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Lettere dai lettori

  19/03/2023

Di Redazione

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Articolo 18…

Foto d’archivio L’EdP: Avanti! 20 maggio 1970, 1968 Sala Cittanova conferenza on. Brodolini, manifestazione sindacale 1969, on. Giacomo Brodolini
Foto d'archivio L'EdP: Avanti! 20 maggio 1970, 1968 Sala Cittanova conferenza on. Brodolini, manifestazione sindacale 1969, on. Giacomo Brodolini

…parliamone ….  superiamo questo tabù ideologico!

"Lo statuto dei lavoratori è legge" titolò a tutta pagina l'“Avanti!” del 22 maggio 1970 e affermò nell'occhiello: "Il provvedimento voluto dal compagno Giacomo Brodolini è stato definitivamente approvato dalla camera"

La legge 300, meglio nota come Statuto dei lavoratori, frutto del lavoro del ministro socialista Brodolini e del socialista Gino Giugni, é stata ed è una pietra miliare per l'affermazione dei diritti dei lavoratori.

Una legge, e bene ricordarlo, che non ricevette l'avallo dei comunisti: «Il Pci si è astenuto per sottolineare le serie lacune della legge e l'impegno a urgenti iniziative che rispecchino la realtà della fabbrica» scriveva L'Unità.

Dopo mezzo secolo l'argomento più divisivo della legge 300 è l'art. 18, quello che impone ai datori di lavoro di reintegrare il lavoratore in azienda in caso di licenziamento illegittimo.

Sia chiaro, l'art. 18 è stato senz'altro di notevole utilità e protezione per i lavoratori negli anni nei quali l'arbitrio dei datori del lavoro era spropositato ma siamo anche sinceri, è stato anche foriero di comportamenti scorretti, di tutele sindacali palesemente ingiuste e di buonismo della magistratura.

Sono passati 52 anni e il mondo del lavoro è notevolmente cambiato ed anche lo Statuto necessita di aggiornamenti; ci hanno provato prima la Fornero (licenziamenti per motivi economici) e poi Renzi con il Jobs act (risarcimenti definiti non sindacabili dalla magistratura e senza obbligo di reintegro) e di fatto tali interventi hanno limitato notevolmente la operatività dell'art. 18.

Ritengo che sia giunto il momento che noi socialisti si entri nella discussione su questo argomento soprattutto perché “padri storici” e perché porteremo pragmatismo, riformismo e attenzione sociale.

E tocca noi perché siamo più liberi, più aperti e più lontani dalle posizioni ideologiche.

Incautamente la segretaria del PD Elly Schlein, spalleggiata naturalmente da Landini, ha gridato a gran voce al congresso della CGIL che è giunta l'ora di superare il Jobs act e ripristinare l'art. 18 edizione 1970.

Elly Schlein ha mostrato il suo lato ideologico, non certo riformista e progressista e penso non abbia in specifico molta cognizione di causa, ha cercato un comodo applauso.

Non è con posizioni ideologiche e populistiche che si risolvono i problemi.

Come possiamo accettare che oggi sia possibile divorziare dal coniuge e per un datore di lavoro non sia possibile “divorziare” da un lavoratore?

Limitare le libertà non è mai l'ideale; con pragmatismo dobbiamo dire che come è costoso un divorzio fra coniugi così deve essere costoso un licenziamento illegittimo del lavoratore togliendo l'obbligo del rientro in azienda.

Rientro peraltro sempre difficile per il lavoratore che dovrebbe ogni giorno ritornare in un luogo dove palesemente non lo vogliono.

Il licenziamento illegittimo dovrà essere costoso al punto che un datore di lavoro dovrà seriamente pensarci prima di agire, costoso e tale da assicurare una cospicua copertura al lavoratore colpito.

Non pannicelli caldi ma pensiamo a vere protezioni ad esempio mettendo a carico del datore di lavoro come minimo due anni di stipendio, compresi tutte le mensilità e gratuità e soprattutto compresi i contributi sociali per non inficiare il percorso pensionistico.

Minimo che si incrementerà in base alla anzianità lavorativa e di età personale.

È solo un esempio per dimostrare che l'idea che ci deve guidare non è di imporre il rientro del lavoratore ma di proteggerlo economicamente e socialmente affinché abbia modo e tempo di trovare nuove strade.

Silvano Bonali, presidente Circolo Avanti, Soncino, 15 marzo 2023

S'avanza il replay del collateralismo massimalista

Siamo molto grati a Bonali (compagno ed amico, testimonianza storica del socialismo soncinese) di questo assist che ci induce, anzi ci obbliga, a saltare la fila della programmazione editoriale per affrontare, con precedenza assoluta, un tema endemico che il combinato di inconsapevolezze/neghittosità tiene in sospensione (non si sa se come minaccia o semplicemente per una sorta di studiata scansione). Che si affronta non già come appartenente alla scaletta delle priorità di testimonianza (soprattutto, se riferito alla pretesa di mission in esclusiva), ma che si agita all'occorrenza, quasi sempre per scandire passaggi di inappropriati collateralismi.

Il tema che analizza Bonali è, invece, tremendamente importante, permanente e qualificativo di un diritto/dovere di testimonianza universale, almeno dalle parti di chi si definisce sindacato dei lavoratori e partiti di sinistra.

Sul pezzo ci siamo stati, con costanza e con caparbietà e per un lungo periodo, solo noi.

Adesso, ci troviamo in (brutta) compagnia. E' il caso del XIX  Congresso Nazionale della CGIL XIX Congresso della CGIL “Il lavoro crea il futuro”, programmato in una temperie che, in tema di stereotipi, discontinua più di così non avrebbe potuto essere. Per la prima volta, infatti, nella storia della Repubblica è insediato un governo di destra (con cui, a meno che qualcuno pensi alla rivoluzione, bisogna parlare) e siamo in presenza di un manifesto default del ruolo di governance di quello che dovrebbe essere il campo politico di riferimento del Sindacato. Con il quale, soprattutto la CGIL, si è quasi sempre misurata in termini “dialettici”. La “cinghia di trasmissione” tra social comunisti e sindacato prevalente, che già fu tenue negli anni in cui avrebbe dovuto vigere (infatti, il Sindacato di sinistra fu sempre riottoso già dai tempi di Di Vittorio/Santi a rinunciare col suo Piano del Lavoro alle imposizioni massimalistiche), è stata praticamente protestata lungo tutto il ciclo dell'Ulivo e dei suoi governi. Per non dire, poi, del trattamento riservato dal postcofferatismo in poi a Renzi.

Ora noi non riteniamo che il Jobs act sia stato la panacea di tutte le irrisolutezze riformatrici in materia di modernizzazione ed efficientamento delle politiche del lavoro. Sappiamo, però, è stato l'unico tentativo (potabile) per far uscire dalle secche delle logiche della precarizzazione (praticate dai governi a trazione Ulivo) scandita dalla globalizzazione e per fornire una profondità strategica alla concertazione.

Poi, il quadro generale cambiò e continua a cambiare. Ed altrettanto dovrà cambiare lo sfondo per le politiche del lavoro, dell'occupazione, di un rapporto più equilibrato nella distribuzione delle ricchezze prodotte, di un ruolo di coinvolgimento e di controllo dei lavoratori. Un tempo (col vituperio da parte del sindacato massimalista) si sarebbe detto di politica dei redditi e di programmazione economica.

Ma evidentemente tali perni di moderna cultura sociale e politica, come furono per oltre mezzo secolo (do you remember scala mobile 1984?)  fumo negli occhi per il coté del sindacalismo e della politica massimalista, non rientrano nelle corde di tutto l'attuale aggregato che rappresenta la sinistra riformista. Non a caso la seconda ondata di ricomposizione delle fila massimaliste (dopo l'impeachment antirenziano) è in corso di sviluppo. Con l'evidente “marciare uniti per colpire uniti” tra un PD destinato a tornare, con l'impronta della nuova leadership,  alle posture del Brega (io non so comunista così…io so comunista così) e un Sindacato che riattiverà il reciproco collateralismo. Il Sindacato, per intendersi, maggiore (perché le centrali di cultura riformista…non pervenute).

Sarebbe stato strano se il nuovo corso (al di là della scontatissima perorazione di trattamenti economici meno punitivi e più congrui) non fosse stato griffato dall'istanza di revoca di tutto lo spettro del Jobs act e dell'articolo 18  in particolare.

Ha perfettamente ragione Bonali quando afferma “Non è con posizioni ideologiche e populistiche che si risolvono i problemi…ma operare con pragmatismo”.

E, dato che ci siamo e l'attinenza tematica quasi ce lo impone, ci interesse sapere il pensiero (se possibile, “strutturato”) del sindacato territoriale in materia di ecatombe dei posti di lavoro, che da fine 2022 si sta allargando a macchia d'olio.

Un fenomeno che, al di là di alcuni casi di ristrutturazione aziendale per alcuni versi fisiologici, assume il profilo di una vasto fenomeno di deindustrializzazione del territorio.

Di fronte al quale la risposta sindacale è apparsa inadeguata e rinserrata nel fortino difensivo della leva dell'ammortizzatore sociale. Che pone a carico della previdenza, pagata dai lavoratori, e del fisco la strategia di deindustrializzazione manifatturiera.

Prima Bertarini, poi Pharmatek, i market Coop di Casalmaggiore, Pizzighettone, Soresina, Soncino e, da ultimo, IML.

Ok ci saranno un po' di prepensionamenti, di liste di mobilità, di cassa integrazione straordinaria (in bilico), di ricollocati (destinati al pendolarismo). Ma siamo pur sempre su un terreno di tutele minimalistiche e, soprattutto, di una strategia di difesa del lavoro. Molto minimalistica, verrebbe voglia di osservare, se rapportata ad una filiera di collateralismo (CGIL di Landini e PD di Schlein) che fa la faccia (politica) feroce. Evidentemente non agli imprenditori.

Saremmo omissivi se non facessimo un cenno dedicato, in particolare, alle strategie di delocalizzazione, meglio di centralizzazione della rete di vendita della Coop Lombardia. Che hanno come traguardo la chiusura dei punti di vendita ramificati (anche grazie alla “comprensione” delle amministrazioni comunali) nel territorio; all'insegna delle logiche di ottimizzazione e di profitto. Perni, si diceva un tempo, dell'economia capitalista. Se è consentita una chiosa finale, non appare edificante per questo 2023 in cui ricorre il 130° della fondazione della Camera del Lavoro.

Pietre d'inciampo

Gentile direttore, l'amore per Cremona è vivo nel cuore dei suoi cittadini. Come rilevato più volte, la desolazione in cui versano le vie del centro per i negozi chiusi ed edifici vuoti è oggetto di malinconici discorsi su come …era una volta. Una volta vi era personale comunale addetto ad una attenta cura di strada per strada, dalle serre comunali piante e fiori per aiuole e viali, unitamente ad una buona “veste “ del cimitero …ma il tempo passa e sorgono nuove esigenze (il necessario risparmio?) 

Ultimamente si è sposato con il cuore l'ottima proposta di posare anche nella nostra città LE PIETRE D'INCIAMPO, per ricordare tutti i 38 concittadini vittime delle persecuzioni tedesche. Diverse Associazioni e vari importanti Personaggi hanno abbracciato l'idea dell'artista tedesco Gunter Demnig: posare un piccolo blocco in pietra ricoperto in ottone con inciso il nome del deportato. Per non dimenticare. La stessa posa è stata eseguita, con la collaborazione del servizio viabilità del Comune e dell'AEM, dallo stesso artista ispiratore Gunter Denmig. 

Ora succede che camminando per alcune vie, l'occhio cada su una di queste pietre. Una mia cara amica mi ha confidato che ne ha notata a malapena una. Solo un poco di giallo.  Se poi il marciapiede e' sconnesso può anche essere che nell'auspicabile rifacimento venga dimenticata. Sarebbe un grave torto a chi ha già subito tanto, troppo. Mi chiede come poter interessare lo stesso artista, l'ANPI, l'assessore alla cultura dott Burgazzi, il Presidente dott Carletti, il sindaco dottor Galimberti, collaboratori illustri come il dott Azzoni   per ovviare a questo problema che penalizza il grande impegno precedente. Mi affido a Lei caro direttore, ringraziando anche a nome della cara sensibile signora. Un'ultima nota: valutando che i condannati ebrei fossero fieri del loro sentire, vedrebbe bene cingere il contorno della pietra con la stella di David azzurra e avente le 5 punte sporgenti in contrasto con il giallo dell'ottone.

Emilia Cantù, Cremona, 12 marzo 2023

Un grazie di cuore alla nostra lettrice per l'apprezzata segnalazione e una riflessione non scontata in partenza sull'esito dell'operazione “pietre”. Che, a parere di chi scrive, ha bucato l'audience. Ottenendo il risultato che gli organizzatori si prefiggevano: farci inciampare (nella memoria) i cittadini.

Del che ringraziamo ANPI, Comune e per esso l'assessore Burgazzi e i tre ricercatori Azzoni – Mascarini – Carotti.

Un appello ai cittadini (giovani in particolare): continuate ad inciamparci in quelle pietre. Il ragionamento della lettrice sull'agibilità ed il decoro degli spazi cittadini, per quanto correlato al rispetto nei confronti degli users, è più ampia cosa. Nei prossimi giorni dedicheremo un focus tematico

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