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La sinistra e la questione socialista /35

  09/03/2024

Di Redazione

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I socialisti europei a congresso

Di Domenico Cacopardo

Lo scorso fine settimana a Roma ha visto la celebrazione del Congresso dei socialisti europei, il cui nome, invero, è socialisti e democratici, per assorbire proprio l'anomalia italiana. Per essa (anomalia italiana) gli excomunisti non hanno avuto il coraggio di chiamarsi socialisti, come si dovrebbe chiamare una forza politica di centro-sinistra democratica e non estremista (ma sulla buona strada per diventarci). E questo per onorare i nipotini dei giustizialisti che popolarono alcuni uffici giudiziari con l'idea di rovesciare l'Italia come un calzino, trasformatasi strada facendo alla rimozione chirurgica dei partiti politici della prima Repubblica, tutti meno uno. La Storia darà su di loro un giudizio definitivo, ma già sono stati condannati dall'Italia visto che hanno dato la stura alla deformazione del sistema democratico chiamata correntemente seconda Repubblica.

…(omissis)…

Il documento finale, approvato dal Congresso, delude Elly e il suo «inner circle» in quanto esprime un divieto nei confronti di Afd, di Pis, di Vox e Le Pen, ma non verso Fratelli d'Italia in quanto componente del partito conservatore.
Una questione sulla quale da parte italiana si è sorvolato a dispetto della evidente contraddizione -sì lo dico- ontologica del Pd di Schlein promotrice del campo largo il cui principale componente, forse «più principale» dello stesso Pd, è il Movimento 5Stelle di Giuseppe Conte (a proposito, quali ignote qualità possedeva e possiede l'avvocato di Volturara Appula, visto che è riuscito a strappare il partito di Grillo a Grillo e di farne un suo partito, inequivocabilmente suo?). Anche perché in questa sostanziale e ineludibile antinomia, tranquillamente, goliardicamente ignorata (non sa la poverina che tutti i nodi vengono al pettine anche in politica) se ne cela un'altra ancora più grave e insuperabile. L'Ucraina.

Se è vero che socialdemocratici del calibro di Scholz hanno riproposto il verbo immarcescibile di don Abbondio, che alberga negli italiani, ma anche e tanto nei bottegai tedeschi, consistente dell'opzione «no» rispetto all'invio di truppe europee in Ucraina (proposizione velleitaria e, francamente demenziale, visto che non dice nulla del genere rispetto alle truppe russe in Ucraina e, possibilmente, in Europa -quando sarà troppo tardi per opporsi efficacemente a esse-), è anche vero che il corpo grosso dei socialisti europei intende proseguire la politica di aiuto anche militare e di soccorso alla repubblica Ucraina e al popolo ucraino.

Come si metterà, su questo punto, l'intrepida (e non che può essere intrepido chi, maschio o femmina assume il gravoso incarico) Elly Schlein con il suo partner preferenziale Conte che sull'Ucraina ha assunto posizioni sostanzialmente filo-russe, cioè filo-Putin?

Insomma, la celebrazione del Congresso socialista europeo ha messo in mostra più che l'anomalia italiana, l'irrilevanza del Pd rispetto al grande gioco politico europeo. E lo dimostra la più recente delle battagliette in cui Schlein lo ha impegnato: la Missione Aspide di difesa del traffico commerciale attaccato dai terroristi Houthi. Rilevo en passant sull'abbattimento di un drone da parte del cacciatorpediniere Caio Duilio: autocelebrato dal comandante e celebrato dai media come un atto di estrema efficienza e capacità militare, quando nella realtà si tratta di un atto routinario, già provato varie volte, consistente in una manovra in gran parte digitalizzata. Comunque,sapete di cosa si è discusso nel Parlamento italiano a iniziativa di Pd e grillini, meglio contini? Si è discusso di un avverbio. La risoluzione presentata dal governo ispirata a quella dell'Unione europea definisce la missione «eminentemente» difensiva. Operando una gravissima, ingiustificabile castrazione della piccola missione navale europea cui sarebbe inibito o forse permesso in particolari non definite circostanze di individuare la rampa di lancia di un missile di attacco e di distruggerla. Pd e contini vogliono che la parola «eminentemente» sia espunta, consentendosi così solo l'abbattimento di droni e missili Houthi.

Più che manifestazione di pacifismo, è manifestazione di stupidità politica, di inadeguatezza ai problemi del momento, di pelosa cautela, nella quale chi ci va di mezzo sono i marinai italiani e tutta l'operazione. È di ieri l'attacco a una nave mercantile MSC colpita nello scafo e alle prese con un successivo incendio. C'è da domandarsi dov'erano la Caio Duilio e il suo intrepido comandante? Dov'erano le altre navi della missione Aspide. E c'è anche un'altra domanda: il sistema di controllo satellitare ha segnalato il lancio alle navi dell'Aspide? E se l'ha segnalato perché il missile o il drone non è stato intercettato? O se non è stato segnalato quali problemi irrisolti di comunicazione tuttora esistono?

Resta la sconfortante convinzione che in questo momento storico cruciale per l'umanità, mentre il Cremlino minaccia la Germania, dove sono i cuori e le menti forti capaci di affrontare il problema decidendo di difendere l'Italia e con essa l'Occidente?

Certo non a sinistra dove il piccolo gioco, il giochetto della politica consiste nel definire lo schieramento senza occuparsi delle necessità reali della comunità nazionale rispetto alle grandi sfide in corso nel mondo.

Hanno addirittura archiviato chi tra di loro aveva assunto un ruolo politico nazionale e internazionale facendosi carico degli interessi strategici del Paese.
Proprio ora che, appunto, i giochi parabellici delle missioni internazionali hanno ceduto il passo al grande gioco bellico, con armate sul campo, terroristi, missili, droni e colpi di artiglieria che si sta giocando in aree sempre più vaste.

Se qualcuno pensa che la viltà sarà la sua salvezza, si ripassi la storia: non ci vuole molto, basta perdere qualche minuto su Google e leggere della cosiddetta Pace di Monaco (1938)

Berlinguer nella storia del Pse

L'editoriale Mauro Del Bue del 7 marzo 2024

Non faccio colpe al segretario del Psi e alla delegazione socialista al congresso di Roma del Pse. È naturale, come scrive bene Massimo Carugno in apertura del giornale, il poco spazio riservato a chi socialista è stato sempre e il molto a chi socialista non è stato mai. I rapporti di forza tra i due partiti invitati sono imparagonabili e il Pd è il referente italiano dei socialisti europei. Mi aspettavo invece una reazione alle immagini proiettate al congresso dei leader del socialismo europeo dove compaiono Berlinguer e Napolitano che hanno guidato il Pci, sia pur nelle differenze anche sostanziali di rotta, mentre non vi compare invece Craxi che dell'Internazionale socialista é stato vice presidente. È solo per le questioni giudiziarie che lo hanno interessato? Ma allora perché non appare nessuno dei dirigenti del Psi, da Martelli ad Amato? Evidentemente l'operazione “sostituzione identitaria” è riuscita. Il Pd ha trovato legittimità ad un percorso “coerente” che dal Pci, col suo principale leader Enrico Berlinguer, lo porta al socialismo democratico. Ma Berliniguer non era l'uomo della terza via mettendo sullo stesso piano il comunismo dell'Est e le socialdemocrazie europee? Non era ll segretario che, dopo l'affondo del leader del Psi sull'inconciliabilità tra leninismo e pluralismo, difendeva Lenin (eravamo nel 1978). Non era lo stesso che fino al 1976, sostiene Gianni Cervetti nel suo bel libro “L'oro di Mosca” ma qualcuno ritiene anche dopo, accettava volentieri i rubli sovietici? Lo strappo politico che decretava esaurita la spinta propulsiva della Rivoluzione d'ottobre, è solo del 1981, in occasione del colpo di Stato militare in Polonia, ma prima della sua morte Berlinguer si impegnò in una triplice lotta politica: contro i missili a Comiso che l'Spd tedesca aveva accolto, contro il decreto sulla scala mobile, strumento poi abolito e che non esisteva in alcuna parte d'Europa, contro il “pericoloso” governo Craxi, il vice presidente del socialismo democratico internazionale. D'altronde sarebbe fare un torto a un personaggio di grande rilievo della politica italiana qual'è stato Berlinguer, e un po' fargli anche violenza, deformarne l'identità e addirittura trasformarlo in leader della socialdemocrazia. Questo tentativo, per la verità riconosciuto dal Pse, cancella la nostra storia. Se il Pci, e non il Psi, è stato il precedente del partito oggi aderente al Pse, noi non abbiamo, anzi non abbiamo avuto, ragione di esistere. E la sfida a sinistra era futile esercizio verbale. Parliamo di memoria storica perché essa si proietta sulla politica di oggi. Cos'è il Pd? È il partito che da Berlinguer (e aggiungiamo per fargli onore da Moro) a oggi sosteneva la socialdemocrazia europea. Non è contraddittorio? Non è paradossale? E cos'era mai allora il Psi? Un partito inutile, anzi dannoso perché combatteva il comunismo sia pure anomalo di Berlinguer? Se il Partito socialista europeo la pensa così e non ci riconosce non ci resta che non riconoscerlo. Fin che abbiamo vita e un filo di voce continueremo a dire la nostra.

Congresso PSE: padroni di casa abusivi e “fondatori”cannibalizzati

Potrebbe essere questa la sintetica cifra identificativa di un evento, peraltro durato (tra effettivo svolgimento e post produzione) meno del classico éspace d'un matin. Non sorprenda questa sconsolata percezione, perché è ormai questa la sorte che spetta alle conviviali immaginate non nella loro mission di delineazione (come dovrebbe essere quella che un po' pomposamente veniva definita la “massima assise” congressuale) del fondale strategico di qualsiasi movimento politico, strutturato di impianto teorico e di dorsale pratica, ma, appunto ad usum delphini. Vale a dire dell'ansia di catturare anche le briciole più piccole della ricaduta mediatica e propagandistica. Che, si ripete, è ormai la cifra di tutti i congressi di tutte le formazioni politiche.

Solitamente la convocazione viene situata a ridosso (e a servizio d'indotto) di qualche accadimento politico-istituzionale, il più delle volte rappresentato dalle urne.

E' il caso del filotto congressuale, ormai a tutto tondo, che sta impegnando tutti i players in vista del rinnovo del Parlamento Europeo (e di conseguenza di tutta l'orditura del vasto establishment dell'U E).

Nell'accadimento pratico appare difficile, se non impossibile, rilevare tracce significative di rinvio ad uno sforzo di verifica della congruità della testimonianza dei grandi partiti, protagonisti della vita politica e dell'ordinamento istituzionale, di fronte al completamento del processo di armonizzazione e di convergenza dei partners verso un'Unione che volesse legittimamente definire tale, di fronte alle premesse fondative e agli incombenti scanditi dai contesti attuali.

Sicuramente più che la massima assise, il defilé di protagonisti dello scenario politico continentale, si è occupato (osserviamo, con un livello prestazionale assai insoddisfacente) di questioni strategiche, più che altro premute dalle criticità che aleggiano sull'Europa (e sul mondo intero). Che avrebbero meritato ben altro approccio, in termine di rigore analitico e conclusivo.

Ci limitiamo (anche se dovremmo, in considerazione della preminenza in capo ad un evento congressuale, planare sul corpo “ideologico” e sulla permanenza delle ragioni di un movimento che ha avuto ben altre performances) al “perno” delle attenzioni ipnotizzate (ahinoi, in buona compagnia con le altre “famiglie” europee) dalla priorità di ciò che si presume possa, dopo le urne, avvenire nell'establishment comunitario e, di passaggio, delle critiche evidenze che imporrebbero all'Europa sollecitudini strategiche meno generiche, meno abborracciate, meno condizionate dallo strabismo con cui ci si pronuncia sul questioni continentali, deducendo i pronunciamenti da valutazioni da ballatoio e per opportunità, se non proprio meschine, sicuramente prive di sguardo lungo e consapevole.

Ci riferiamo, come magistralmente fa il nostro “maestro” Domenico Cacopardo, a quei perni dell'attuale contesto che evidenziano un momento storico cruciale per l'umanità, e che appunto rendono inaggirabile un quesito: mentre il Cremlino minaccia la Germania, dove sono i cuori e le menti forti capaci di affrontare il problema decidendo di difendere l'Italia e con essa l'Occidente (come appunto fa l'apprezzato editorialista).

Sopravvenienze, si fa per dire, percepite tardivamente e in certo qual modo approdate su un sedime prestazionale, diciamo, non esattamente avveduto nelle strategie e, soprattutto, nell'esercizio pratico della politica europea. Che dai suoi precordi di armonizzazione e di convergenza verso l'unità politica (termine volutamente generico per carità di famiglia) ha inanellato (ovviamente insieme ad incontestabili luci) gesti (insistiti) di interessata omissività quando non di inottemperanza al monito “hic Rodhus hic salta!)

Quali colpevolmente furono (appunto in contesti precordiali) il colpo di affondamento alla CED (comunità europea di difesa, di cui ricorre il 70° della fallimentare istruttoria) e, a seguire, la sistematica, forse anche un po' sofferta, strategia di evadere i passaggi salienti di quella che i padri fondatori avevano immaginato come nation building.

Con la loro bella dotazione di una costituzione quadro, sancita da in equivoci pronunciamenti della costituency, espressamente incardinata nella volontà di fare dell'unità europea di fare un aggregato irreversibile, sostanziato dalla reductio ad unum delle politiche di difesa, di esteri, di fisco e di quant'altro che configurassero un vero rating di entità unitaria.

Al contrario di tutto ciò, l'ultimo quarto di secolo è stato, come abbiamo premesso e come il congresso si è incaricato di drammaticamente confermare, caratterizzato di guardare a tale mission con le lenti progressive che focalizzano prevalentemente i quadranti delle meschine visioni domestiche. Con il risultato, come abbiamo più volte considerato, di perdere contatto con le evoluzioni strategiche e con esse di sfibrare la consistenza continentale. Di fronte, più che alle sfide idealistiche del grande sogno dell'unità europea, agli incombenti ineludibili.

Come possono essere tutti quei segmenti che confluiscono nella residua sostenibilità del modello europeo, in termini di prerogative liberaldemocratiche e di autonomia.

E che non possono in alcun modo distrarre dalla tabella di marcia degli eventi incardinati nel continente.

Il saggista e deputato europeo Raphaël Glucksmann, a margine dell'assise congressuale tenuta a Roma, più che chiedersi, ammonisce “l'Europa deve passare subito a un'economia di guerra”.

Una opzione cruciale che prima o poi… E che come tale è stata aggirata dall'assise di un movimento che è stato (e che in parte è) prevalent partner dell'U.E. E che, come tale (fin tanto durerà, anche grazie alla plastica inadeguatezza della sua “ditta”, a livello europeo e a livello di singoli “famigliari” nazionali) dovrà essere posta, nello scadenziario degli adempimenti.

Pena, gettiamo per i sinistri presagi il cuore oltre l'ostacolo delle consapevolezze fattuali, il collassamento dell'ordinamento occidentale e, con esso, delle prerogative liberaldemocratiche, di coesistenza pacifica, di civiltà.

Su questo, ripetiamo, il Congresso PSE-Democratici è stato se non del tutto omissivo, sicuramente reticente.

Il fatto che sull'argomento abbia discettato la leader italiana con il suo portato di qualunquistico populismo la dice lunga.

Più che lo speech della leader ospitante inquieta, come rileva Glucksmann, l'endorsement di del lussemburghese Nicolas Schmit, candidato socialista a guidare la Commissione, che dal podio ha esaltato il “grande risultato in Sardegna” e ha detto. “Grazie al Pd e a Elly! Grazie Elly, hai tutta la mia stima e il mio sostegno! Cara Elly, è vero: il vento sta cambiando, il vento sta cambiando. Andiamo a vincere queste elezioni”.

È ciò che passa il convinto della famiglia socialista che ha avuto nel corso storico ben altri leaders (se si pensa a Mitterand, Brandt, Craxi).

E qui, nella parte conclusiva della chiosa alle analisi apprezzabilissime dei due articoli, sia consentita una digressione resa inaggirabile dalla nostra indomabile verve “militante”.

Che, dopo il rating dei leaders, riguarda l'intelaiatura. Ci riferiamo all'internazionalismo socialista fatto movimento. Manifestamente zavorrata, da inopinate derive.

Prima hanno, con l'ingresso della zavorra terzomondista e postsovietica, affondato l'Internazionale Socialista. Poi il colpo finale al PSE. Con l'allargamento ai (sic!) "Democratici" (in realtà post cattocomunisti impenitenti, irriducibili e in servizio permanente effettivo) il colpo finale. All'autorevolezza, all'identità, alla percepibilità, al ruolo del socialismo europeo. Il viatico alla deriva è stato e continua ad essere l'ambiguità della SPD, infiltrata dal putinismo e affondata dalla caduta verticale del livello del gruppo dirigente.

L'idea di far rappresentare il partner italiano nel PSI fa accapponare la pelle a chi ancora è pervaso dall'idealismo socialista. Farlo rappresentarlo (e ci riferiamo alla leader italiana di ultima generazione) rasenta l'assurdo.

Schlein è la ciliegina sulla torta del percorso attraverso cui lo storico membro fondatore (il PSI) è stato progressivamente emarginato fino all'attuale condizione di minore tollerato.

Chi è causa del suo mal… D'altro lato, potrebbe essere diversamente, rebus sic stantibus?

In Italia non esiste da tempo (azzardiamo: dal 1994?) un PSI (a meno che ci riferisca al piccolo, insignificante, indecoroso involucro da parte girevoli che in 30 anni è stato partner prono di tutto: Dini, Progressisti, Prodiani e, più recentemente, per non farsi mancare niente, alleanza Verdi e SI (con Bonelli, Fratoianni e signora deputata, Soumahoro ma senza signora). Vero che l'aggettivo

qualificativo "socialista" è stato abusato e vandalizzato nella storia. Ma questo abuso congressuale di ultima generazione, soprattutto con la foto opportunity al monumento di Matteotti, è sconcertante!

Ma sconcerta, anzi allarma l'idea che nel PES-Democratici l'Italia sia rappresentata da un movimento politico privo di credenziali, come portato coerente di intelaiatura teorica e di testimonianza concreta che possa essere ricondotto in qualche modo al socialismo europeo.

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