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Su "L’anno che verrà"

Riceviamo da Sandro Gaboardi e molto volentieri pubblichiamo

  29/11/2020

Di Redazione

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A dimostrazione dell'interesse suscitato dal alcuni contributi tematici, recentemente postati sulla nostra testata, sono pervenuti alcuni approfondimenti. Ben volentieri li pubblichiamo; nella piena disponibilità a favorire il dibattito.

Nell'occasione riportiamo il contributo di Alessandro Gaboardi; che, ricorrendo a qualche frammento memorialistico, allarga la visuale della mai coesiva questione lgbt ed annessa fobia.

Ci scrive Sandro, con cui condividiamo radici natie, circostanza emergente dal prosieguo della testimonianza, una premessa-inquadramento

Ciao Enrico, ho trovato un po' di tempo per scrivere. Ero partito bene ma poi mi sono perso, Avrei voluto fare presente che a volte le convinzioni religiose confliggono con le nostre leggi e i nostri usi e costumi. Quando questo accade dovrebbe essere l'ospite, se straniero, o il cittadino italiano con le sue convinzioni a trovare un metodo di convivenza. Abbiamo avuto un esempio recentemente con la modella iraniana che ha deciso di non sfilare più per l'alta modo comprendendo che questo la obbligava a tradire la sua tradizione. Oppure con il famoso direttore d'orchestra Israeliano che non accettava di dirigere l'orchestra il sabato. Nello stesso tempo i preti, di qualsiasi religione dovrebbero conoscere ed applicare i nostri principi laici…Prendila com'è cambiala o cestinala. Sandro

I PRETI SONO CITTADINI ITALIANI E DEBBONO RISPETTARE E DIFENDERE LA COSTITUZIONE: Art. 3 "Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". 

Il bell'articolo di Enrico Vidali, pubblicato sul giornale on line L'Eco del Popolo, che riprende le affermazioni del Parroco di Agnadello esternate dall'altare a commento dell'omelia, mi ha fatto ripensare alle vicende degli omosessuali e delle difficoltà che hanno dovuto incontrare e incontrano per poter esplicitare con naturalezza la loro affettività.

La prendo da lontano, ma non preoccupatevi, non voglio fare un excursus storico, non ne avrei le competenze. Il mio lontano è quando ero bimbo e vivevo a Pizzighettone, bel Paese sulle rive dell'Adda, con una ben conservata cinta muraria.

Viveva in quel Paese un omosessuale, non dichiarato, persona gentile che gestiva assieme alla sorella un negozio di passamaneria. Non era noto per rapporti con altre persone del Paese, anche se si vociferava che se la intendesse con un uomo sposato impiegato in un comune vicino e che si incontrassero di nascosto. Di fatto l'unico contatto cittadino “ufficiale” era con un omosessuale di Cremona soprannominato, oppure da se stesso nominato "Bella Rema". Questi arrivava in Paese faceva un paio di comparsate nelle vie centrali per creare un po' di scandalo, andava a trovare il suo amico e se ne ritornava nel Capoluogo.

In un'occasione, ma pare non fosse la prima, dei giovinastri, che solitamente facevano combriccola nello stesso bar frequentato di mio fratello Santino, attesero che il merciaio accompagnasse l'ospite alla stazione, aggredirono e malmenarono, in modo piuttosto violento i due malcapitati. Mio fratello era stato invitato a compiere la scorribanda, non c'era andato e aveva cercato di dissuaderli, ma i tizi erano parecchio brilli. Per tutta risposta gli affibbiarono l'appartenenza alla specie e cercarono di diffondere il sospetto che fosse amico dei “culi”. 

In Italia, ufficialmente l'omosessualità non è mai stata un reato, diversamente da altri paesi, specialmente quelli di cultura islamica, ma non solo, dove era sanzionata per legge. Ancora adesso in più di sessanta paesi del mondo è un reato e in sei di questi è addirittura prevista la pena di morte.

Di conseguenza il merciaio andò dai carabinieri a sporgere denuncia, diversamente dalla Bella Rema, più abituata a questo genere di “apprezzamenti” e smaliziata dal fatto che le denunce di solito non sortivano effetto.

Se ne parlò per molto tempo in Paese e anche in chiesa. Pare che il parroco di Pizzighettone avesse tuonato contro il regno di satana, ma quello di Gera (Parrocchia di S. Rocco) disse che era sbagliato maltrattare queste persone, che “sono malate e hanno bisogno della nostra comprensione”. Era l'anno 1951!

Magari sono le stesse parole che ha pronunciato il parroco di Agnadello, fra l'altro della stessa diocesi di Cremona. Diocesi che ha una propaggine nell'alto cremasco e nei paesi del bergamasco che confinano con Caravaggio.

Se ne parlò a lungo anche in casa nostra e mia zia Maria, la sorella di mia madre, riferì le parole di Don Giovanni ripetendo che queste persone dovevano essere aiutate a guarire, mentre zia Togna (Antonia) della parrocchia di Pizzighettone, sulla scia di quanto aveva sentito dal Monsignore (la chiesa di S. Bassiano ha questo privilegio) tuonava contro il povero cristo dicendo che era un depravato (almeno credo che questo voglia dire il suo spurcacioon). Mio padre tagliò corto e disse che queste persone sono fatte così, sono forse nate con questa inclinazione e bisogna lasciarle stare e non confonderle con quelle che si approfittano dei bambini. Da qui l'invito a mio fratello a “battezzare” i suoi amici e fargli capire che avevano sbagliato, che il tempo del fascio era passato e le squadracce che fanno violenze, in tanti contro pochi, sono vergognose.

Mio padre era stato pestato, assieme ad un amico, dai fascisti locali. Terminata la guerra l'amico passò in bicicletta davanti a casa nostra, mio padre ed io eravamo nel giardinetto vicino al cancello e disse “Gino (si chiamava Giacomo ma anche mia madre lo chiamava così) hanno preso quello la… (il capo fascista) vieni che gli restituiamo con gli interessi le botte che ci hanno dato. Ma mio padre rispose che non andava a picchiare uno che non si poteva difendere. Una frase che ha segnato il mio modo di essere per tutta la vita.

Riporto questo pezzo di storia infantile per far riflettere come il tempo spesso passa senza che riesca ad incidere effettivamente nei comportamenti individuali che ripetono meccanicamente i soliti cliché. Il parroco che ripete la stessa omelia da quarant'anni è convinto di fare il proprio dovere e di guidare verso il bene e il giusto il proprio gregge. Poco importa se oggi c'è un Papa che insegna ad ascoltare ad amare, sia i giusti che i peccatori. Non vi sono più reprobi ma fratelli da amare. Poco importa che nel frattempo l'Italia sia diventata una Repubblica e si sia data una Costituzione dove al primo comma dell'art. 3 recita: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Questo "tutti" è particolarmente impegnativo. Tutti, anche le donne, i bambini, i preti, le suore i disoccupati, i balzani (che poi chiamiamo matti), gli storpi i ciechi gli omosessuali le lesbiche e anche coloro che si ritengono “normali”.

Ma l'eguaglianza, e non può essere diverso, è “di fronte alla legge”. Ma l'eguaglianza nella società nella vita civile nella comunità è, purtroppo cosa diversa. Si applica spesso l'esclusione, attraverso il dileggio. Sono forme attuate ampiamente nella società che vengono ben rappresentate dall'osservazione dei gruppi giovanili che escludono altri ragazzi, malversano le persone anziane e o handicappate. Non sono i giovani che hanno inventato queste forme di violenza, le imparano, per simbiosi dal comportamento e dal linguaggio degli adulti. Non ci sono più le famose classi sociali ma ci sono forme castali nelle quali puoi entrare solo se ti adegui ai comportamenti del gruppo.

Fioriscono su queste basi quelle sette e quei gruppi religiosi che hanno maggiore attrattività perchè sono più direttivi e selettivi, votati alla supremazia. Forniscono sicurezza agli insicuri, un indirizzo a chi è confuso e conforto a chi si sente solo.

In tutto questo il messaggio che cerca di diffondere Bergoglio (non me ne voglia l'anticlericale Enrico Vidali) è l'unico vero messaggio politico che può far crescere una società migliore.

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