tre mesi di soggiorno pago più del doppio delle tariffe dei gestori cremonesi e per un servizio largamente meno confortevole. A Cremona, sia pure con la variante tutta da verificare della tariffa “puntuale” per l'indifferenziata, il servizio è quasi da cinque stelle (soprattutto, dal punto di vista dell'asporto a domicilio). Qui, dopo aver pagato tre volte tanto per l'asporto umido/secco indifferenziato (che costituisce, a spanne, il 10% del conferito), il trattamento del restante 90% è, diciamo, autogestionario: devi differenziarlo fai da te in una decina di tipologie e conferirlo (sempre fai da te) al sito di raccolta (a 6 km da casa). 

Ci sono due ragioni in questo modulo di raccolta e trattamento rifiuti: il primo riguarda l'ottimizzazione dell'indotto della differenziata (che, non avendo spesa di raccolta, rappresenta una voce quasi netta di entrata); il secondo è che qui la massa di rifiuti indifferenziati non viene trattata ma semplicemente accumulata in discarica. Ovviamente, in attuazione dei rigidi, ideologici dogmi di contrasto all'inquinamento atmosferico. Non votando qui, ci limitiamo a registrare questa difformità. Che ha conseguenze non esattamente lievi sia sulle tariffe sia sull'ulteriore praticabilità del modello. Le discariche, una delle quali a ridosso dell'uscita Centro Nord della A22, sono prossime all'impraticabilità. E, anche se per ragioni orografiche offrono maggiori garanzie a livello di percolamento, non v'è chi non colga che queste migliaia di mc stazioneranno (non senza conseguenze sull'equilibrio ambientale e paesaggistico) per l'eternità. Morale: ha senso, nel nostro quadrante domestico, fare del termovalorizzatore (che in ogni caso deve garantire standards di sicurezza e di rispetto ambientale) la battaglia (ideologica) per la vita? Quando è ormai manifesto il fatto che il processo di termodistruzione e di valorizzazione è alla base della sostenibilità di un modulo che garantisce efficienza nel servizio e tariffe ragionevoli. 

Tornando alla bella riflessione di Azzoni sull'acqua pubblica, che condividiamo anche perché gli attuali contesti impongono sempre più di praticare consapevolezze congrue ad un uso oculato di risorse primarie. 

Di nostro (e senza alcuna malevolenza) vorremmo, in aggiunta ad Azzoni (che riconosce giustamente i dovuti meriti al gestore del servizio), invitare a riflettere sulla scaturigine di questi processi virtuosi a livello di somministrazione di servizi efficienti a tariffe congrue, per non dire popolari. Che è la funzione di controllo pubblico, anzi territoriale. Non sarebbe stato così se il gestore, anziché essere espressione delle istituzioni territoriali, fosse privato. 

Il che non ci fa risparmiare il rilievo che molto spesso Padana Acque si fa percepire come un mastodontico Kombinat (la cui sostenibilità esige l'impiego di risorse, che, invece, potrebbero ulteriormente calmierare le tariffe o essere destinate ad investimenti). 

Un rilievo questo che non inficia il giudizio lusinghiero espresso da Azzoni. Il cui excursus fornisce anche l'opportunità di rivisitare le vicende che in quasi settant'anni portarono alla formazione ed al consolidamento di questo servizio. 

All'inizio degli anni Cinquanta la realtà del servizio idrico presentava, se si fa eccezione per i Comuni del territorio più strutturati (Cremona, Crema, Casalmaggiore, Soncino, Soresina e pochi altri), le caratteristiche di un'assoluta arretratezza. Lo snodo per il cambio di passo in chiave di resilienza postbellica e di modernizzazione, particolarmente indirizzato ad invertire le condizioni di degrado e di assoluta inadeguatezza rispetto a sia pur minimali standards, in materia di tutela della salute e di condizioni igieniche, avrebbe orientato un vasto fronte politico e sindacale di impronta progressista. 

In particolare relativamente a alle condizioni di vita dal punto di vista abitativo e dei più elementari servizi. A cominciare dall'igiene delle acque. Fin lì emunte (e scaricate), da pozzi sparsi in tutto il territorio e privi dei minimali requisiti di continuità del prelevamento, di diretto collegamento alle abitazioni, di controllo chimico-batteriologico. 

Tale primaria sollecitudine sarebbe diventata ancor più manifesta e costante a partire dalla metà degli anni 50. 

Nell'edizione de L'EdP 2/54 c'è qualcosa di più di una semplice traccia. Là dove si informa che: “si sta lavorando per il Consorzio Provinciale per la costruzione in ogni comune di impianti di acquedotti, se si dovrà come si deve arrivare alla costituzione di un Consorzio per dare ad ogni comune l'impianto di fognature e di spurgo delle acque e dei detriti”. 

L'approdo a tale conclusione fortemente innovativa e egualitaria, dimostratrice, ribadiamo, di una lucida visione attorno alla priorità di dotare un territorio, che già allora prospettava la tendenza ad essere emarginato dalle grandi innovazioni in corso, di un strumento capace di pianificare la modernizzazione, lo sviluppo, il riequilibrio territoriale e sociale, costituì il proverbiale primo passo di un lungo percorso di modernizzazione e di socialità. Destinato ad essere ancor più sollecitato e favorito dall'incontro tra le culture riformiste socialiste e cattoliche. Ed accelerato dalle premesse e dalle prime prove della Giunta Ghisalberti (D.C., PSI, PSDI). Di cui la costituzione del Consorzio per gli Acquedotti della Provincia di Cremona rappresentò, senza ombra di dubbio, un traguardo fortemente anticipatore di una stagione ispirata dalla giustizia sociale e dall'innovazione delle comunità territoriali. 

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