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Focus sanità /42

Forum La parola ai lettori e ai rappresentanti istituzionali:

  15/05/2025

Di Redazione

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CARENZA DI MEDICI SPECIALISTI IN LOMBARDIA: UNA CRISI IN CRESCITA

Non credo che le proposte di coordinamento fra le  strutture sanitarie delle due province risolveranno il problema delle lunghe liste di attesa. Anche le strutture sanitarie private soffrono della carenza di specialisti.

 

Personalmente l'ho  verificato per i dermatologi. Hai difficoltà a trovare spazio  a pagamento, non in regime convenzionato, in tutte le strutture del territorio.

Il coordinamento lo vedo  come un fatto positivo anche perché è anacronistico che i pazienti delle zone limitrofe debbano fare decine di chilometri per raggiungere il servizio sanitario della propria provincia quando a poca distanza c'è quello della provincia vicina. Lo stesso dicasi per i medici e o il personale sanitario.

 

Se le strutture private hanno difficoltà a reperire personale vuol dire che forse non è più vero che i medici lasciano il pubblico perché il privato paga di più. 

 

*Carenza di medici specialisti in Lombardia: una crisi sanitaria in crescita* La carenza di medici specialisti  Non si tratta di una situazione isolata, ma di una crisi sanitaria che colpisce l'intera Italia. La nostra regione, in particolare, sta soffrendo le conseguenze di una carenza generalizzata di specialisti, che si traduce in lunghe attese per i pazienti che necessitano di esami specialistici.

 

*Le cause della carenza* Tra le cause principali di questa carenza ci sono il blocco degli ingressi in medicina, che è stato tolto solo quest'anno, e le scarse retribuzioni del personale sanitario. Questi fattori hanno scoraggiato molti giovani dal perseguire una carriera in medicina, creando un vuoto di competenze che è difficile da colmare.

 

*L'eccessivo ricorso a esami e visite specialistiche* Un altro fattore che contribuisce alla carenza di specialisti è l'eccessivo ricorso a esami e visite specialistiche. Questo fenomeno è dovuto, in parte, al timore di sbagliare da parte dei medici generici, che si sentono pressionati dai pazienti e dalle aspettative create dai programmi televisivi. Questi programmi, infatti, spesso colpevolizzano i medici che non prescrivono esami e controlli frequenti, creando un clima di ansia e di richiesta di sicurezza assoluta.

 

*Le conseguenze per i pazienti* Le conseguenze di questa situazione sono gravi per i pazienti, che devono attendere settimane o addirittura mesi per poter effettuare un esame specialistico. Questo può portare a una diagnosi tardiva e a un trattamento meno efficace, con conseguenze negative per la salute e la qualità della vita.

 

*Una soluzione urgente* È urgente trovare una soluzione a questa crisi sanitaria. Occorre aumentare il numero di specialisti, migliorare le retribuzioni e le condizioni di lavoro del personale sanitario, e promuovere una cultura della prevenzione e della gestione del rischio più equilibrata. Solo così potremo garantire ai pazienti l'accesso tempestivo e adeguato alle cure di cui hanno bisogno

 

Ma tutto questo richiede tempi lunghi. Nell'immediato, oltre che il coordinamento sarebbe utile che finalmente si attuassero, non solo nelle strutture, che già in parte esistono, ma nella pratica i centri polivalenti capaci di consigliare e indirizzare i pazienti,  insomma di prenderli " in carico".

Crema 9 maggio 2025 ALESSANDRO  GABOARDI 

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L'amico e concittadino (di Pizzighettone, s'intende) Gaboardi, che ha un cospicuo retroterra di preparazione sociale e di importanti ruoli a tutto campo, si riferisce ad un annuncio diramato, si presume dagli organi competenti e giunto a noi, che l'abbiamo (per un approfondimento ed una riflessione collettiva) fatto, come si suol dire, girare, si riferisce all'annuncio diramato all'insegna del motto “l'unione fa la forza. Motto che discenderebbe della trovata intesa tra gli ospedali pubblici di tre province – Brescia, Cremona e Mantova – oltre alle locali ATS per “condividere queste preziose risorse umane, a seconda delle esigenze di ogni singola ASST o ATS.” Preziose risorse (uscendo dalla perifrasi) che riguardano e nelle intenzioni dovrebbero essere metabolizzate nei carenti organici la leva di  nuovi medici e specializzandi. Per il cui reperimento le tre province farebbero gioco di squadra. Delegando come capofila l'ASST Spedali Civili di Brescia, che sarà anche hub di tutto il sistema. Che diventerebbe in pratica (ricorrendo al linguaggio delle procedure concorsuali) una sorta di stazione appaltante, a valere per un bacino di due milioni di utenti. Entrando (però, in estrema sintesi) nel merito aggiungeremo, deducendo dal testo diramato, che gli Spedali Civili, punto di riferimento dell'intera macchina, procederanno, tramite bando, alla ricerca di personale medico appartenente alla branca in cui le singole ASST e ATS manifestano carenza. Con la seguente specifica: “A ogni concorso pubblico seguirà la composizione di due graduatorie: una per i medici specializzati e una per gli specializzandi dal secondo anno in poi. Il candidato che riceverà la proposta di assunzione potrà essere direttamente assunto in una delle realtà con necessità di personale. Per essere invece assunto agli Spedali Civili di Brescia, dovrà lavorare per un periodo fino a 18 mesi in uno dei presidi periferici.”Con una (ineludibile postilla sul già esistente: “L'accordo si inserisce in un rapporto già consolidato di aiuto reciproco che in alcuni casi vede le ASST collaborare tra di loro, “prestandosi” a vicenda medici e specializzandi delle specialità più carenti.”

Che dire (non prima di aver espresso istintivamente un apprezzamento sulla convergenza sinergica tra realtà sanitarie ed ospedaliere che, anche se non tutte nello stesso modo, soffrono le conseguenze della crisi delle vocazioni di cui grandi responsabilità hanno le “selezioni” per l'accesso universitario ed il combinato tra gravame del lavoro medico e trattamento economico)?

Ok al lavoro comune. Ma, al di là dell'indubbio vantaggio derivante “dall'aiuto reciproco”, se la carenza è universale (per le piccole e grandi realtà) non è che se il titolare della domanda diventa collettivo, cambia, come direbbe Totò, il totale.

Per di più, quando metti in campo capofila come la Serenissima, non puoi non evocare l'evenienza che si ripetano i percorsi tutt'altro che virtuosi che hanno interessato, ad esempio, le vicende dell'inglobamento delle Municipalizzate in A2a, della candidatura unitaria al riconoscimento di Città del Cultura (finito a Brescia e con la storica compagna orobica di merende, Bergamo), dell'epilogo della Spa Autostrade Centro Padane (unica concessionaria a perdere la concessione) della cui liquidazione Brescia ha preso i mano le redini.

In pratica, i selezionati vengono omologati dalla Capofila e dislocati, a fare la proverbiale  la gavetta  nei nosocomi periferici. Come nello sport, a farsi le ossa nella cadette ria. Solo dopo un rapporto-tirocinio di almeno un anno e mezzo potranno aspirare ad accedere ai ranghi organici delle strutture del Capofila.

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Caro Eco del Popolo, nei giorni scorsi hai pubblicato nella rubrica Bacheca la locandina che fa da cimasa a questa lettera.

In assenza di ulteriori ragguagli, mi sono determinata, nella speranza di un ulteriore turno di recupero, a disertare l'open.

Non essendo soprattutto chiare le condizioni di accesso, alias di gratuità della prestazione. Non fa fine, ma è proprio così. Perché ricordo ancora che in una chiosa del Direttore dell'Eco di un anno fa, lo stesso ha fatto presente per l'accesso vax Herpes Zoster 400 eurini. Ed altrettanto la consorte. Su altra testata ho letto la declaratoria della Responsabile del Servizio che, ancor prima di un'apprezzata divulgazione scientifica sulla patologia ed i rischi che comporta (soprattutto) per i fragili, comunica che “L'accesso è libero e gratuito per tutti i cittadini nati tra il 1952 e il 1960”.

Mi ha molto sorpreso, dopo aver attentamente letto l'enunciato della Dirigente (L'Herpes Zoster, malattia recidiva, è più comune nei soggetti più anziani e nei pazienti con patologie croniche), che individua la platea del maggior rischio a carico dei fragili per anziani, la gratuità sia riconosciuta solo a coloro che sia nati tra il 1952 ed il 1960.

Fattispecie anagrafica da età che oscillano tra le 73 e le 65 primavere. Vero che si invecchia meglio e si campa un po' di più. Ma perché la gratuità ad un 73 e non (a maggior ragione di “fragilità” e no, ad esempio, ad un ottantenne, che in termini di rischi, è in teoria messo peggio?

Non solo per tigna, innescata dal rifiuto di farmi prendere per i fondelli da questi managements arroganti, ho smanettato su Internet e mi sono fatto l'idea che le direttive del Ministero della Salute e le declaratorie delle altre Regioni orientano inequivocabilmente (tra l'altro per un nesso di consequenzialità degli enunciati medico-scientifici) verso la tesi della gratuità generale per le fasce anagrafiche antecedenti il limite 1952.

Resto in attesa di chiarimenti e ringrazio, salutando cordialmente.

Bonemerse, 10 maggio 2025 lettera firmata

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Caro lettore, siamo noi della direzione della testata ad apprezzare l'interpello. Sul punto siamo fermi ai silenzi (che, insieme ad un'informativa omissiva e sostanzialmente fuorviante, può generare violazioni delle disposizioni dei superiori organi istituzionali ed indurre l'utenza, allertata dal tenore dei pericoli discendenti dalle caratteristiche della patologia, ad accettare prestazioni out the pocket, di tasca propria). Sul punto la Dirigente del Servizio (insieme alla Direzione Aziendale) continua ad essere quanto meno essere sfuggente (rispetto all'obbligo di produrre una comunicazione implacabilmente inequivocabile, sul regime in cui le prestazioni, strombazzate dalla solita informazione aziendale, vengono configurate a l'vello di  accessibilità. Altro che open day, che pure sarebbe un modulo accettabile, anzi auspicabile!, se poi ti trovi, per necessità di prestazione, a  . Ragione per la quale, qui ed ora, esigiamo un pronunciamento chiaro. Diversamente ci rivolgeremo ai Nas. In prima istanza, potremmo anche pensare al cosiddetto Tribunale del Malato. Deragliato negli ultimi anni ad una condizione di sopravvivenza meramente nominale (o forse, addirittura, collaterale). Sul punto, dovendo corrispondere al senso dell'interlocuzione del lettore, non ci resta altra conclusione che questa. La crisi del sistema, ha osservato di recente su Corsera  Antonio Polito, non integra solo le "code" focalizzate dalla vulgata (per tutto lo scibile clinico e terapeutico, ma spazia molto oltre. Alla prevenzione a mezzo vaccinazioni e al supporto farmaceutico. Fortemente ridimensionato sia dai tickets, sia dalla dilatazione dell'area del non mutuabile e il passaggio alla fattispecie da banco. Entrambe fattispecie che inibiscono ai fragili non solventi l'accesso. Al punto che Polito azzarda, per i poveri della terapia farmacologica l'istituzione, come per la tazza di caffè o della pizza, della "medicina pagata" nelle farmacie

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SONO AI MATERASSI…

Le riflessioni che seguono costituiscono imprevista postilla di spunti accumulati nelle ultime ore, come risultante dal solito nostro lavoro di pesca a strascico della abituale selezione stampa (che dovrebbe costituire ineludibile sollecitudine per chi scrive.

Ci riferiamo, in particolare, alla notizia data di risulta e con una parsimoniosa evidenza (che, invece, avrebbe dovuto calcare la scena), secondo cui “Fontana respinge ancora le dimissioni di Bertolaso”.

Sia concesso un breve inserto ermeneutico senza del quale diventerebbe difficile capire la novità sibillina. Cominciamo con il chi è chi. Fontana è il Governatore della Lombardia. Bertolaso è un civil servant, un tecnico fatto scendere in campo alla bisogna; con particolare riferimento alle situazione di emergenza e, ultimamente, alla situazione di sfascio del welfare lombardo.

Se Fontana “respinge ancora” le dimissioni, significa che le dimissioni sono state presentate almeno un'altra volta.

Ora, una volta stabilito che la gestione del welfare lombardo, se non altro perché la relativa postazione di spesa rappresenta l'80% del bilancio regionale, non è questione “da micio micio”, non si comprende (o meglio si comprende benissimo) la ragione per cui un siffatto problema non venga adeguatamente delibato coram populo, nella giusta rilevanza e chiarezza.

Che, a partire dalla (temporanea) messa in sospensione del sistema di potere formigoniano e da quella sorta di precarietà imposta dal rifiuto di affrontare la partita sanità per quella che è e non con l'intento di aggiustare i conti delle spartizioni di potere alla prima occasione utile, la condizione del welfare della maggior Regione è sempre stata ricompresa tra due corni: la ripresa ad ogni effetto e in termini dichiarati del modello Formigoni (incardinato nella revoca del SSN e nel passaggio totale e definitivo alla sanità privata), da un lato, e l'aggiustamento dichiarato dei conti delle influenze politiche nell'attribuzione dei poteri politico-gestionali e della filiera conseguente.

Vabbé…non se lo ricorda e non lo rimpiange nessuno quello sciamannato che era al vertice al momento dell'insorgenza del Covid (che di nome fa Gallera). Dopo di lui, la scena fu calcata dalla Moratti (nata Brichetto Arnaboldi), una signora che sa stare a tavola, ma che ha quagliato poco e maldestramente nella resilienza dallo sprofondo del primario comparto gestionale.

Poi…Bertolaso, con un profluvio di esternazioni rivoluzionarie. Forse era nelle sue buone intenzioni. Ma bisogna pur fare un bilancio dei risultati. Rispetto a cui il percorso “dialettico” sottotraccia (fatto di regolamenti di conti di potere) non si sa se sia più attenuante od aggravante. Qualche giorno fa il Corsera recitava: “la sanità privata contro la Regione”. Che suscitava in noi, irriducibili opposites all'establishment regionale, una inquietante sorpresa: vai a vedere che a bordo della lotta contro l'affossamento della sanità pubblica c'è un inaspettato convitato: i privati che hanno tratto maggior profitto dalle innovazioni che, da Formigoni in poi, hanno rivoltato come un calzino un Ssn. Che era stato, sia pure per pochi anni, un esempio di efficienza e di interpretazione dell'ispirazione della sanità come diritto universale. Invece, no! Le sigle della sanità padronale "lamentano difficoltà  programmatorie e negoziali con la Direzione del Welfare Lombardo" e minacciano di non rinnovare i contratti con il SSN, interrompendo visite ed esami in regime convenzionale. Come l'aglio per Dracula, i padroni privati temono una limitazione dell'attività a pagamento. out the pocket meaning, per fuorviare. Perché il senso concreto della dazione a carico dei solvibili (che ci potrebbe stare, come c'è stato per tanto tempo) e dei poveri cristi (strozzati dall'assenza di alternative a questo ricatto), fa poco fine. Al punto che anche le anime belle del csx raramente sul punto alzano la voce (magari sillabando "siamo tutti Luigi"). Strano questo format "dialettico", in cui le vittime sono silenziate o testimoniate a bassa intensità, mentre i percettori (i capitalisti della sanità, che hanno fatto man bassa dello spoil system inaugurato dall'"aziendalizzazione" in chiave di profitti) di ingenti arricchimenti di regime se ne lamentino. Da Formigoni, si ripete ad abundantiam, le regole spartitorie sono state: il "filetto" ai privati, i gravami alla mano pubblica. Non gli va più bene!!! Temono, dice il Corriere ben informato, una limitazione delle attività a pagamento. Esattamente in controtendenza con il regime ben consolidato negli ultimi anni, in particolare dal picco postpandemico fatto di code bibliche e di inefficienze. Ma come "la soluzione" (diminuzione di prestazioni convenzionate e aumento bulimico di quelle tout court private) non vi va più bene!? Men che meno non va bene la "strampalata" ideona di girare all'eccellenza ospedaliera di lor signori del profitto secco il supero dei flussi degenziali (in ovvie condizioni di emergenza clinica) provenienti dai Pronto Soccorso e non assorbibili dagli ospedali pubblici (o di quel che resta). Si sa mai (deve essere il cruccio dei "padroni", uno dei quali, non facciamo il nome ma il cognome, San Raffaele ha l'impudenza di sponsorizzare per sé il 5x1000) che ci arrivi un profluvio di utenti pezzenti. Un tempo prerogativa delle corsie pubbliche. Giammai! Lorsignori pretendono degenti ad alta redditività e a poco costo.

Questa è la premessa della postilla che ci aveva, come si suol dire, drizzato le antenne per l'interpretazione congrua dei movimenti in corso nella situation room del potere politico e degli affari sanitari.

Siccome, però, quasi raramente la realtà corrisponde a ciò che appare, abbiamo atteso la successiva “ondata” (sempre a mezzo stampa nazionale e regionale) che, sia pure nelle modalità reticenti ed ovattate, fa capire meglio ciò che sta avvenendo nel confronto “dialettico” tra i protagonisti del potere regionale.

Il “tecnico” prestato all'efficienza del più importante ramo gestionale della Regione s'é scapricciato e non sopporta più la posizione di essere posto nell'angolo dai veri “marionettari”, cui, pur condividendo la linea guida di superamento del modello di sanità a vocazione pubblica (a parole, ma di fatto svuotata dalla transizione di fatto al privato), deve essere apparso come qualcosa di più di una bestemmia l'azzardo di Bertolaso dell'accordo tra Regione e NAS per il controllo delle liste d'attesa e il monitoraggio, dice Sara Bettoni su Corsera, “di eventuali anomalie delle priorità, delle visite in libera professione e delle prescrizioni”. Non abbiamo risparmiato a Bertolaso, più che critiche, stroncature di giudizio della ispirazione delle visione sanitaria e del modulo gestionale. Riferibili complessivamente alla linea-guida incardinata da Formigoni in poi.

Adesso il sommerso riemerge e in carica dirompente. Le logiche spartitorie non reggono più. Di fronte a quello che viene ritenuto il patto a prova di bomba su cui regge l'impronta della sanità privata.

Bertolaso ha i giorni contati. E la cosa in alcun modo non ci addolora. Ci preoccupano, invece, le “voci” sulla staffetta che porterebbe (o riporterebbe) al vertice dell'assessorato la “meglio gioventù” dell'entourage formigoniano che un quarto di secolo fa innescò lo sfascio.

Conclusione (dedotta dalle esternazioni delle ultime ore): la lite da ballatoio tra le comari lombarde è salita di step, raggiungendo la prima fila del “confronto” politico.

Tra il vertice dell'establishment regionale e, addirittura, la Premier che è scesa in campo, per imputare alle Regioni la responsabilità del deragliamento della sanità.

Ma proprio per l'istinto a riallacciare nostri background analitici, non possiamo non considerare che le conseguenze della sconsiderata riforma del Titolo V si riverberano, come era lecito temere, sia nei risultati che nelle polemiche “concorrenti”

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