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La sinistra e la questione socialista - 56 bis Edizione oltre

  11/11/2025

Di Redazione

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Premessa: non è che le precedenti 55 uscite editoriali tematiche siano sempre state ispirate da visioni cortilizie. Anzi, grazie agli innesti di importanti copy-paste (debitamente autorizzati), tra cui l'editorialista Domenico Cacopardo e il direttore della consorella La Giustizia, Mauro Del Bue, ed all'abituale contributo “indigeno” della Comunità Socialista Territoriale (in primis Virginio Venturelli e Sandro Gaboardi) in questi due anni non ce la siamo “sfangata” poi male.

E' mancato ignominiosamente il contributo “esterno” di voci in teoria non assimilabili in termini di militanza, ma in qualche modo contigue al range della nostra analisi e al nostro sforzo mirato alla armonizzazione dell'analisi teorica e alla convergenza di un'eventuale comune testimonianza.

Forse non meriteremo una siffatta attenzione e predisposizione sinergica. O forse lo sprofondo della politica è giunto al punto che si rifiuta in automatico qualsiasi chance, se non di dialogo, di confronto.

Ma a noi, detto con una venatura di rammarico ma anche di sincerità, va bene quel che passa il convento. Con questo editing, cogliendo l'assist lanciato dall'enfasi con cui è stato presentato l'esito delle elezioni del Primo Cittadino della Grande Mela (un'entità metropolitana che avrà pure una popolazione di quasi 9 milioni di cittadini e un budget, ma che resta pur sempre un'entità comunale), guardiamo, come suggerisce il bimbo effigiato a fianco del titolo, oltre il solito ombelico.

Se non altro, perché ce lo imporrebbe il bulimico richiamo nella produzione giornalistica, in cui l'aggettivazione “socialista” (normalmente trascurata e o addirittura vilipesa) va come il pane.

Nel maggior numero dei casi come dovuto pedaggio alla prorompente evidenza di un uso monocorde, quasi pervasivo di aggettivo-vocabolo identitario (in termini di agganci teorici e, tenetevi forte, soprattutto i deboli di cuore!, “dottrinari”), rispetto a cui non pochi analisti/opinionisti rivelano scarsa dimestichezza o, in alternativa, una sinecura.

Pur nella consapevolezza di ciò, abbiamo preferito impostare un editing che non tenesse conto di questo “ecche non ce lo sapevamo” e che, anzi cogliesse le opportunità di truckldown correlate ad un inaspettato “ferragosto” di attenzionamento mediatico. Il numero della rubrica ha come innesco il contributo da New York dell'insigne fotografo, scrittore e regista (con mai ripudiate radici nel Borgo di Soncino) e come sviluppo l'editoriale di Domenico Cacopardo e la chiosa della direzione della testata.

un nuovo “inquilino” alla City Hall della

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il report-riflessione di Luigi Cazzaniga (in diretta da NYC ) con l'assistenza di Roberta Tosetti

Zohram Mamdami è il nuovo sindaco di New York. Filo diretto con la “grande mela”, il territorio cremonese l'ha intessuto grazie a Luigi Cazzaniga. Fotoreporter e artista di fama internazionale vive proprio nel cuore di Manatthan, oramai da quarant'anni. Cazzaniga ha votato. E se ha votato, si è "sturato il naso". Lo ha fatto senza parteggiare per uno o l'altro candidato.

Incalzato sul voto, racconta: " Ha vinto il democratico grazie al voto di giovani. È piaciuto a loro, poco al milione e più di Ebrei newyorkese. Questi lo vivono come una minaccia. E ora cosa farà per New York visto che molti fondi arrivano dal governo centrale?"

Poi commenta anche il candidato democratico:"Cuomo era troppo compresso dopo il COVID. La città è stata lasciata in balia di se stessa. E poi, diciamolo tra noi..non era un poco impresentabile?" Conclude dicendo: "Viva la democrazia, ma questa scelta di New York lascia tutti quanti un po' perplessi."

Il tempo probabilmente farà capire ciò che Cazzaniga intende.

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RASSEGNA DELLA STAMPA CORRELATA

UN SOCIALISTA A NEW YORK …È L'INIZIO DI UNA NUOVA STAGIONE?

EDITORIALE di  Domenico Cacopardo (tratto, su autorizzazione dell'autore, da La Gazzetta di Parma)

Le elezioni per il sindaco di New York City hanno certificato che solo il 9,10% degli elettori della grande conurbazione è trumpiano, cioè Maga. Il 51,2% ha votato Zohran Mamdani (34 anni, ugando-indiano coniugato con Rama Duwaji, texana di origini siriane, artista, ceramista) e il 39,7% Andrew Cuomo, indipendente con una storia politico-amministrativa non lineare proprio a New York. Rama Duwaji è la prima esponente della generazione Zeta (composta da gente nata tra la metà degli anni '90 e il 2010) a salire alla ribalta in Usa.

Da notare che a New York hanno votato 2 milioni di persone, una presenza elettorale mai registrata dagli anni Settanta.

Mamdani si è presentato con una proposta molto sociale fondata sull'accessibilità economica, con promesse di congelamento degli affitti, trasporti pubblici gratuiti e asili nido universali, finanziati da tasse sui ricchi, scuole gratuite e costruzione di case popolari.

La sessione elettorale è stata completata dall'elezione dei governatori del New Jersey (Mikie Sherrill, 53 anni, già pilota di elicotteri nella Marina) e della Virginia (Abigail Spanberger, 49 anni, ex agente della Cia), due esponenti del Partito democratico già elette al Congresso con una valanga di voti anti-Trump. Due rassicuranti moderate che per prime hanno sfondato il tetto di cristallo e che promettono un mandato di consolidamento e miglioramento sociale.

Del resto, il malessere diffuso nella società americana è strettamente connesso alla perdita di chances e di prospettive, all'interno di una crisi le cui risposte sono a ragione considerabili insufficienti. Ultima ciliegina la modifica della legge elettorale in California: già i repubblicani s'erano giovati della possibilità legale di modificare i collegi elettorali in modo a loro conveniente, tale da disporre gli avversari in modo che fossero in permanente minoranza utilizzando il fattore etnico, il primo strumento di discriminazione e di neutralizzazione.

Anche la democratica California ha rivisto i collegi in modo da assicurarsi per quanto possibile una permanente maggioranza democratica.

È l'inizio di una nuova stagione politica americana? Presto per dirlo, benché Trump stia perdendo credito e credibilità con il turbinio di proposte cui attribuisce mirabolanti successi ai quali, nella realtà, non corrisponde alcun avanzamento delle posizioni americane. La politica della forza e delle minacce, la lampante contraddizione di ciò che fa e dice Trump con le sue teorie sostanzialmente isolazioniste, è stata ampiamente colta dal suo elettorato, punito peraltro sul piano economico dalle dissennate iniziative dell'erratico tycoon dell'edilizia. Le speranze suscitate da Trump, tuttavia, non si sono ancora dissolte. Anche se ridimensionate, non hanno ancora spostato in modo evidente e significativo il consenso conquistato a novembre scorso.

Democrazia socialista contro Maga trumpiana? Credo che l'antinomia sia posta male. Il socialismo democratico dei grandi sindaci europei che impose la buona pratica e amministrazione in tante città, premessa su cui venne costruita la rete socialdemocratica, non ha mai avuto buona stampa negli Usa. Oggi tante cose sono cambiate e, per esempio, il pervicace rifiuto della maggioranza di aderire  a un sistema sanitario pubblico all'europea potrebbe avere perso il senso di difesa della libera scelta di sanitari e strutture per assumere il significato di un servizio alla pari con i tempi che il mondo vive. Tuttavia, va ricordato ciò che scrisse un commentatore a proposito di Bernie Sanders, l'antesignano del socialismo moderno all'americana: «Spenderebbe tutti i soldi dei contribuenti per realizzare una minima parte dei suoi propositi».

Intendo quindi riportare l'attenzio - ne sulla difficile pratica della moderazione politica e del lavoro propositivo delle idee. Zittiti i  socialisti riformisti, isolati nel 1921 dai massimalisti di Serrati e dai comunisti guidati da Bordiga e Gramsci, l'Italia aprì le porte alla dittatura e al fascismo.

Per questo non è assolutamente detto che il boyscout musulmano e progressista Mamdani vincerà la sua battaglia. Dipenderà dal suo senso della misura e dal suo stesso linguaggio, che non ha nulla dell'invettiva volgare, insultante e minacciosa di Donald Trump e molto del raziocinio per il quale i grandi del passato si imposero all'attenzione degli americani e del mondo.

È vero che le speranze costano poco e non sono altro che parole: ma se le speranze incontrano il sentimento popolare possono  trasformarsi in efficaci interventi sullo status quo.

Possiamo serenamente credere che Mamdani riuscirà nei suoi propositi nella megalopoli sull'Hudson mentre continueremo a seguire l'evolver - si della politica americana e delle guerre annunciate dal suo insicuro presidente: dopo il Venezuela, la Nigeria e il Messico, mentre rimane sullo sfondo ma non tanto il nemico canadese.

Comunque, mi è oscuro il perché The Donald preferisca minacciare il mondo piuttosto che pretendere il rispetto che una corona di Paesi amici potrebbe assicurargli. La psichiatria potrebbe darmi e darci una risposta convincente.

DOMENICO CACOPARDO       This is Europa's moment Stronger togheter Domenico Cacopardo (Kakoπ?ρδ?σ) www.cacopardo.it  Presidente di s. del Consiglio di Stato r.strada N. Bixio 41  43125 Parma. All'editorialista dobbiamo anche l'invio del testo del  discorso di Mamdani, sindaco di New York dopo l'elezione.

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 L'INTERVENTO-SALUTO DEL NEO-ELETTO

“Grazie, amici miei. Il sole sarà anche tramontato sulla nostra città questa sera, ma come disse una volta Eugene Debs: «Vedo l'alba di un giorno migliore per l'umanità».

Da sempre, i lavoratori di New York si sono sentiti dire dai ricchi e dai potenti che il potere non appartiene loro. Dita contuse dal sollevare scatole in magazzino, palmi resi callosi dal manubrio della bicicletta delle consegne, nocche sfregiate dalle ustioni in cucina: queste non sono mani a cui è stato permesso di detenere il potere. Eppure, negli ultimi 12 mesi, avete osato raggiungere qualcosa di più grande.

Stasera, contro ogni previsione, l'abbiamo afferrato. Il futuro è nelle nostre mani. Amici miei, abbiamo rovesciato una dinastia politica. Auguro ad Andrew Cuomo solo il meglio nella sua vita privata. Ma che questa sia l'ultima volta che pronuncio il suo nome, mentre voltiamo pagina su una politica che abbandona i molti e risponde solo ai pochi. New York, stasera hai mantenuto la promessa. Un mandato per il cambiamento.?? Un mandato per un nuovo tipo di politica. Un mandato per una città che possiamo permetterci. E un mandato per un governo che realizzi esattamente questo.

Il 1° gennaio presterò giuramento come sindaco di New York City. E questo grazie a voi. Quindi, prima di dire qualsiasi altra cosa, devo dire questo: grazie. Grazie alla prossima generazione di newyorkesi che rifiuta di accettare che la promessa di un futuro migliore sia un relitto del passato. Avete dimostrato che quando la politica vi parla senza condiscendenza, possiamo inaugurare una nuova era di leadership. Lotteremo per voi, perché noi siamo voi.
O, come diciamo a Steinway, ana minkum wa alaikum (espressione araba che significa “sono vostro e per voi”, ndr).

Grazie a coloro che sono così spesso dimenticati dalla politica della nostra città, che hanno fatto proprio questo movimento. Parlo dei proprietari di bodega yemeniti e delle abuelas messicane. Dei tassisti senegalesi e delle infermiere uzbeke. Dei cuochi di Trinidad e delle zie etiopi. Sì, delle zie. A tutti i newyorkesi di Kensington, Midwood e Hunts Point, sappiate questo: questa città è la vostra città, e anche questa democrazia è vostra. Questa campagna riguarda persone come Wesley, un organizzatore del 1199 che ho incontrato fuori dall'Elmhurst Hospital giovedì sera. Un newyorkese che vive altrove, che fa due ore di pendolarismo dalla Pennsylvania perché l'affitto è troppo caro in questa città.

Riguarda persone come la donna che ho incontrato anni fa sul Bx33 e che mi ha detto: “Un tempo amavo New York, ma ora è solo il posto dove vivo”. E riguarda persone come Richard, il tassista con cui ho fatto uno sciopero della fame di 15 giorni fuori dal municipio, che deve ancora guidare il suo taxi sette giorni su sette. Fratello mio, ora siamo alla City Hall.

Questa vittoria è per tutti loro. Ed è per tutti voi, gli oltre 100mila volontari che hanno reso questa campagna una forza inarrestabile. Grazie a voi, renderemo questa città un luogo che i lavoratori potranno amare e in cui potranno tornare a vivere. Con ogni porta bussata, ogni firma raccolta e ogni conversazione conquistata con fatica, avete eroso il cinismo che ha finito per caratterizzare la nostra politica.

So di avervi chiesto molto in questo ultimo anno. Più e più volte avete risposto alle mie richieste, ma ho un'ultima richiesta da farvi. New York City, respirate a fondo questo momento. Abbiamo trattenuto il respiro più a lungo di quanto pensiamo. L'abbiamo trattenuto in attesa della sconfitta, l'abbiamo trattenuto perché l'aria ci è stata tolta dai polmoni troppe volte per poterle contare, l'abbiamo trattenuto perché noi non possiamo permetterci di espirare. Grazie a tutti coloro che hanno sacrificato così tanto. Stiamo respirando l'aria di una città che è rinata.

Al mio team elettorale, che ha creduto in me quando nessun altro lo faceva e che ha trasformato un progetto elettorale in qualcosa di molto più grande: non potrò mai esprimere la profondità della mia gratitudine. Ora potete dormire tranquilli.

Ai miei genitori, mamma e papà: mi avete reso l'uomo che sono oggi. Sono così orgoglioso di essere vostro figlio. E alla mia incredibile moglie, Rama, hayati: non c'è nessuno che vorrei avere al mio fianco in questo momento, e in ogni momento.

A tutti i newyorkesi, che abbiate votato per me, per uno dei miei avversari o che vi siate sentiti troppo delusi dalla politica per votare, grazie per avermi dato l'opportunità di dimostrarmi degno della vostra fiducia. Mi sveglierò ogni mattina con un unico obiettivo: rendere questa città migliore per voi rispetto al giorno prima.

Molti pensavano che questo giorno non sarebbe mai arrivato, temevano che fossimo condannati a un futuro di declino, con ogni elezione che ci relegava semplicemente a una maggior dose della stessa solfa.

E ci sono altri che vedono la politica odierna come troppo crudele perché la fiamma della speranza possa ancora ardere. New York, abbiamo risposto a queste paure.

Stasera abbiamo parlato con voce chiara. La speranza è viva. La speranza è una decisione che decine di migliaia di newyorkesi hanno preso giorno dopo giorno, turno dopo turno di volontariato, nonostante gli attacchi pubblicitari. Più di un milione di noi si è recato nelle nostre chiese, nelle palestre, nei centri comunitari, per compilare il registro della democrazia.

E sebbene siamo andati al voto come individui, abbiamo scelto insieme la speranza. La speranza contro la tirannia. La speranza contro il denaro e le idee meschine. La speranza contro la disperazione. Abbiamo vinto perché i newyorkesi hanno permesso a sé stessi di sperare che l'impossibile potesse diventare possibile. E abbiamo vinto perché abbiamo insistito che la politica non fosse più qualcosa che ci viene imposto. Ora è qualcosa che facciamo noi.

In piedi davanti a voi, penso alle parole di Jawaharlal Nehru (primo ministro indiano dal 1947 al 1964, ndr): “Arriva un momento, ma raramente nella storia, in cui usciamo dal vecchio per entrare nel nuovo, in cui un'epoca finisce e l'anima di una nazione, a lungo repressa, trova voce”.

Stasera siamo passati dal vecchio al nuovo. Quindi parliamo ora, con chiarezza e una convinzione che non può essere fraintesa, di ciò che questa nuova era porterà e per chi.

Questa sarà un'epoca in cui i newyorkesi si aspettano dai loro leader una visione audace di ciò che realizzeremo, piuttosto che un elenco di scuse per ciò che siamo troppo timidi per tentare. Al centro di questa visione ci sarà il programma più ambizioso per affrontare la crisi del costo della vita che questa città ha vissuto dai tempi di Fiorello La Guardia (sindaco italo-americano di New York dal 1934 al 1945, ndr): un programma che congelerà gli affitti per oltre due milioni di inquilini con affitto stabilizzato, renderà gli autobus veloci e gratuiti e garantirà l'assistenza universale all'infanzia in tutta la nostra città.

Tra qualche anno, il nostro unico rimpianto sarà che questo giorno abbia tardato così tanto ad arrivare. Questa nuova era sarà caratterizzata da un miglioramento incessante. Assumeremo migliaia di insegnanti in più. Ridurremo gli sprechi di una burocrazia gonfiata. Lavoreremo instancabilmente per far risplendere di nuovo le luci nei corridoi dei complessi residenziali della NYCHA (la New York City Housing Authority, l'azienda responsabile della gestione del patrimonio immobiliare pubblico di New York, ndr), dove da tempo tremolano.

Sicurezza e giustizia andranno di pari passo, mentre lavoreremo con le forze dell'ordine per ridurre la criminalità e creare un Dipartimento per la Sicurezza della Comunità che affronti direttamente la crisi della salute mentale e quella dei senzatetto. L'eccellenza diventerà la norma in tutto il governo, non l'eccezione. In questa nuova era che stiamo creando per noi stessi, ci rifiuteremo di permettere a coloro che trafficano nella divisione e nell'odio di metterci gli uni contro gli altri.

In questo momento di oscurità politica, New York sarà la luce. Qui crediamo nel difendere coloro che amiamo, che si tratti di immigrati, membri della comunità trans, una delle tante donne di colore che Donald Trump ha licenziato da un lavoro federale, una madre single che aspetta ancora che il costo della spesa scenda, o chiunque altro si trovi con le spalle al muro. La vostra lotta è anche la nostra.

E costruiremo una City Hall che stia al fianco dei newyorkesi ebrei e non vacilli nella lotta contro il flagello dell'antisemitismo. Dove gli oltre un milione di musulmani sappiano di appartenere non solo ai cinque distretti di questa città, ma anche alle stanze del potere.

New York non sarà più una città dove si può fare leva sull'islamofobia per vincere le elezioni. Questa nuova era sarà caratterizzata da una competenza e una compassione che per troppo tempo sono state messe in contrapposizione. Dimostreremo che non esiste un problema troppo grande che il governo non possa risolvere, né una questione troppo piccola di cui non possa occuparsi.

Per anni, chi lavorava alla City Hall ha aiutato solo chi poteva aiutarlo. Ma il 1° gennaio daremo il via a un governo cittadino che aiuta tutti.

So che molti hanno ascoltato il nostro messaggio solo attraverso il prisma della disinformazione. Sono stati spesi decine di milioni di dollari per ridefinire la realtà e convincere i nostri vicini che questa nuova era è qualcosa che dovrebbe spaventarli. Come è successo spesso, la classe dei miliardari ha cercato di convincere chi guadagna 30 dollari l'ora che i loro nemici sono quelli che guadagnano 20 dollari l'ora. Vogliono che le persone litighino tra loro in modo da distrarci dal lavoro di ricostruzione di un sistema ormai da tempo fallimentare. Ci rifiutiamo di lasciare che siano loro a dettare le regole del gioco. Possono giocare con le stesse regole di tutti noi.

Insieme, daremo il via a una generazione di cambiamento. E se accogliamo con favore questo nuovo corso coraggioso, invece di fuggirlo, potremo rispondere all'oligarchia e all'autoritarismo con la forza che temono, non con l'appeasement che bramano.

Dopo tutto, se c'è qualcuno che può mostrare a una nazione tradita da Donald Trump come sconfiggerlo, è proprio la città che lo ha visto nascere. E se c'è un modo per terrorizzare un despota, è quello di smantellare le condizioni che gli hanno permesso di accumulare potere.

Questo non è solo il modo in cui fermiamo Trump, è il modo in cui fermiamo il suo successore. Quindi, Donald Trump, dato che so che stai guardando, ho quattro parole per te: alza il volume.

Chiederemo conto ai proprietari immobiliari senza scrupoli perché i Donald Trump della nostra città si sono abituati fin troppo a sfruttare i loro inquilini. Metteremo fine alla cultura della corruzione che ha permesso a miliardari come Trump di evadere le tasse e sfruttare agevolazioni fiscali. Staremo al fianco dei sindacati e amplieremo le tutele dei lavoratori perché sappiamo, proprio come Donald Trump, che quando i lavoratori hanno diritti ferrei, i padroni che cercano di estorcerli diventano davvero molto piccoli.

New York rimarrà una città di immigrati: una città costruita dagli immigrati, alimentata dagli immigrati e, a partire da stasera, guidata da un immigrato.

Quindi mi ascolti, presidente Trump, quando dico questo: per arrivare a uno di noi, dovrà passare attraverso tutti noi. Quando entreremo in municipio tra 58 giorni, le aspettative saranno alte. Le soddisferemo. Un grande newyorkese una volta disse che mentre si fa campagna elettorale in poesia, si governa in prosa.

Se questo deve essere vero, facciamo in modo che la prosa che scriviamo continui a rimare e costruiamo una città splendente per tutti. E dobbiamo tracciare un nuovo percorso, audace come quello che abbiamo già percorso. Dopo tutto, il senso comune le direbbe che sono ben lontano dall'essere il candidato perfetto.

Sono giovane, nonostante i miei sforzi per invecchiare. Sono musulmano. Sono un socialista democratico. E, cosa più grave di tutte, mi rifiuto di scusarmi per tutto questo.

Eppure, se questa serata ci insegna qualcosa, è che le convenzioni ci hanno frenato. Ci siamo inchinati all'altare della cautela e abbiamo pagato un prezzo altissimo. Troppi lavoratori non riescono a riconoscersi nel nostro partito e troppi tra noi si sono rivolti alla destra per trovare una risposta al perché sono stati lasciati indietro.

Lasceremo la mediocrità nel nostro passato. Non dovremo più aprire un libro di storia per trovare la prova che i democratici possono osare di essere grandi.

La nostra grandezza sarà tutt'altro che astratta. Sarà percepita da ogni inquilino con affitto stabilizzato che si sveglia il primo giorno di ogni mese sapendo che l'importo che dovrà pagare non è aumentato rispetto al mese precedente. Sarà percepita da ogni nonno che può permettersi di rimanere nella casa per cui ha lavorato e i cui nipoti vivono nelle vicinanze perché il costo dell'assistenza all'infanzia non li ha costretti a trasferirsi a Long Island.

Sarà percepita dalla madre single che si sente al sicuro durante il tragitto casa-lavoro e il cui autobus è abbastanza veloce da non costringerla ad affrettarsi per accompagnare i figli a scuola e arrivare in tempo al lavoro. E sarà percepita quando i newyorkesi apriranno i giornali al mattino e leggeranno titoli di successo, non di scandali.

Ma soprattutto, sarà percepito da ogni newyorkese quando la città che amano finalmente ricambierà il loro amore.

Insieme, New York, congeleremo l'affitto! Insieme, New York, renderemo gli autobus veloci e gratuiti! Insieme, New York, garantiremo l'assistenza all'infanzia universale!

Lasciamo che le parole che abbiamo pronunciato insieme, i sogni che abbiamo sognato insieme, diventino il programma che realizzeremo insieme. New York, questo potere è tuo. Questa città appartiene a te. Grazie.”

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chiosa editoriale: Questo numero…oltre l'ombelico

Risalendo per li rami di questo corposo editing risulterà fin dal titolo del focus che il brand della nostra riflessione come analisi della scaturigine e delle conseguenze di un accadimento, per la gran parte “scalato” dal suo proprio rating (tutto sommato si tratta pur sempre dell'elezione del Sindaco Mayor di una rilevante entità municipale/metropolitana) in vista di un probabile imbocco valutativo incomparabilmente enfatizzato. Rispetto a quella che avrebbe potuto essere la presa in carico, da parte dei media internazionali e degli analisti politici, che, invece, ha, come si avrà modo di osservare, “splafonato” in  una visuale largamente più ampia, si diceva, a quella che agli inizi doveva essere una “staffetta” nel vertice comunale.

Se è vero che l'esposizione mediatica degli inquilini della City Hall, senza essere sminuita, si è giovata nel tempo della ricaduta di qualche “bagliore” legato al tratto degli investiti di mandato (ad usum mediatico e come prefigurazione di eventuali successivi step di carriera politica), non è difficile, in ogni caso, cogliere il fatto che, nel contesto dato, le testimonianze dialettiche appaiono piùcheproporzionalmente superiori all'entità dell'accadimento in sé. Tra qualche ora “il nuovo inquilino”, anche se difficilmente ritrarrà la mano manifestamente proiettata sia ad una più vasta “giurisdizione” (azzarderemmo un “allargamento” politico de facto  del ranking delle funzioni dell'entità metropoliticana) sia a creare le premesse per futuri “avanzamenti” di carriera politica (e forse era ed è sempre stato questa la motivazione della scesa in campo), si troverà, come tutti i Lord Mayor, i Bürgmaeister, i Maires, gli Alcades di tutto il mondo civile, alle prese col fare. Discendente, tra l'altro, dalla complessità di far fronte nel concreto sia alle promesse un po' “allargate” (come abbiamo osservato) fatte in campagna elettorale sia “alle spalle” di un'istituzione amministrativa, cui fanno capo 9 milioni di cittadini ed un bilancio di 111 mld di dollari. Per di più in costanza delle pendenti ritorsioni di The Donald di far vedere sorci verdi in materia di destinazione dei fondi federali.

Sull'elezione del Borgomastro della Mela sono tra il piacevolmente sorpreso e l'indotto a riflettere. Premesso che, nonostante l'inquietante ciclo del Tycoon e i fatti di Capitol Hill, considero il NordAmerica (Canada compreso) la permanente nuova frontiera della liberaldemocrazia, mi inquietano due circostanze. La mutevolezza umorale degli elettori e l'impronta troppo soft del campo democrat nel darsi una strategia di progetto di società e di interpretazione del sentiment-concept della propria costituency. Ma, come dimostra la tendenza dell'ultima tornata, questa contraddizione può essere un brand di vitalità. Sul profilo del primo cittadino eletto, mi riservo di monitorare la traduzione in atti concreti dell'esibito segmento appeal pro-pal (nel caso pretendesse di tradursi in campagna antiebraica).

Partendo da questo innesco di un ineccepibile approfondimento dei fatti e dei pronunciamenti, non si può certo rifuggire dalla percezione, a fatto ancora caldo, di un incerto, precario e non ben argomentato positioning, attorno alle reali volontà dell'immediato ed alla contestualizzazione futura di propositi, allo stato solo enucleati probabilmente in funzione strumentale.

Sull'uso compulsivo dell'aggettivo qualificativo “socialista” (negli USA, poco meno di un'ingiuria a scopo delegittimante e, in Europa, desueta e quasi dismessa reminiscenza di un'identità malinconicamente obsoleta), saremo nel prosieguo più ampi e diretti.

Sulla ricaduta dell'esito dell'election day comunale della Capitale finanziaria e morale degli USA, ci pare di dover far qualche triangolazione tra le prime percezioni avvertite qui in Italia e nel Vecchio Continente e le valutazioni registrate a caldo in house. Nancy Pelosi, primo speaker rosa  della Camera e deputata democrat per 39 anni  in procinto di lasciare (a 85 anni) la scena istituzione ( ma non come auspichiamo, il parterre politico) è sempre stata definita "socialista". Un aggettivo identificativo non esattamente sovrapponibile al nostro “metro” (come, peraltro, il profilo Democrat, che ha incroci molto vaghi con i nostri casalinghi). La stessa qualificazione, nel passato e nel presente, fu (e non senza ragione) attribuita o auto attribuita a Bernie Sanders, o appioppata (con intenti spregiativi e delegittimanti) ai molti candidati che conveniva azzoppare in vista di primarie interne od esterne e o di procedure legislative e o governative di particolare valenza sociale e civile. Nel caso di Nancy con qualche fondamento di merito; se si considerano almeno due importanti capisaldi della sua testimonianza: l'assistenza sanitaria pubblica (in particolare, per gli affetti AIDS) e la legalizzazione dei matrimoni gay. Poi, Nancy Pelosi potrà essere, per tratto ed estrazione, considerata una socialista au caviar; ma sicuramente è stata ed è una figura "progressista" del composito universo ideale dei Democrats a stelle e strisce. È nell'interesse del loro consolidamento come espressione testimonianza di una forte costituency democratica e riformista, sul lato socioeconomico e delle prerogative liberaldemocratiche e, se consentito dire, come perno insostituibile della tenuta del modello democratiche, che facciano bene i conti con la necessità di una forte profilatura progettuale e di testimonianza concreta nell'agone interno (con ovvie ricadute nella più vasta visuale occidentale e mondiale).

Ricordando bene e sempre che il capostipite dell'albero genealogico Democrat sia stato e contini ad essere Roosvelt (un socialdemocratico con tratti rivoluzionari per la portata dei suoi gesti concreti), non si potrà non tener conto dell'aggancio di concretezza di Pelosi: "non spostarsi troppo a sinistra...governare il Paese al centro è l'unico modo". Poi, secondo noi molto esposti al nuovo e alle robuste iniezioni di rinnovamento di progetti e di classe anagrafica, ci può stare che, per drenare una deriva populistica e astensionistica, si sia indotti "ad alzare certi toni appealing". Ma est modus in rebus et in scientia gubernandi. Ciò nella consapevolezza di ciò che è il modello a stelle a strisce. In cui è basso il richiamo dell'idealismo soprattutto ideologico è stato sempre e appare molto meno pervasivo di quello della concretezza.

Eviteremmo, fossimo in Mamdani, una transizione verso l'insediamento nel mandato che fosse una postproduzione della campagna elettorale fatta di messaggi (come tali accolti dalle urne) suggestivi. La governance (sotto tutti i cieli) è diventata, più che idilliaca, roba di sangue e merda. Nominare (a mo' di specchietto) un team di transizione interamente fatto di quote rosa compiacerà pulsioni woke e radical chic. Ma poi, dopo la transizione, bisognerà governare. Il neo Sindaco lo faccia se al di là del colore delle quote le prescelte hanno anche "palle" di adeguata preparazione. Quanto all'altro versante "creativo" del profilo (l'esibita professione islamica e il propal-ismo) anche nella diffusa universale consapevolezza del profondo cosmopolitismo della Grande Mela, dovrà fare qualche ritocco a questo tratto radicale, molto simile ad una sbruffoneria.

Molto generico l'annuncio dei propositi: "risolvere nuovi problemi con nuove soluzioni". Tassativamente esclusa qualsiasi arbitraria triangolazione di contesti (anche se siamo personalmente, pur se in remoto, attenti allo scenario democrat), ci pare (pur nel compiacimento della vittoria elettorale che mette in discussione la valanga trumpiana, senza invertire il default dell'asinello) di percepire qualche assonanza tra gli intenti innovativi di Mamdani e quelli   di Schlein. La differenza più direttamente percepibile è che il nuovo inquilino della Grande mela non rigetta la griffe di "socialista"

Per il momento il progetto sembra inscalfibilmente connotato  in senso (per autodefinizione) "affordability". Nell'accezione del più arcigno populismo (se si pensa al quadro attuale) e del peggior massimalismo demagogico (se si risale alle "luci" dei trascorsi della sinistra antisistemica, che come Mamdani prescindeva dalle sostenibilità, ad esempio del "gratuitismo"). Diversamente il risultato vittorioso e foriero di auspici e speranze in vista dei prossimi election days arrischia di diventare "un regalo a Trump".

Un'ultima osservazione in questo focus destinato a continuare, se i lettori ci aiuteranno con i loro contributi.

Mamdani e The Donald a ben vedere sembrano essere portatori di populismi opposti nella vulgata ma speculari nei retroterra motivazionali.  Almeno come sostiene l'autorevole editorialista Corsera e nostro concittadino Danilo Taino, il quale sottolinea l'intensità evocativa ad usum delphini del consenso. The Donald (il presidente Usa che ha assunto l'affanno di voler essere il presidente del globo terracqueo) ha già declinato il copione della limitazione dell'interventismo pubblico in economia e (molto semplificando), della centralità dell'impresa senza limitazioni e della continuazione di una globalizzazione obnubilata dalla massimazione del profitto. La ricetta di Mamdani corre sullo stesso tracciato (di demolizione del modello della reaganomic, su cui si sta reggendo l'equilibrio mondiale) ma in una visuale invertita. Che ripropone sia l'interventismo pubblico in economia  sia le ricette socioeconomiche del sovietismo. Nell'accezione corrente da noi, si parla di Sindaco d'Italia. Nel caso di Zohran è evidente che da Sindaco del principale metropoli si atteggia a Sindaco degli Usa (probabily con pretesa di parlare ad auditorium più ampio). In omaggio al detto che la vittoria ha molti padri qui nei confini domestici si è innescata la corsa a rivendicare l'analogia della scaturigine del successo.

Non casualmente sul terreno dell'incenso al vincitore corrono ad esternare la Schlein ( a ben vedere un po' l'inventore del brevetto del populismo egualitario)  e il solito "partigiano" capo dell'Anpi ("Quattro riflessioni. La prima: il Golem di quella specie di tecnofascismo iperliberista e con tratti criminali rappresentati da Trump si può vincere. La seconda: data la crisi, è proprio il momento di rilanciare il welfare, cioè l'esatto contrario di ciò che facendo l'attuale dirigenza dell'Unione Europea e il nostro governo, che intendono invece spostare gigantesche risorse dalla sociale alla spesa militare".) “Un modello Mamdani esportabile in tutto il mondo” e “Una lezione per la sinistra”, azzarda La Repubblica.

Per quanto poco indotti a farci tirare la giacca dai portatori di demagogia, massimalismo e populismo, non ci sottraiamo all'opportunità di non chiamarci fuori dall'ondata declamatoria, per la più parte ispirata da intenti, ripetiamo, non trasparenti. E ci limitiamo qui a fare un'analogia, forse un po' azzardata, tra l'impeto rivoluzionario di Mamdani e il profilo del “municipalismo socialista” (italiano).

Un modello (quello di Mamdani) costruito dal basso e col consenso e imperniato su analisi e ricette di radicalismo. La cui sostenibilità pratica andrà tutta verificata nel prosieguo. In qualche modo il format teorico-pratico del Sindaco basato sull'analisi della fattispecie metropolitana richiama, come premesso, il tratto distintivo del "municipalismo socialista" di 110 anni fa. Con cui i padri fondatori pensavano di prefiguare l'approdo alla società socialista, partendo dai cardini della gestione comunale ispirata alla discontinuità.

Ma ai cantori di peana all'indirizzo del vincitore camrade-Mayor, portati, come si è visto, ad esaltare il profilo di discontinuità, per non dire rivoluzionario non interessa cogliere questo potenziale parallelismo almeno dialettico. Infatti, come accade da trent'anni nella nostra città, hanno raso al suolo gli istituti concreti del Municipalismo Socialista incardinato dalla prima amministrazione rossa eletta nel 1914. Mamdani parla di trasporti gratuiti, di beni di consumo calmierati e forse quasi gratuiti, di corporates autogestite ed ispirate dal sovietismo. Cremona, dalle “giunte anomale e per 30 anni da demolito le “municipalizzate” (le prime in Italia messe a punto da Giuseppe Garibotti) dell'energia elettrica, del gas, dei trasporti urbani, del panificio. Facendone omaggio ad una holding finanziaria apparentemente espressione dei territori, in realtà una macchina da guerra che macina profitti e plusvalenze in Borsa.

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