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75°: una “staffetta” che comincia con un pacistit

  10/02/2023

Di Redazione

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… (o cistka, che dir si voglia); termini didascalici che attingiamo dai nostri depositi di inguaribili cinefili, particolarmente affezionati alle opere cinematografiche che sono state fondamentali per la crescita di noi baby boomers e che sono state espunte dalla riproposizione nei contesti attuali. Nonostante abbiano ancora qualcosa da dire, quanto meno da suggerire alla ricerca di spunti evocativi.

Come lo sono, appunto, i rimandi in lingua russa che si rifanno alla sceneggiatura del guareschiano “Il compagno Don Camillo”. Una sorta di reportage cucito addosso ad un insospettabile imbucato in un viaggio-premio nella “patria del socialismo”. Parliamo del compagno Donizzetti, autoinseritosi (con destrezza e   ricatto) nella delegatsyia officiata del gemellaggio Brescello/Brezkebrozk, che avrebbe incrociato, suo malgrado, un momento di forte discontinuità in quello che fino a poco prima era stato ritenuto un sistema granitico.

Invece no, come si ricorda, ad un certo punto, la solenne conviviale del gemellaggio occasionato dal dono sovietico del trattore si interrompe. I compagni emiliani vengono invitati a guadagnare la location alberghiera, dove incrociano la severa dezurnaya, al ponte di comando della sua funzione di occhiuta controllora. Sul cui capo è cambiata l'effigie del “principale” incombente. Non più il (quasi) pacioso Kruscev (subentrato all'autarca per eccellenza il georgiano Stalin) ma il profilo da occhi di ghiaccio Kosygin.

Ai compagni di Brescello era sfuggito completamente il cambio di passo. Non si erano accorti, (finché l'occhio acuto e più attrezzato del prete en travesti non intervenne) della cistka in corso. Della “pulitura” (come si tradurrebbe letteralmente dal russo) sia del decoro della mansion alberghiera sia del vertice della nomenklatura.

La metafora attinta dal costrutto cinematografico si sarebbe consolidata in ogni dove nella quotidianità, specie quando si sarebbe alle prese con un passaggio di consegne non esattamente stimato come possibile, non particolareggiatamente presentato e dispensato con modalità appunto da cistka.

I lettori (e, soprattutto, gli amici della redazione del quotidiano locale) coglieranno senza dubbio alcuno i toni da facezia, adottati per introdurre adeguatamente il combinato rappresentato dalla celebrazione del 75° anniversario della fondazione del quotidiano cremonese La Provincia (si diceva un tempo per marcare la fidelizzazione,”il giornale dei cremonesi”) e una staffetta al vertice della funzione di direzione legale e redazionale. Che rientra esattamente sia nelle cose della vita normale sia nella ratio e nelle prerogative di kombinat  complessi (come possono essere un gruppo editoriale, le sue dipendenze da articolati assets proprietari, le sue correlazioni con la realtà circostante).

Fino a una domenica fa il titolare aveva scritto la sua articolessa domenicale che, senza scansioni specifiche, aveva fatto intendere (ai non addentro)  una sicura continuità nella gestione della temperie giornalistica elettorale come nel significativo evento di questi 75° anni di impegno editoriale.

Poi, ad un certo punto, nel divenire delle edizioni quotidiane tutto (evidentemente in materia di sovraesposizione del titolare ufficiale) si dirada e si affacciano i presupposti di pacistit, in scritti ed immagini.

Insomma (nonostante la notizia ufficiale non venga data sull'edizione cartacea, che è quella che fa testo soprattutto nella fascia del mainstream) se ne colgono i precordi: un protagonista, che aveva srotolato quattro anni di testimonianza professionale con modalità non esattamente soft, fa la fine del ritratto del quasi ucraino diventato destalinizzatore e a sua volta purgato, in un decennio.

Non che (dopo ripetuti impeachment del comitato di redazione e probabili situazioni di malmostosità nei rapporti col dante ruolo) l'eventualità di un cambio di responsabilità non fosse messa nel conto.

D'altro lato, era capitato (e non sempre per effetto di deragliamenti relazionali) e capiterà di nuovo nel futuro.

Sorprende una serie di fatti. Tra cui, appunto, un cambio nelle consegne verticali, praticato non con un gesto non protocollare né con obbligo, per un giornale, di essere, in materia di trasparenza verso i lettori, come la proverbiale moglie di Cesare.

Ma, essendo uomini di mondo, comprendiamo sia i gesti felpati sia l'imbarazzo a far emergere il background immaginabile.

La narrazione sincopata di quanto andava avvenendo appare in termini speculari, ma nell'emisfero analogico. Come in passato si sapeva discretamente di una certa discrepanza di punti di vista gestionali, confluita ad un paio di resa dei conti tra direttore, corpo redazionale e, si dice, tra editore.

Una quindicina di giorni fa era apparso online l'annuncio dell'esaurimento dell'incarico di vertice. Come era stato postato era stato, come il proverbiale éspace d'un matin, lestamente (e senza molte spiegazioni) disinstallato.

Dopo di che il convento, con una forte discontinuità protocollare, passa un GRAZIE DI TUTTO, CREMONA! firmato dal titolare uscente, che, con dovizia di convenevoli (rivolti à tout le monde tranne che al datore di lavoro e ai colleghi) comunica che “a quattro anni dal mio arrivo in città (16 febbraio 2019) si è ufficialmente concluso il mio incarico di direttore responsabile de La Provincia.” Diversamente dal trainer grigio rosso (che è un signore e che ringrazia squadra, tifosi e patron), il partente saluta solo i lettori.

Come è facile osservare, non appare (si ripete che anche in questa circostanza l'amore è eterno fin che dura) azzardato ritenere almeno un paio di impressioni. Che vanno dall'ipotesi che il rapporto era talmente usurato che la proprietà ha negato persino l'onore delle armi e che il diretto interessato abbia, a sua volta deciso, di parlare direttamente al popolo (“cari lettori”) come massimo sfregio.

Non c'è che dire, soprattutto, se si pensa ad una consuetudine durata quattro anni di entente cordiale a tutto tondo, ad una luna di miele all'infinito, in cui il partente è stato direttore appunto, ma anche consigliere del principe e qualcosa di più, suggeritore a tutto l'establishment dei “poteri” economici ed istituzionale, sodale di tutte le aspirazioni a mettersi in favore di luce.

Non che nei 75 anni di testimonianza della testata ciò sia stato una novità assoluta. Anche se questa propensione sarebbe emersa e consolidata a far tempo dalla (azzarderemo) parallela “seconda repubblica” del giornale della Libera. Incardinata nel cambio di passo del subentro, alla generazione dei capi della rifondazione post-bellica e post-farinacciana, di una nuova leva del tutto avulsa dal retroterra storico. Delle due ammiraglie: quella di piazza del Comune a presidio di una categoria di imprenditoria agricola di grande peso economico e sociale nella realtà territoriale e la cinghia di trasmissione (che fino a 40 anni fa era stata logisticamente a poche centinaia di metri) preposta all'informazione (che detta così appare riduttivo).

Ok, non abbiamo remore a definirci in materia un informato sui fatti (se non proprio, perché sarebbe troppo) l'adult in the room.

D'altro lato, non si fa per più di vent'anni il ragazzo di bottega di Emilio Zanoni (che da direttore del quotidiano Il Fronte Democratico aveva allevato i due giovani – Masone e Soldi – destinati nelle intenzioni originarie a militare nel fronte, appunto, repubblicano ma deragliati ad irrobustire “la ditta” subentrata appunto 75 anni fa all'incerto destino di un aggregato editoriale durato un ventennio) e se per il resto del tempo esistenziale si resta fortemente ancorati alla passione di sondare e di sapere, se non si ha qualcosa da dire almeno su alcuni particolari di questi tre quarti di secolo.

La scansione temporale dell'anniversario fornirà domani il materiale non solo per rivisitare le testimonianze editoriali, racchiuse nell'apprezzabile progetto della proprietà e del corpo redazionale, ma, come è facile rilevare nelle motivazioni dell'annuncio, per correlare il senso di questa lunga e corposa temperie alle sollecitudini che i profondi cambiamenti in corso. E non solo sul versante della transizione dall'analogico al digitale, che pure qualche problematica non solo tecnologica ed economica pone a chi vuole informare) impongono con durezza implacabile.

Siamo onorati di essere stati invitati (presumiamo per effetto della nostra appartenenza alla categoria) al meeting, cui parteciperemo con molto piacere e molto interesse. Per sentirci (anche se seduti nel parterre degli invitati) partecipi di un approfondimento che non è esagerato definire storico e di una riflessione attorno alle problematiche deontologiche, culturali e civili che comportano a chi (evidentemente con peso differenziato) è impegnato nell'informazione.

I nostri lettori possono giurare sul fatto che avremo qualche chiosa da fare attorno ai contributi dei discussant ed alla cornice in cui si svolgerà il meeting.

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