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La sinistra e la questione socialista /22

  14/03/2023

Di Redazione

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Roma per il 18 marzo, alle ore 10.30, presso la sala Capranichetta di piazza Montecitorio per fermare la cancellazione della cultura e della storia socialista e riformista in italia “Il tempo nuovo dei socialisti riformisti”.

Forum promosso da Fabrizio Cicchitto, Claudio Martelli, Riccardo Nencini e Claudio Signorile, che hanno condiviso con Craxi, dai tempi del Midas, l'iniziativa politica del Psi, con l'introduzione della storica (del sindacalismo e del movimento operaio) Simona Colarizi e la partecipazione di molti socialisti, di esponenti del Pci-Pds, di riformisti del Pd e del Terzo polo. 

Si tratta di un Forum che ha alcuni obiettivi assai netti. Il primo è quello di reagire al fatto che, dopo la distruzione del Psi messa in atto dal circo giudiziario del Pool di Milano, dal circo mediatico del Pool dei quattro principali giornali, da grandi gruppi finanziari privati e pubblici sino al Pci-Pds, adesso si cerca anche di eliminare il socialismo italiano dalla memoria storica della nazione. 

Una Cancel Culture all'italiana del riformismo socialista. Ieri la via giudiziaria, trasformando un sistema di finanziamento irregolare della politica che riguardava tutti in un sistema criminale che riguardava solo alcuni, e i socialisti in particolare; oggi la via della cancellazione dalla cultura. Dalla storia. E dall'attualità politica in Italia, mentre i socialisti governano ancora grandi paesi europei. Sembra quasi che la storia italiana sia stata fatta solo da democristiani, da comunisti e post comunisti, da fascisti e post fascisti. 

Turati, la Kuliscioff, Matteotti, Saragat, Nenni, Lombardi, Craxi. Chi erano costoro? Il paradosso, inoltre, è che, mentre a livello scientifico, sul terreno della ricerca, grazie al lavoro di storiche e storici, di fondazioni e associazioni, il racconto della storia va trovando il giusto equilibrio, con l'emersione di verità che erano nascoste, negate, usurpate, dannate, succede invece esattamente il contrario sul terreno mediatico, su giornali e televisioni, nelle rappresentazioni cinematografiche, nelle scuole e perfino nel dibattito politico. 

Su questo piano è tuttora prevalente un'antica egemonia e un conformismo manipolatore della realtà e della verità storica e politica. 

È un danno gigantesco per il futuro, non solo per il passato. Perché significa affrontare i drammi epocali dei disequilibri politici e culturali provocati dalla pandemia, del ritorno in campo del comunismo (quello cinese, alleato con spietati dittatori nazionalisti quali Putin), del persistente pericolo dei populismi e dei sovranismi, senza la forza ideale e razionale del riformismo socialista e, anche, di quello cattolico. La cultura riformatrice, socialista e cattolica è l'unica alternativa al conservatorismo liberale, che è la componente più decente dell'attuale destra-centro. 

Su questo terreno, vista anche la condizione, a nostro avviso, ancor più negativa del Pd, che sembra fuggire dal riformismo, e viste alcune “timidezze”, in tal senso, nel Terzo polo, c'è un drammatico vuoto politico e anche culturale. Per questo ciò che di socialista rimane in campo, specie sul terreno della riflessione storica e politico-culturale, suona un campanello d'allarme e ripropone, aggiornandolo, il suo patrimonio ideale e programmatico e le sue eresie.

Documento del forum socialista

Nella storia della nostra Repubblica, i socialisti hanno svolto un ruolo pilota. Questo almeno fino al 1992 e alle vicende che hanno portato all'avventato autoscioglimento del Psi il 12 novembre 1994. 

Nel '92-‘94 è stata effettuata un'operazione mediatico-giudiziaria del tutto unilaterale perché il finanziamento irregolare non riguardava certo solo il Psi, ma tutti i partiti, Pci compreso. Nella fase successiva si è passati a qualcosa di peggio: al tentativo di cancellare dalla stessa memoria storica ogni riferimento al Partito socialista e al socialismo in quanto tale. Una questione che è emersa anche nel recente anniversario della morte di Craxi che è stato ignorato, pure sul terreno della riflessione critica, da tutto il Pd. In più di cinquant'anni i socialisti hanno sempre avuto la capacità di avvertire, prima di tutti gli altri, i mutamenti in corso nella politica. Nel loro dibattito interno si sono rispecchiati processi di crisi in divenire che anticipavano nuovi problemi e nuove situazioni. Per questo i socialisti, al di là del loro peso elettorale e della loro collocazione politica, sono stati i protagonisti attivi dei grandi passaggi politici della democrazia italiana: dalla scelta per la Repubblica al centrosinistra; dalla questione dei cattolici al progetto per la democrazia dell'alternativa; dalla grande riforma istituzionale agli interventi di riforma dello Stato sociale e civile. 

Questa esperienza partitica dobbiamo considerarla conclusa e non ripetibile. Ma non deve sorprendere che, dopo molti anni ed esperienze diverse e contraddittorie, i socialisti riprendano a parlare in una sede comune, senza gerarchie e pregiudizi, che potremmo definire come il Forum socialista. Questo perché la cultura politica dei socialisti, dovunque essi siano, avverte la crescente condizione di precarietà del sistema politico attuale; coglie i processi di dissoluzione dei partiti e delle alleanze che hanno dominato in questi anni; sente l'urgenza di fare i conti con un bipolarismo incompleto e artificiale che ha determinato un obiettivo degrado nella democrazia italiana, accentuandone i caratteri di democrazia delegata e deresponsabilizzata. 

Si ricomincia così a parlare di socialismo, non di partiti e appartenenze. Il socialismo oggi deve essere una nuova ragione di analisi e di proposte. Il fattore attivo di un nuovo contratto sociale perché si è dissolto nella coscienza dei cittadini e nell'esperienza dei fatti il legame che teneva salde le condizioni di vitalità e sviluppo del Paese. In sostanza il compromesso Stato-cittadini-imprenditori-classe lavoratrice, che per molti anni ha consentito non contestati rapporti di proprietà, uno Stato sociale redistributivo, un ascensore sociale funzionante, un attivo sistema di contrattazioni sociali, ha ceduto per l'incompatibilità di queste politiche con la crisi economica e le sue tipologie rompendo un sistema di certezze e garanzie. 

Facciamo queste osservazioni non per rilanciare, magari in una traduzione lillipuziana, la forma partito Psi: il Psi, come il Pci, come la Dc, appartiene alla storia e non è più riproponibile in quanto tale. Quello che invece noi intendiamo rivendicare non è solo la memoria del socialismo italiano ma anche il fatto che i contenuti ideali della civiltà socialista in alcuni snodi fondamentali e anche in alcune proposte di riforma mantengono la loro validità: ci riferiamo alla riforma della giustizia, al presidenzialismo, alla solidarietà con l'Ucraina, all'impegno meridionalista, a tutte le tematiche riguardanti il lavoro e a quella che chiamiamo la “globalizzazione della sopravvivenza”. L'impegno riformatore su questi nodi essenziali ha un retroterra politico-culturale di grande rilievo che in tutti questi anni è stato alimentato grazie all'impegno individuale e collettivo di singole personalità e di strutture organizzate di studio appartenenti a un'area socialista assai estesa che sfugge a ogni schema di natura partitica e anche a ogni scelta pregiudiziale di schieramento. 

Grazie sia al lavoro individuale di alcuni storici di alto livello, sia a quello posto in essere da alcune fondazioni culturali (la Fondazione Socialismo, la Fondazione Craxi, la Fondazione Kuliscioff, la Fondazione Nenni e la Fondazione Brodolini), i cosiddetti vinti si sono conquistati proprio sul campo della ricerca storica una dimensione di notevole spessore che rovescia il motto secondo cui la storia è sempre quella dei vincitori. 

Al di là delle vicende più strettamente politico-partitiche, emerge che proprio di fronte alle situazioni drammatiche che stanno sconvolgendo il mondo contemporaneo la questione socialista, che si estrinseca in primo luogo nel riformismo, ha una straordinaria attualità. Il nesso socialismo-libertà si ripropone con tutta la sua forza ideale sia di fronte all'aggressione all'Ucraina, scatenata da una Russia caratterizzata da un pericoloso nazionalismo predatorio, sia di fronte all'imperialismo cinese che sta investendo Taiwan sul piano militare e vaste zone del mondo sul piano economico. 

Su un altro versante, quello del capitalismo contemporaneo, possiamo verificare, sulla base di ciò che è avvenuto da molti anni a questa parte, la validità dell'allarme lanciato molto tempo fa da un grande studioso marxista della seconda generazione come Rudolf Hilferding sulle distorsioni che può provocare l'affermazione del capitale finanziario proprio nei confronti dei genuini protagonisti dei rapporti di produzione capitalisti, cioè sia sui lavoratori che sugli imprenditori. Si è vista anche la permanente forza del compromesso socialdemocratico sia perché il trinomio casa-scuola-ospedali – considerato con sufficienza sia dai neoliberisti sia dai massimalisti nuovi e antichi – riveste un'importanza decisiva rispetto alle esigenze fondamentali dei cittadini, sia per ciò che riguarda l'approccio di stampo riformista per l'innovazione nell'industria, il rapporto positivo nell'impresa fra gli imprenditori e i lavoratori, la tematica ambientale e climatica. 

Queste nostre osservazioni si riconnettono in termini di continuità ma anche di innovazione a tutta una problematica sviluppatasi nel corso della storia del socialismo italiano nel dopoguerra che è andata, anche fra tensioni e contraddizioni, da Riccardo Lombardi a Bettino Craxi. Riteniamo che queste posizioni possano essere sinteticamente definite come il progetto dei riformatori che, a nostro avviso, oggi può rappresentare l'unica alternativa seria e credibile a quella dei conservatori liberali che costituisce il retroterra culturale della posizione assunta da Giorgia Meloni e che spiega anche la ragione di fondo della sua vittoria alle recenti elezioni. Infatti in un Paese che ha la storia dell'Italia – nella quale i vent'anni di regime fascista hanno costituito un tragico disvalore e i tre anni della Resistenza un grande valore unificante – una versione ambigua e pasticciata del post fascismo mai avrebbe potuto acquisire grandi consensi oltre la cosiddetta linea gotica come ha messo del resto in evidenza la storia dell'Msi e della stessa An. Invece l'operazione è riuscita alla Meloni perché essa nella sostanza è andata oltre quell'esperienza e si è inoltrata, sia sul piano culturale sia su quello dei riferimenti europei, sul terreno del conservatorismo liberale che, come dimostra anche il recente “Manifesto dei conservatori” scritto da Roger Scruton, è altra cosa rispetto all'ultranazionalismo sovranista e ancor più al post fascismo. In ogni caso, questa posizione strategica della destra va presa sul serio e in parola proprio per costruire un'alternativa. Quindi, al di là delle vicende più strettamente politico-partitiche, a nostro avviso l'unica alternativa possibile e praticabile ai conservatori è proprio quella dei riformatori nelle traduzioni politiche possibili (il riformismo, il laburismo, il liberalsocialismo). 

Alla luce di quello che è avvenuto in questi anni, sono in campo tre nozioni di globalizzazione: quella che finora ha prevalso, cioè una sorta di globalizzazione selvaggia e senza regole che ha accentuato gli squilibri economici, sociali e ambientali e due altri tipi di globalizzazione che riteniamo positivi e che possiamo definire la globalizzazione della crescita e la globalizzazione della sopravvivenza che a sua volta si fonda su una serie di scelte: la transizione ecologica dalle energie fossili altamente inquinanti a quelle più moderne e pulite siano esse rinnovabili, elettriche, all'idrogeno. A livello urbano lo smaltimento dei rifiuti richiede un impegno anche educativo per consumi sostenibili per quantità e qualità, l'arresto dello sfruttamento intensivo della terra, dell'avvelenamento dell'acqua e dell'aria. Occorre un'economia circolare per favorire lo smaltimento dei rifiuti attraverso produzione di energia da fonti di calore non inquinanti. 

In questo quadro risultano decisivi tre punti di riferimento: l'Europa, il Mezzogiorno d'Italia che deve arrivare a federarsi, il socialismo europeo. A questo punto è fondamentale che oltre all'euro l'Europa da un lato pervenga a una politica economica la più omogenea possibile e dall'altro a una politica estera della difesa comuni. Il riferimento storico rimane quello del Manifesto di Ventotene ma adesso esistono precise ragioni geopolitiche che rendono urgente questa scelta. Per responsabilità della Cina comunista e imperialista e della Russia guidata da una dittatura ultranazionalista e predatoria, dobbiamo fare i conti con una nuova versione della guerra fredda. Essa richiede da un lato l'unità dell'Occidente ma dall'altro l'affermazione di un'Europa unita, alleata degli Usa e dotata di un'autonoma forza politica, culturale, economica e militare. L'Italia deve impegnarsi nella costruzione dell'Europa federale sapendo che in questo quadro sono comunque fondamentali il Mediterraneo e il Mezzogiorno. Il ruolo che il Mezzogiorno d'Italia sta assumendo in Europa, il cui mare Mediterraneo è mare interno, è sempre più strategico, visto che è una via di accesso e di riferimento, collegando la sponda Sud del Mediterraneo ai destini del Vecchio continente. Ragion per cui, il Sud d'Italia non sarà periferico e marginale bensì centrale rispetto alla Penisola e all'Europa. Di qui, la lettura di una Italia mediterranea proiettata verso il futuro in chiave di protagonista nei prossimi decenni. Non si deve dimenticare che il Mediterraneo è l'uno per cento della superficie marina nel mondo, dalla quale passa il venti per cento del traffico commerciale mondiale. Resta il fatto che l'Europa non può fare a meno dell'Italia mediterranea che è circa il cinquanta per cento del territorio attrezzato. Il Mezzogiorno dovrà diventare attore principale nella sua unità, superando campanilismi e regionalismi, rilanciando la sua identità territoriale, economica, sociale, politica e culturale nello Stato nazionale e nell'Unione europea. 

In questo contesto occorre federare le Regioni del Meridione, “unificando la programmazione e la gestione di almeno il 50 percento dei fondi Ue e nazionali, in una progettualità interregionale finalizzata all'armatura infrastrutturale del territorio, alla formazione, alle politiche di sviluppo tecnologico e di servizi, con l'obiettivo di realizzare nell'Italia mediterranea la grande piattaforma economica logistica euro-mediterranea”. A tal fine, è esiziale la proposta di legge dell'autonomia differenziata, che mette a rischio l'unità d'Italia e rende irrealizzabile l'Italia federata e il sistema Ue-Mediterraneo. È in questo contesto che va collocato il nostro riferimento al socialismo e al Partito socialista europeo. Il socialismo del ventunesimo secolo è quello che combina insieme socialismo, democrazia, liberalismo. È una scelta valida sia in senso positivo che per la durissima battaglia che va condotta contro gli autoritarismi di opposto segno, di destra e di sinistra, che sono in campo sospinti dal sovranismo e dal populismo. Questa battaglia ha possibilità di successo se è caratterizzata dall'impegno per la crescita sostenibile, per la pace nella giustizia che deriva anche dalla difesa dei popoli aggrediti come l'Ucraina, per riforme che hanno per obiettivo la redistribuzione delle risorse, l'aumento dei consumi pubblici (case, scuole, ospedali) e dei salari. 

Intendiamo concludere questa riflessione con alcune osservazioni riguardanti i risultati del congresso del Pd. Il Pd avrebbe potuto avere una possibilità di superare la sua crisi qualora la sua assise fosse stata l'occasione per un grande dibattito fondato su piattaforme alternative e sul conseguente voto degli iscritti. Un confronto fra una posizione di stampo riformista, garantista, europeista e atlantica e una posizione movimentista, radicale e pacifista. Ciò non è avvenuto in modo limpido e chiaro per molteplici ragioni. Un ruolo fondamentale in senso negativo lo ha svolto il meccanismo congressuale. Essendo basato solo sui gazebo sia nella prima fase, quella riservata agli iscritti, sia nella seconda parte, aperta a tutti i cittadini in modo indifferenziato e senza filtro, quel meccanismo non ha mai offerto l'occasione per un confronto argomentato e approfondito su tesi strategiche di segno opposto sia a livello nazionale che a livello locale e quindi si è sempre risolto solo e soltanto in una conta. Ciò ha comunque portato entrambi i candidati di opposta posizione in un caso a sfumarla (Stefano Bonaccini) e nell'altro a mistificarla (Elly Schlein) per ottenere consensi da ogni parte. In secondo luogo, di fatto questo meccanismo congressuale ha espropriato gli iscritti del potere di scelta del segretario. Al di là della contingenza, ciò è avvenuto per la debolezza intrinseca del partito in quanto tale che diversamente dal passato non ha più una struttura interna così solida e riconosciuta da affermare la sovranità dei suoi organi dirigenti e dei suoi stessi militanti su una scelta decisiva quale è quella del segretario. Questo meccanismo, già di per sé perverso, ha consentito che si materializzasse un'operazione politica fondata sulla combinazione di alcuni elementi fra di loro molto diversi. Per di più, a questo meccanismo fondato solo sulla conta, e in ultima analisi sulla conta di una platea indifferenziata e senza alcun filtro, si è aggiunta la facoltà di consentire a una personalità non iscritta al partito addirittura di poter concorrere alla segreteria. Tutto ciò ha consentito la realizzazione dell'operazione politica che ha portato alla elezione della Schlein. In primo luogo, a sostegno dell'assoluta novità, costituita dalla figura stessa della Schlein, si è schierata proprio larga parte di quella classe dirigente che negli ultimi 15 anni ha gestito il governismo del Pd e che era stata messa sotto accusa per la sconfitta del 25 settembre. Come ha dimostrato il risultato del voto degli iscritti, quest'area del partito era ormai largamente minoritaria. Sennonché per il voto aperto a tutti del 26 febbraio sono intervenuti due nuovi elementi risultati decisivi. Anzitutto, come risulta dalle analisi dei flussi, c'è stato, non si saprà mai se spontaneo o organizzato, una quota rilevante del voto grillino. Altro elemento è stato indubbiamente costituito dal ruolo svolto dall'attrazione personale della Schlein che ha ottenuto un vasto consenso di giovani e di donne di orientamento radicale del tutto esterno e anche estraneo alla piattaforma tradizionale del Pd. Infine, un significativo apporto di nicchia è stato quello proveniente dall'Articolo 1 che così è potuto rientrare nel Pd marcando un successo politico. 

Il concorso di tutti questi elementi ha fatto sì che il Pd è stato letteralmente rivoltato come un calzino. Quello che era un partito del tutto governista, mezzo riformista, mezzo populista-giustizialista, è diventato un partito movimentista per certi aspetti radicale di massa, con rilevanti interrogativi sulla sua reale collocazione internazionale. Valutiamo che un esito siffatto è del tutto contraddittorio rispetto all'esigenza che noi riteniamo invece fondamentale che è quella di opporre al conservatorismo liberale di Giorgia Meloni, a sua volta solcato da mille contraddizioni all'interno del centrodestra, un'alternativa riformatrice ispirata ai contenuti presenti nella prima parte di questo documento. È evidente che l'esito del tutto imprevisto del congresso del Pd pone enormi problemi sia ai riformisti senza tessera, sia a quelli collocati nel Terzo polo e ancor di più a quelli finiti in minoranza nel Pd. Evidentemente si aprono a questo punto molteplici interrogativi affidati alla dialettica politica del futuro. 

Con queste riflessioni e con il convegno ad esse conseguente intendiamo da un lato ribadire che tuttora esiste un'area politico-culturale che si rifà agli ideali e alla storia del socialismo italiano e dall'altro, come abbiamo già affermato, riferirci a tutti coloro di centro e di sinistra i quali ritengono che un'autentica posizione riformista può essere l'unica alternativa al conservatorismo liberale oggi vincente.

Ribadiamo che questo nostro contributo prescinde da ogni riferimento a partiti o correnti di essi.

Firmatari: Fabrizio Cicchitto, Claudio Martelli, Riccardo Nencini, Claudio Signorile, Gennaro Acquaviva, Franz Caruso, Carmelo Conte, Bobo Craxi, Giovanni Crema, Mauro Del Bue, Giulio Di Donato, Ugo Finetti, Umberto Guerini, Ugo Intini, Felice Iossa, Daniela Mainini, Biagio Marzo, Oreste Pastorelli, Enrico Maria Pedrelli, Sergio Pizzolante.

Eppur si muove…

 …dovremmo aggiungere, nella giusta direzione! Ne sono prova non tanto il positivo (e non scontato) risultato di un importante sforzo di armonizzazione e di convergenza del veterans della diaspora (per oltre trent'anni smarriti dall'enormità di un vulnus destabilizzante e molto simile ad un alzamineto e paralizzati dai meccanismi centrifughi di una transizione contrappuntata dall'ostracismo verso non omologati) quanto il chiaro e razionale profilo di una resilienza del tuttora attuale bagaglio di testimonianza socialista.

Scrive il documento del Forum “… i cosiddetti vinti si sono conquistati proprio sul campo della ricerca storica una dimensione di notevole spessore che rovescia il motto secondo cui la storia è sempre quella dei vincitori”. 

E sottolineiamo noi, che, nonostante i nostri quarti di nobiltà derivanti dalle ascendenze dottrinarie ed editoriali della culla bissolatiana del riformismo, ci riteniamo parte, sia pure periferica, del “cartello” officiato a fermare la cancellazione della cultura e della storia socialista e riformista in Italia, la totale congruità della scaturigine del Forum e della sua postproduzione alla resilienza, non tanto e non solo del pensiero socialista, quanto dell'intera sinistra.

L'abbrivio dell'adesione di questa testata e dell'entità associativa circostante non può non far perno sulla totale adesione al concept e al sentiment con cui viene prefigurato il prosieguo di questo generoso progetto.

Vale a dire, da un lato, la sfida della navigazione in mare aperto e, dall'altro, il rifiuto di accarezzare il cuore dei portatori (più o meno sani o disinteressati) della domanda di feticismi e di coperte di Linus, chiaramente identificabili nell'ottica lillipuziana del “partito” (da far sopravvivere all'impossibilità di riavvolgere la pellicola della storia e di prescindere da una più vasta domanda di scendere in campo con un'offerta, come fa il Forum, adeguata ai contesti del campo ideale di cui siamo parte.

E, poiché quasi contestualmente al timing del Forum riformista si svolgerà localmente un tentativo contro tendenziale, sento il dovere (lo scrivente e non pochi altri) che non saremo di quella partita. Tanto per sgomberare il campo da un equivoco che è durato a lungo, fin troppo a lungo, con un portato di sfibramento delle energie Su cui la costituzione dell'Associazione Socialista Liberale e, soprattutto, convocazione del Forum Socialista ci impongono un dovere di chiarezza. Senza malanimo e con grande rispetto per i portatori di altri idealismi (della stucchevole quasi taumaturgica forma partito) questa "cosa" da me non avrà, come disse Turati, né un uomo né un soldo.

 Sono convinto che siamo più utili alla preservazione della storia socialista e alla contaminazione dei valori del socialismo lib lab con una testimonianza di tipo culturale ed editoriale. In modo da incidere nelle consapevolezze per il futuro. Per queste ragioni, esposte con benevolenza ma anche con chiarezza, mi troverei a disagio nel caso non potessi esimermi dal dover precisare che Eco del Popolo, Associazione Zanoni, Comunità Socialista Cremonese (che insieme a Clara convocherò per l'avvio di un "tavolo" in vista delle prossime Comunali e per il proseguimento del confronto sulle questioni territoriali) non sono in alcun modo assimilabili ad alcun collateralismo.

Ça sans dire, per quanto premesso, saremo col cuore e con la mente con il meeting che tra pochi giorni si svolgerà a Roma; nell'auspicio che scaturisca un prodotto mobilitante. Nel senso della definizione di un'offerta di attualizzazione del progetto politico e di riproiezione nella dinamica politica concreta.

Avremo modo di confrontarci nel prosieguo sulla guideline di un documento, che, già sin d'ora, appare come una lodevole attualizzazione dei avveniristici (allora) progetti della stagione del socialismo riformista della seconda metà del 900. E come un'offerta tesa a colmare vuoti e lacune di una sinistra in forte difetto di ossigeni idealistici e programmatici.

Non potremmo perdonarci, in un afflato sbagliato di embrassons nous, se fossimo reticenti o addirittura reticenti su un punto.

Ci appare, infatti, sbagliato derivare questo auto sdoganamento in capo alla reiterazione della teoria del "colpo di stato" di inizio anni 90. In parte tecnicamente vera. Ma ancora una volta brandita come autoassolutoria interpretazione di quel contesto e endorsement di riaccreditamento nei contesti attuali. Invece, no! Assolutamente incongrua la chiamata di correità erga omnes del luglio 1993, in quanto priva di autocritica del Psi e del suo vertice su comportamenti illeciti. Il fatto che fossero generalizzati non esimeva dall'obbligo di cassarli dalla pratica politica e (per i socialisti) di chiedere scusa. Forse avremmo bloccato il "colpo di stato", salvato il PSI ed evitato "l'esilio" per il leader. Non si tratta di barattare uno sdoganamento/riammissione nei ranghi dei players politici con un profilo da piattino in bocca e mutande in mano (quale potrebbe essere un'interpretazione reticente o infedele dei fatti). Vero è che l'idea di ripresentarsi come interpreti del rilancio e di ruolo della testimonianza liberalsocialista prendendo come perno l'onta del giustizialismo di tangentopoli...non appare un'idea avveduta.  Innegabili i prevalenti splendori di quel "nuovo corso". Ma sono passati 40 anni e riproporli tel quel appare surreale. Sottoponendo l'excursus alla revisione del pensiero critico, potremmo rilevare che (con tutte le attenuanti determinate dalla fragilità dei nostri rapporti di forza nel sistema consociativo): 1) la politica governativa degli anni 80 fu, in termini di risanamento della spesa pubblica, piombo puro per la praticabilità di un progetto riformista 2) l'orgoglio nazionale, salvato con Sigonella, non determinò crediti per l'Italia nei contesti occidentali ed europei, bensì approfondì la già cospicua ambiguità italiana, infervorata nel fascino leaderistico della "quarta sponda mediterranea" (tipico status symbol degli statisti un po' così, da Giolitti in poi).

Per tutto il resto condivido la traccia dell'analisi teorica e del metodo del forum, in vista, ripeto, di un processo costituente aperto a tutte le declinazioni del socialismo lib lab.

Nel cui preannunci non è difficile scorgere il richiamo insistito ai perni del socialismo riformista di rito ambrosiano. Fortemente pervaso dal municipalismo socialista, praticato da Caldara a Tognoli. Che riecheggia in quella riproposizione di un asset elettivo tra il socialismo riformista e i segmenti della galassia dem eredi del “migliorismo”.

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