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Focus dissesto idrogeologico

  07/06/2024

Di Redazione

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Assolutamente necessario prevenire

Benché il tema delle alluvioni sia tornato d'attualità negli scorsi giorni a causa delle grandi piogge di maggio con la tragedia del Natisone (di cui rimane la sensazione di una evitabilità solo che i soccorsi fossero stati tempestivi e che allo sciacallismo fotografico si fosse sostituita un solidale slancio), esso non è entrato nell'armamentario della polemica elettorale forse perché considerato di modesta rilevanza e perché probabilmente le responsabilità sono talmente diffuse da mettere tutti i partiti nel calderone delle colpe.

Lo scorso 30 maggio, il presidente della Repubblica in visita a Ravenna, comune nell'area del grande fenomeno alluvionale dello scorso anno ha -a dire il vero- effettuato un ingiustificabile azzardo, quando rivolgendosi agli operatori del settore, ha dichiarato, tra l'altro: «Tutti voi avete dovuto affrontare un fenomeno imprevedibile e di dimensioni inimmaginabili, con numeri impressionanti ed invece, al contrario, il tempo delle decisioni e degli interventi era estremamente breve. Avete dovuto definire e progettare interventi risolutivi anche con molto coraggio per contenere un fenomeno così imprevedibile. È stato fatto tutto con grande maestria ma soprattutto con grande generosità e di questo intendo ringraziarvi.»

Il punto critico del ragionamento di Mattarella -e di tutti coloro che si esprimono per sentito dire- è che ciò che è accaduto in Romagna non era fatale, bensì prevedibile in termini teorici e affrontabile tempestivamente con opere adeguate. Come dimostrano ampiamente il caso Veneto, il caso Parma, il caso Modena.

Se la maestria di Mattarella è rivolta ai soccorritori e agli operatori di emergenza nulla da dire, salvo il fatto che le sue parole generiche possono apparire a chi ha pagato sulla sua pelle l'imprevidenza delle amministrazioni una sorta di assoluzione generale nella quale sarebbero accomunati agli operatori del dopo, gli imprevidenti operatori del prima.

Su questo tema, ostico e poco elettoralistico, la premier Giorgia Meloni ha avuto modo di pronunciarsi in modo appropriato. Infatti, ha parlato della necessità che i proprietari di beni danneggiabili da eventi alluvionali si assicurino, almeno parzialmente, rispetto a questo genere di eventi catastrofici.

Certo, in Italia le reazioni della gente sono variegate e ho assistito di persona alla fatalistica passività di alcune zone e alla generosa operosità di altre.

La questione ha un aspetto fondamentale che ci rende anomali, rispetto ad altre parti del mondo, per esempio, gli Stati Uniti. Non c'è infatti, nell'altrove, alcun automatico intervento in denaro dello stato volto a raggiungere i cittadini con contributi correlati al danno subito. Se volessimo utilmente filosofeggiare potremmo dire che laddove lo stato ha provveduto a realizzare le opere di messa in sicurezza di un territorio, il cittadino che è esposto a un qualche danno dovrebbe avere avuto la cura del buon padre di famiglia assicurandosi adeguatamente. E così per il caso dei terremoti. Qual è la ragione per la quale lo stato debba ergersi ad assicuratore di tutti, quando tutti potrebbero prevenire i disastri intervenendo sui loro beni immobili per renderli antisismici, anche nel caso in cui la loro costruzione risale a qualche secolo. Fra l'altro, la normativa dello Stato italiano in materia da tempo prevede diverse forme di contributo, soprattutto esenzioni fiscali, a chi decidesse di intervenire nel proprio edificio con opere di rafforzamento strutturale e di antisismicità.

Questo ragionamento porta a chiudere il cerchio delle responsabilità e, in definitiva, attenua il complesso di doveri e il clientelismo che lo Stato medesimo deve onorare in caso di catastrofe, oltre alla migliore tutela del deficit di bilancio.

Tornando a noi e alla Romagna, non c'è ragione sistemica accettabile nel non avere avviato da subito un vasto programma di prevenzione, puntando sulle frecce che il territorio romagnolo offre alle autorità: sono numerosi, per esempio, i siti montani nei quali potrebbero essere realizzati degli sbarramenti a doppio uso. Da un lato il trattenimento delle acque in vista delle stagioni secche, dall'altro la produzione di energia idroelettrica di cui teoricamente avremmo una enorme disponibilità. Oltre naturalmente ai vallivi bacini di laminazione. In linea di principio sarebbe preferibile partire da monte e la ragione è intuitiva: se blocchi le acque in invasi montani, le grandi piogge alluvionali sarebbero prive dell'apporto -appunto- montano. Nei grandi bacini come quello padano il piano Rossetti (l'unico di livello scientifico, malauguratamente abbandonato da diversi decenni) postulava un intervento contemporaneo a valle e a monte fino al raggiungimento dell'integrazione tra le due partite.

Non c'è dubbio, quindi, che mentre lo Stato deve farsi carico delle opere di prevenzione, nei limiti ragionevoli considerati tali dalla tecnica costruttiva, è altrettanto ragionevole immaginare che per gli eventi straordinari entri in ballo un'assicurazione stipulata dai proprietari.

In fondo, la questione diventa semplice se parliamo di soldi: un assicuratore pretenderà un premio stratosferico in una zona priva di presidi pubblici passivi, mentre ne vorrà uno sostenibile dove lo Stato avrà fatto la sua parte.

Per il momento e chissà per quanti anni ancora in questa delicata e negletta materia nessuna assoluzione, a nessun titolo.

Domenico Cacopardo, Presidente di s. del Consiglio di Stato
Domenico Cacopardo, Presidente di s. del Consiglio di Stato

Non “basta acqua” come avrebbe implorato il ragazzo di campagna Artemio (alias Renato Pozzetto), ma, richiamandoci ai precedenti titoli di una rubrica da tempo incardinata e ben lungi dal vedere la dirittura d'arrivo, ribadiremmo con Cacopardo “La vendetta dell'acqua”, “Un Commissario per l'alluvione”, “I capricci del Grande Fiume”, e (metabolizzando il senso di inconcludenza ma determinati a non mollare) “Ad nauseam”.

Nelle ultime ore sono arrivati gli ultimissimi alert, suscettibili di calcare le scene mediatiche, ma di non modificare di un ette le consapevolezze del ceto dirigente.

 Nella contemporanea storia civile (peraltro, non esattamente granita) di questa sfortunata Patria il combinato disposto di idealismi e di civile service si è prima impantanato e poi irreversibilmente arrestato. Lo dimostrano le evidenze, che Domenico Cacopardo per profondo sapere, genialità e maturata esperienza sul campo,    tanto efficacemente registra ed approfondisce. Si tratta di eventi che hanno la testa dura fattuale e che polverizzano vulgate immeritatamente durate decenni. La prima: la incontrastabile superiorità amministrativa "rossa", specie quella insediata lungo la Via Emilia. La vicenda del disastro idrogeologico dimostra il contrario. Nessuna precauzionalità e progettualità.  Anzi, un indirizzo esattamente opposto, che ha favorito l'impermeabilizzazione dei suoli e insediamenti edilizi (civili e produttivi) a macchia d'olio, pervasiva e dannosa per gli equilibri. Smantellati sistematicamente i presidi ereditati dalla buona tradizione statale pre-regionale (Genio Civile, Ispettorati Opere Pubbliche, Magistrati Po e Acque) tutto è stato affidato ad un generalizzato fai da te in capo alle peggiori pulsioni comunitarie e ad un ordinamento territorialmente decentrato, affidato ad una classe dirigente (elettiva e di carriera) inclassificabile (come direbbe l'insegnato severo ma rassegnato).

Severi quanto basta, per commentare, specie alla vigilia dell'election day a doppia mandata (europea, livello cui si riferirebbe la messa a punto di un adeguato progetto di salvaguardia idrogeologica, e comunale, nel cui perimetro dovrebbe, per un Comune come il nostro che si autodefinisce Capitale del Po, trovare spazio un'attenzione strategica di primaria importanza). Invece, come direbbe Nennillo Cupiello, “nun me piace ‘o presepe”. Per di più stavolta il castigo biblico alluvionale ha colpito più a nordest e chissene…

Già perché (e in parte ci contraddiciamo) la politica scesa in campo per la tenzone elettorale ha adottato della vicenda idrogeologica padana il lato soft, quello ludico. Della navigabilità, ma non come modalità alternativa e intermodalità, bensì come diporto.

Come, d'altro lato, aveva fatto quel fenomeno dell'allora ministro Del Rio (nomen homen) che (oltre a distruggere l'ente intermedio provinciale) incardinò il progetto Vento (rigorosamente incardinato nel recupero delle sponde padane come opportunità turistica (e ci può stare!) in termini del tutto avulsi dalla questione nodale rappresentata dalla bacinizzazione.

Vero, però, che anche la classe dirigente locale c'ha messo di suo, accettando lo smantellamento dell'idrovia Milano Cremona Po e l'Azienda Regionale dei Porti Interni.

Dopo di che i boiardi continuano a parlare dell'isolamento della Lombardia meridionale.

Per ambire a qualsiasi resilienza (incardinata nella salvaguardia dell'assetto idrogeologico del Grande Fiume che dovrebbe essere percepito come la dorsale di una vera grren economy) Cremona ha bisogno di tornare ad avere un progetto territoriale. Al proprio interno e nel contesto regionale ed interregionale. Con la A21, anticipatrice dell'asse Tirreno Brennero e medio Padano (immaginato dallo studio Gualazzini per Confindustria inizio anni 60) Cremona sarebbe diventato l'epicentro. A maggior ragione per la sinergia intermodale. Già il comparto manifatturiero che richiede trasporti massivi e quindi vie d'acqua, si è assottigliato.  Ma non i poli integrati dell'intermodalità. Cremona fu, con l'area portuale attrezzata, la vera candidata a diventare polo strategico di rilevanza europea (nel 1988 venne in visita il presidente della commissione trasporti del Parlamento Europeo). Se la modalità portuale/navigazione interna è  superata, come mai, invece, Valdaro (il cui progetto e la cui prima pietra sono stati firmati da due cremonesi) tira moltissimo? Perché la classe dirigente della città che si richiama a Virgilio (per sua fortuna, l'altro...) è visionaria, gioca le carte della sua geolocalizzazione baricentrica alle strategie sinergiche nord sud e est ovest del quadrante alta Emilia, Triveneto, Adriatico, Brennero. Ma se rinunci al tuo polo intermodale (ormai non più fruito neanche dell'acciaio), all'autostrada che ti reinserirebbe nello sbocco adriatico (sono stato anche consigliere del Porto di Chioggia, su richiesta dell'Unii), se non ragioni col Cremasco sull'utilità del raccordo competitivo del sud Lombardia (tutto, da Mantova, a Lodi, Pavia e Piacenza) e l'area metropolitana...allora puoi solo sperare nelle briciole rilasciate dal ricco Epulone...ai pezzenti. Quel che siamo diventati. In controtendenza con le intuizioni dei Lombardi, Vernaschi, Grossi (Peppo), Dolci, Dolfini.  Poi è arrivata la leva dei buoni a nulla capaci di tutto. Con cui ragionamenti come questo non sono neanche abbordabili. Per di più la prossima Consiliatura sarà ancor meno dotata di talenti minimalmente attrezzati per capire almeno la narrazione. Già eravamo partiti dall'emergenza alluvionale e poi ci siamo allargati. Ma l'incipiente vigilia della verifica del sentiment dei cittadini ce lo imponeva.

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