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ECO-Cultura e decoro urbano

  30/08/2025

Di Redazione

ECO-Cultura+e+decoro+urbano

CREMONA tra storia, idealismo, cultura, arte e negligenze

Ne avevamo scritto solo due giorni fa, riprendendo sinteticamente la testimonianza critica di un'ampia area di malcontento diffuso nel sentiment di cittadini, cui risulta sempre più ostico convivere in un contesto caratterizzato da trasandatezza, quando non addirittura di totale trascuratezza fisica e concettuale di quell'aggregato edilizio, monumentale ed ambientale, costruito e sedimentato, con implementazione in progress e con quasi religiosa dedizione conservativa nei secoli. Fino ad un certo ciclo amministrativo, pero! Come, d'altro lato, abbiamo segnalato (al di fuori di qualsiasi irreggimentazione nelle posture di una critica che, collegata ai legittimi meccanismi dialettici, non fa parte della nostra mission editoriale), sotto il titolo/cimasa “FONTANE, TOTEM, PROMESSE…e (in barba alla “rigenerazione”) …DISASTRI GESTIONALI…”.In cui abbiamo tentavamo di sviluppare (con spirito critico ma fecondo negli intenti) un'analisi, il cui succo sintetizziamo come segue: “Riprendendo il filo dell'inaggirabile riferimento al modulo organizzativo delle passate gestioni, in cui decoro e finalizzazione degli spazi urbani erano in capo, al di là, si ripete, dei colori del governo comunale, con gli anni 90 intervenne la stagione della cementizzazione degli spazi comuni (vedi Piazza Cavour, un tempo dotata dai giardinetti allestiti dalla Giunta Vernaschi e dall'Assessore Coppetti e dal Dirigente arch. Galetti e, in seguito, vandalizzata dalla Giunta Bodini – con la ridicola “tettoia”) e quella dell'outsourcing. Lo stato di questo ramo di servizi comunale è a dir poco inquietante, per il livello prestazionale e per il rispetto nei confronti dei cittadini e della preservazione del livello di qualità della vita”.

Ovviamente la fondatezza del fachtchecking dello stato dell'arte permane, soprattutto alla luce della progressione de disastro, registrata dalle ricadute dei recenti criticità meteorologiche.

Di cui, sia ben chiaro, non è imputabile (almeno sotto questo aspetto di Hiove pluvio) la classe dirigente. Alla quale, però, va messo in conto il portato sedimentato di colpevoli negligenze il cui range è compreso tra la culpa in vigilando sulla preservazione e la condotta omissiva.

Grandinate, allagamenti, sradicamento di piante (specie per essenze male assortite e male accudite, nonostante l'evidenza), crolli (un po' di tutto) sono avvenute dappertutto e anche a Cremona. Sul che mettiamo le mani avanti: non abbiamo nessuna intenzione di affrontare qui un'analisi a tutto tondo del problema (in senso fisico).

In quanto ci limitiamo (si fa per dire ovviamente, data la gravità del fatto e delle relative responsabilità), ad una vistosa ricaduta, di cui si sta occupando la cronaca, con un timbro che fa parte ormai del sensazionalismo, in parte giustificato, ma raramente consapevole  del valore e della profondità dell'accadimento. Che dovrebbe correlare lo sconcerto (e forse l'indignazione) alla consapevolezza della “fisicità” e, soprattutto, al recondito valore idealistico e civico.

Perché sia ben chiaro, se ci tranquillizzano molto (e diciamo di essere grati alle testate giornalistiche cittadine e, in particolare, alla sollecitudine, del figlio (Marco) dell'autore dell'opera e dell'Assessore Comunale professor Bona, che non hanno messo di mezzo indugi e sono accorsi) titoli come “Scultura crollata Subito il recupero e poi il restauro”, non possiamo restare insensibili al combinato disposto tra le conseguenze di un nubifragio e il background etico-morale e didascalico di una trascuratezza, che, probabilmente, è figlia più che di una neghittosità di una preoccupante perdita di contatto permanente con le “radici” ideali. Che stanno sotto il monumento collassato dalla caduta di alberi (alberi che, come dimostriamo con il corredo grafico d'antan, non dovrebbero essere stati lì sulla scena del disastro o non dovrebbero essere stati lì, se non altro per ragioni più di decenza civica che di decoro) e che dovrebbero stare tra le posture degli “eredi” degli apostoli (laici) di quella eccezionale stagione di lotta, di testimonianza, di ricostruzione).

Perché è doveroso aggiungere che il bronzo caduto (caduto, si ripete, per decenni di trasandatezza, fisica, ma soprattutto didascalica e divulgativa) costituì (fisicamente a ridosso della costruenda città degli studi, incardinata dal ceto dirigente e amministrativo della temperie della “ricostruzione”) un importante gesto di fiducia nel valore priorità del sapere (soprattutto, a beneficio dei ceti fin lì marginalizzati, e della consapevolezza della direzione di marcia della nuova Italia e della nuova Cremona.

In quel ceto erano ricompresi gli investiti di mandato istituzionale (il Presidente della Provincia avvocato Ghisalberti ed il Sindaco Vernaschi col suo vicesindaco professor Coppetti) nonché le “prime file” dell'élite intellettuale ed educativa destinata a dar corpo all'erigenda città degli studi (il preside Bosco, un educatore piemontese proveniente dalla Resistenza Azionista, il vicepreside  Giuseppe Casella,destinato a diventare preside e con un passato di Provveditore agli studi nominato dal CLN, tra i molti).

La “carica” dell'investimento civico, implicita in un edificante ricostruzione partita dal patrimonio scolastico, divenne, in corso d'opera, vieppiù esplicita nella ricaduta educativa.

Erano i tempi in cui, per effetto della testimonianza dei citati docenti, si praticava (in assenza di esplicite cogenti disposizioni legislative) l'insegnamento dell'educazione civica. Qualche anno dopo ci sarebbe stata il ventesimo anniversario della Liberazione Di cui, in certo qual modo, l'opera di Ruffini (peraltro, vistosa rispetto ai canoni edificativo-monumentali correnti e collocata in posizione strategica, per i flussi di accesso alla città ed agli insediamenti scolastici) era destinata (pienamente corrisposta nelle aspettative) a diventare la “griffe” del  nuovo corso della Liberazione, della Repubblica e della Costituzione. Così doveva essere e così la percepimmo noi bayboomers affacciati al futuro della ricostruzione. Poi, il brodo dell'idealismo, come si suol dire, sarebbe stato allungato. L'oblio allungò le sue ombre anche sui presidi simbolici, fino, incoraggiato dal nuovo corso del pensiero “liquido” e dalla partecipazione politica “leggera” a sparire (come il caso della fontana-monumento, anticamera della “cittadella degli studi”) completamente dai radars, non diciamo del Pantheon, delle priorità del decoro.

Se la “ditta” che governa (o dovrebbe) la città e la provincia fosse così carica di pezze da non poter fronteggiare il mantenimento del decoro di presidi che contano più di altri,  proponiamo un fundraising mirato (nella speranza che funzioni in modo più trasparente della campagna covid)

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Dante Ruffini

La testimonianza artistica (L'EdP edizione  04/05/2020)

In sede di presentazione della pubblicazione del saggio di Emilio Zanoni del “Movimento cremonese di liberazione del secondo Risorgimento” e del Dossier del 75° anniversario della Liberazione, L'Eco del Popolo aveva, come si ricorderà, fatto un cenno ad una delle opere artistiche significative correlate all'epopea della Liberazione.

Ci riferiamo al bellissimo bronzo, sovrastante la fontana e l'epigrafe del celebre Ugo Foscolo: “in onore dei caduti per la libertà e di quanti sono parimenti sdegnosi di essere oppressi e di farsi oppressori”, intitolato “Ai caduti per la libertà” ed uscito dalla sensibilità e dalle mani del celebre artista cremonese Dante Ruffini (incidentalmente, cognato dello scultore Mario Coppetti) che lo realizzò nel 1963, poco prima della prematura scomparsa.

Ci è parso poca cosa quel cenno dedicato all'autore di un'opera così prestigiosa, collocata come portale della Cittadella degli Studi sorta in Via Palestro sulle fondamenta di quella che fu la Caserma Paolini.

Anche se, come si vedrà nel prosieguo del profilo, l'esimio scultore sarebbe stato costantemente aderente all'arte sacra, il citato monumento metterà in evidenza un eclettismo di genere, che è tipico dei grandi autori.

Ruffini, secondo una indiscrezione attinta dai ricordi di Mario Coppetti, era stato seriamente candidato alla committenza per la realizzazione del monumento che i socialisti cremonesi vollero, nel 1947, dedicare al martire antifascista Attilio Boldori.

Ma gli fu preferita la proposta di un altro scultore cremonese; orientata, secondo quanto riferitoci, da valutazioni “extra-artistiche”.

Ed abbiamo così ritenuto ricordare qualcosa di più di uno dei più prestigiosi artisti del 900 cremonese.

Dante Ruffini (Cremona 1905-1963) compì gli studi presso la Scuola d'Arte “Ala Ponzone" di Cremona, perfezionandosi presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia e, come si direbbe oggi, con un impegnativo stage presso lo scultore cremonese Alceo Dossena..

Esordì nel 1934 in una mostra a Milano. La sua prima e significativa commissione fu il bronzo di Amilcare Ponchielli, in occasione  del centenario della nascita del musicista e dell'esecuzione del “Figliuol prodigo"; opera che il Comune di Cremona donò al Museo della Scala.

Due anni dopo parteciperà alla XX Biennale d'arte di Venezia nel settore scultura e, a seguire alla IV, V, VI, VII Mostra interprovinciale ed interregionale di Milano, nonché alle Biennali di Arte Sacra, alla Mostra Nazionale di Arte Sacra di Bergamo e alla Mostra degli Artisti Lombardi di Milano. Altresì avrebbe rappresentato l'Italia alla Mostra di Arte Sacra a S. Paolo in Brasile.

Sarebbe stato solo l'inizio di un'intensa attività espositiva di valenza cittadina e nazionale.

Le sue opere più significative sono ospitate in contesti di grande prestigio, come il Cimitero del Verano a Roma, la chiesa di S. Angelo a Milano, il Santuario di S. Maria delle Grazie a Monza, il Santuario di S. Antonio a Cremona, la cattedrale di Montefiascone, la Basilica di S. Siro in Sanremo ed, appunto, il monumento ai caduti per la libertà a Cremona.

Accompagnò a questa sua intensa prestigiosa testimonianza artistica anche un importante ed apprezzato contributo all'associazionismo artistico e culturale, nell'ambito del sodalizio ADAFA e dell'Associazione Artisti Professionisti di cui diventò presidente (ruolo rilevato nel prosieguo dal cognato Mario Coppetti).

Il suo stile, prevalentemente rivolto all'arte sacra, trasse, come molti critici gli riconosceranno, i fondamenti da una preparazione metodica e particolarmente impegnata.

La città di Cremona, in occasione del 50° anniversario della scomparsa, dedicò alla sua memoria ed al suo valore artistico e culturale un'importante Mostra artistica, curata dai figli Laura e Marco Ruffini e da Sonia Tassini ed una mostra documentaria, curata da Angela Bellardi ed Emanuela Zanesi.

La Gallery comprende alcuni significativi particolari del Monumento dei Caduti per la Libertà e l'immagine fotografica della preesistente Caserma Paolini, abbattuta nella seconda metà degli anni Cinquanta per erigere la cittadella degli studi.

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